MA CHE COLPA ABBIAMO NOI

Regia di: Carlo Verdone
Attori: Carlo Verdone, Margherita Buy, Anita Caprioli, Stefano Pesce, Antonio Catania, Lucia Sardo, Max Amato, Raquel Sueiro, Luciano Gubinelli, Sergio Graziani, Roberto Accornero, Rodolfo Corsato, Fabio Traversa e Remo Remotti
Soggetto e sceneggiatura: Piero De Bernardi, Pasquale Plastino, Fiamma Satta e Carlo Verdone
Suono: Tommaso Quattrini
Scenografia: Maurizio Marchitelli
Costumi: Maurizio Millenotti
Fotografia: Danilo Desideri
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Lele Marchitelli
Origine: Italia 2001
Distributore: WB
Link: www.machecolpaabbiamonoi.it--www.warnerbros.it
Durata: 116’

Quando l’anziana dottoressa Lojacono muore, il gruppo in terapia entra in crisi e deve cercare un nuovo analista. La Buy vorrebbe sposare il marito di un’altra, Verdone ha il padre tiranno e padrone di una grande fabbrica, Catania è separato, quell’altro è omosessuale, un’altra sembra lesbica, poi c’è quella che ha paura di invecchiare. Ci sono singles, matrimoni falliti, figure paterne e filiali. Dalle singole vicende e dalla vita di tutti si arriva a un film corale, dove uno si perde subito per strada e i sette sopravvissuti del gruppo, non trovando un nuovo analista, ci provano anche con l’autogestione, che alla fine sembra una riunione di condominio. Comunque sul finale del film tutti risolvono in qualche modo la loro situazione verso un futuro ottimista. Divertentissimo e funzionale nelle sue punti di maggiore divertimento, il film segna il ritorno di Verdone alla regia con un’esplorazione dei difetti degli italiani, con i quali in qualche maniera si riesce a convivere, riuscendo a non dargli la totale padronanza delle nostre anime.

Maurizio Ferrari

Dalle note di produzione

Il film ambientato a Roma ha una struttura corale. Al centro della vicenda otto personaggi di cui uno scomparirà quasi subito, tre donne e quattro uomini giovani e meno giovani legati tra loro da un elemento comune: l’analisi di gruppo, che danno uno spaccato delle debolezze e fragilità, ma anche della voglia di reagire, di cambiare che caratterizzano i nostri giorni. Complesso l’intreccio che vive di momenti ariosi per rientrare di volta in volta nell’intimità dei personaggi.

Gegè, Luca, Gabriella, Chiara, Ernesto, Alfredo, Marco e Flavia hanno in comune quell’ora settimanale in cui si ritrovano tutti insieme per fare terapia di gruppo dall’anziana dottoressa Lojacono. Ed è lì che li vediamo per la prima volta. Talmente sono presi dal raccontarsi, da non accorgersi che la psicanalista è morta sotto i loro occhi. Ai nostri non rimane che rientrare mestamente nelle loro solitudini, spaesati, disperati e consapevoli di aver perso un loro importante punto di riferimento.

Gegè, un cinquantenne brillante, alle prese con il dominio psicologico di un padre-padrone da cui non è mai riuscito ad emanciparsi crede che le tenerezze di una giovane amante possano essere un sufficiente sollievo; Luca, raffinato e scontroso omosessuale, pur accettando pienamente la sua diversità, non riesce a tagliare i faticosissimi legami che lo rendono schiavo di un uomo sposato con figli; Gabriella, vogliosa signora cinquantenne, con il terrore di invecchiare e di rimanere ancora più sola di quanto non sia; Chiara, bella universitaria alla continua ricerca di cibo e d’amore; Ernesto invece l’amore ce l’ha, fortissimo, per sua moglie. Peccato che lei, per punirlo di un fugace tradimento, lo abbia buttato fuori di casa, costringendolo a trovar sonno solo sui treni; Alfredo, orchestrale gioviale e pieno di fede, a quarant’anni vive ancora con la madre anziana; Marco, ultimo arrivato nel gruppo, è un trentenne silenzioso, ma la sua particolarissima casa, piena di suoni e di immagini, parla per lui; Flavia, bella professoressa che vive sola con la sua gatta, a trentacinque anni non ha ancora trovato l’uomo giusto, perciò si accontenta di un uomo sposato troppo indaffarato per dedicarle più di qualche sporadico momento d’amore…

Alla morte della psicanalista i nostri decidono di continuare a vedersi settimanalmente per proseguire da soli le sedute di terapia. L’unico a tirarsi indietro è Alfredo, che confida molto nelle sue forze. Mentre le esistenze di tutti arrancano fra solitudini, disagi, incertezze e tormenti, le sedute autogestite sono dei veri e propri fallimenti. I sette decidono allora di interrompere quell’inutile farsa settimanale.Ma il suicidio improvviso di Alfredo li farà rincontrare tutti: dopo il funerale, decideranno di passare insieme il week-end. I due giorni che trascorreranno in un agriturismo, all’insegna del piacere di vedersi, di raccontarsi e di ascoltarsi veramente, saranno molto significativi per tutti. Così, mentre per alcuni di loro la vita sembrerà aprirsi a nuovi orizzonti e a nuove felicità, per altri continueranno i soliti problemi, i soliti tormenti, le solite solitudini... Con qualche consapevolezza in più.

Note del regista

L’uscita di "Ma che colpa abbiamo noi" avviene dopo tre anni dall’ultimo film "C’era un cinese in coma". Mai avevo atteso tanto tempo tra una pellicola e l’altra e mai avevo avvertito l’esigenza di fermarmi volontariamente per un periodo così lungo.

Sentivo che stavo entrando in una seconda fase della mia carriera: più delicata, più difficile. Quella che devi affrontare dopo ben ventidue anni in cui hai chiesto alla fantasia, all’intuizione, allo stremante doppio ruolo di regista-attore, il massimo in tutti i sensi. Ventidue anni volati via come il vento, tant’è che ancora oggi mi stupisco di come io sia riuscito ad avere due anime recitative (quella virtuosistica dei primi film e quella più "canonica e moderata" di "Maledetto il giorno che t’ho incontrato" e "Compagni di scuola"), trovando consenso ed incoraggiamento nel pubblico. Una sfida difficile che forse mi ha premiato per non aver dato, quasi mai, lo stesso film, la stessa formula. Ecco, posso forse dire che quando ho cominciato ad avvertire questo pericolo mi sono saggiamente fermato. Per riflettere e ripartire c’erano solo due modi: andare a vedere con maggior frequenza il lavoro dei miei colleghi, sia nel campo brillante che in quello drammatico e ricominciare, libero da impegni, ad uscire,parlare con la gente, ascoltare e percepire gli umori del momento. Ecco, questa è stata l’unica benzina che ho usato nel rimettere in moto il motore dell’immaginazione, della fantasia.

Il soggetto e la sceneggiatura di "Ma che colpa abbiamo noi", scritto insieme a Piero De Bernardi, Pasquale Plastino e Fiamma Satta ha richiesto un anno e mezzo effettivo di lavoro.

Commento di Carlo Verdone:

Sentivo che il tema "dell’analisi di gruppo" poteva essere un ottimo comune denominatore per raccontare e sviluppare non solo un film corale, ma tanti episodi relativi alla vita di ciascuno degli otto componenti. Otto storie private, esplorate con verità, ironia, drammaticità e comicità per comprendere le fragilità e le debolezze di tanta gente che vive con insicurezza il periodo attuale. Se questo film avrà il successo che ardentemente spero, vorrà dire che siamo stati bravi a rispecchiarci e far rispecchiare il pubblico in tanti umori che il film propone. Umori, disagi, comiche insicurezze, serie consapevolezze.

Il film inizia così: in un austero salotto, otto persone sono sedute in semicerchio davanti ad una scrivania dietro la quale un’anziana psicoterapeuta, con gli occhiali da vista scuri, li sta ascoltando. E’ una seduta di terapia di gruppo. Una delle due sedute settimanali che svolgono da più di un anno con serietà e passione. Si sta analizzando un sogno che viene raccontato da Ernesto. Un sogno all’apparenza "facile" nei suoi significati di sconfitta affettiva e negli innumerevoli simboli fallici che appaiono qua e là… Ognuno dei pazienti tenta di fornire la propria spiegazione interpretativa, nella speranza che l’analista concordi. Ma ecco che proprio quando l’analista deve dire la sua…. resta muta, immobile, con la sigaretta dalla cenere lunga che quasi le sta bruciando le dita. Silenzio. Poi improvvisamente l’allarme… L’analista è morta durante la seduta senza che nessuno se ne accorgesse. Un silenzioso e drammatico arresto cardiaco! Oddìo! E adesso… Caos, disperazione, accuse al "troppo parlare di se stessi" tanto da non accorgersi che "c’è morta l’analista!"

Ora proviamo ad immaginare otto persone che restano orfane del loro punto di riferimento. Otto anime fragili allo sbando costrette o a lasciarsi o a trovare, di comune accordo, un altro analista.

E proviamo ad immaginare che, non trovando "volutamente" il nuovo sostituto, decidano una spericolata quanto azzardata "autogestione" delle proprie sedute.

Consapevolezza di esser così bravi da poter gestire l’analisi approfondita dei propri "disastri" ? O più semplicemente la voglia di non perdersi, la paura di lasciarsi? Probabilmente quest’ultima…

E da qui ha inizio il racconto cinematografico di "Ma che colpa abbiamo noi".

Carlo Verdone

 

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