TRUMAN CAPOTE: A SANGUE FREDDO
Presentato al Telluride Film Festival 2005, al Toronto Film Festival 2005 e al New York Film Festival 2005

Regia di: Bennet Miller
Attori: Truman Capote: Philip Seymour Hoffman, Nelle Harper Lee: Catherine Keener, Perry Smith: Clifton Collins Jr., Alvin Dewey: Chris Cooper, Jack Dunphy: Bruce Greenwood, William Shawn: Bob Balaban, Marie Dewey: Amy Ryan, Dick Hickock: Mark Pellegrino, Laura Kinney: Allie Mickelson, Warden Marshall Krutch: Marshall Bell, Dorothy Sanderson: Araby Lockhart e reporter del New York: Robert Huculak
Sceneggiatura: Dan Futterman, basata sul romanzo "Capote"di Gerald Clarke (Frassinelli editore)
Direttore casting: Avy Kaufman
Musiche: Mychael Danna
Costumi: Kasiaw Alicka Maimone
Montaggio: Christopher Tellefsen
Scenografie: Jess Gonchor
Fotografia: Adam Kimmel
Produttori: Caroline Baron, William Vince e Michael Ohoven
Produttori esecutivi: Dan Futterman, Philip Seymour Hoffman, Kerry Rock e Danny Rosett
Titolo originale: Capote
Origine: USA 2005
Distributore: Sony Pictures Releasing
Link: www.columbiatristar.it www.sonypictures.it www.sonyclassics.com/capote
Durata: 115’
Produzione: United Artists e Sony Pictures Classics presentano una produzione A-Line Pictures, Cooper's Town Productions e Infinity Media production
Programmato dal 17 febbraio 2006

Truman Capote, l’autore di Colazione da Tiffany, è un tipo gaudente e gay dichiarato: lo vediamo con un bicchiere in mano a raccontare di suoi romanzi con dentro omosessuali neri e di come lui sia riuscito ad esasperare la situazione, ridendoci sopra a una festicciola del "jet set" insieme al suo compagno Jack Dunphy, danzatore di Broadway e successivamente scrittore. Il sorriso gli passa dopo il 15 novembre 1959, quando rimane sconvolto da un articolo sul New York Times, dove si racconta degli omicidi senza motivo apparente di quattro membri della famiglia dei Clutter, agricoltori di Holcomb. Qualcosa lo intriga particolarmente di quella vicenda e pensa che il fatto non debba finire solo come articolo di un quotidiano, ma potrebbe ricavarci un romanzo di quelli tosti. Telefona quindi al suo editore del The New Yorker, lo convince a farsi finanziare l’operazione e parte subito con la sua fidata amica Harper Lee, anche lei brava a stanare notizie e prossima al premio Pulitzer per Il buio oltre la siepe. Arrivano nella piccola e tranquilla cittadina e subito va dove ci sono quattro cadaveri dentro le bare. Lui ha il coraggio di guardare i corpi, proprio lui che è un tipo dalla voce flebile su un corpo ben piazzato e dagli atteggiamenti singolari. Ma con bieca scaltrezza alla fine riesce ad ottenere sempre quello che vuole. Anche adesso con l’agente del Kansas Bureau of Investigation e responsabile delle indagini. Partecipa alle inchieste e intanto gli racconta delle tante amicizie tra gli attori e di quando era in Italia a scrivere la sceneggiatura di "Il tesoro dell’Africa" per John Huston e Humphrey Bogart e del fatto che ricorda il 94% di ogni scritto o discorso. Il 6 gennaio 1960 i due killer vengono portati tra due ali di folla silenziosa nella residenza dello sceriffo. Perry Smith e Dick Hickock vengono processati e condannati a morte, nonostante che nel corso del processo i due avessero rinunciato all’udienza preliminare per cercare di ingraziarsi il giudice. Capote convince il direttore del carcere con una bella busta rigonfia a lasciargli vedere i condannati tutte le volte che vuole e alla fine se li fa amici, soprattutto Perry dalle origini indiane. A loro tace dei progressi del libro, che col tempo diventa sempre più corposo. Si concentra sulla contrapposizione tra la campagna tranquilla e sull’efferatezza morale dei due assassini. Le sue ambizioni sono enormi, vuole che il romanzo divenga un best seller col botto. Infatti aspetta che i due vengano impiccati per avere il massimo della pubblicità. Anzi è disperato e depresso perché dopo quattro anni il libro è pronto e i due non sono ancora morti. Lui vorrebbe vederli morti perché vorrebbe scrivere la parola fine. Ormai è diventato un cinico con tendenze di onnipotenza, si nega alle richieste dei due di avere un migliore avvocato per salvarsi la pelle, ma poi accetta un ultimo colloquio con gli impiccandi, accettando di assistere all’esecuzione solo per amicizia. Sostiene che ha fatto ciò che poteva, procurando un avvocato. Finalmente la sentenza arriva, ma il fatto lo sconvolge a tal punto che diventa così depresso da diventare un amico dell’alcool. "A sangue freddo" diventa il suo romanzo di maggiore successo, ma anche il suo ultimo grande libro.

 

 

E’ un film intrigante dove prevale il non detto. L’avidità, il narcisismo e l’impudenza dell’uomo tutto teso alla creazione del capolavoro di letteratura e giornalismo, di romanzo e documento, trova in Hoffman l’interprete perfetto, somigliantissimo e quasi uguale allo scrittore che impersona. La sua impeccabile recitazione algida corrisponde e identifica lo stile del film, freddo e distaccato, dall’emozione repressa. Del libro il regista ripropone la struttura, romanzata e giornalistica, distaccandosi di molto dal film "A sangue freddo" di Richard Brooks del 1967, inquieto, senza manipolazioni e anche con scenari impressionanti.

Maurizio Ferrari

Questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche nell'archivio.

 

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