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MY NAME IS JOE

Regia di: Ken Loach
Attori: Peter Mullan, Louise Goodall, David McKay, Gary Lewis, David Hayman e Annemarie Kennedy
Titolo originale: My Name Is Joe
Origine: GB 1998
Durata: 105’

Negli ultimi giorni mi è capitato almeno tre volte di imbattermi in qualcuno che abbia detto " A me Ken Loach non piace" oppure "A me Ken Loach piace". Perché non ci sono vie di mezzo e i suoi film non vengono mai presi singolarmente, ma è l’opera omnia che conta, tutto il suo lavoro, un genere tutto speciale. Non c’è alcun paragone tra i due, ma è come per Romère, o piace o non piace, e in genere i sostenitori dell’uno non apprezzano l’altro. A me Ken Loach piace, e i suoi film, anche se tutt’altro che confortanti e rassicuranti, sembrano indicare una speranza di futuro migliore. Ci ha abituati a film che scavano nella società inglese, ma soprattutto nel mondo del proletariato, degli operai, di quelli che fanno fatica a vivere e incontrano sul loro cammino mille ostacoli.

Questo lungometraggio entra nella vita di Joe, ex alcolizzato uscito dalla sua droga grazie agli alcolisti anonimi, che con passione si dedica all’allenamento di una improbabile squadra di calcio composta da uomini non più giovanissimi, per niente in forma, qualche chilo di troppo mal distribuito. Ma il momento degli incontri di calcio è per tutti quegli uomini uno dei pochi momenti in cui possono trovare il piacere di stare insieme, di aiutarsi prima di ripiombare nei problemi quotidiani: chi ha a che fare con la droga, con i ricatti, con la disoccupazione, la malavita, piccole attività illegali…Non si vive bene nella periferia povera di Glasgow. Per Joe che è sempre pronto ad aiutare gli altri, si affaccia nella sua vita anche l’amore di un’assistente sociale, Sarah, anche lei aiuta gli altri, per lavoro, incontrata proprio a casa di due giovani amici di Joe che di assistenza ne hanno bisogno molta. Ma tra Joe e Sarah nascono anche delle incomprensioni perché lei ha potuto studiare per aiutare gli altri, lui invece ha arrancato nella vita e il suo aiuto lo regala istintivamente. Vengono da due mondi diversi e il Ken Loach mai consolatorio non ci dice chiaramente che cosa ne sarà di loro due nel futuro, lascia a noi spettatori la fantasia di scegliere come vorremmo che la loro vita prosegua. Come sempre però il regista inglese riesce a giocare con il dolce e l’amaro, con la tragedia e l’umorismo, lasciando comunque in tutti un po’ di disagio di vivere.

Il film è stato presentato al festival di Cannes dove il protagonista Peter Mullan ha vinto la Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile, e poi il Festival di Torino Giovani ha attribuito al regista il Premio Cipputi alla carriera per la sua militanza cinematografica al servizio della classe operaia.

Mietta Albertini

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