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PRIMO AMORE

Regia di: MATTEO GARRONE

Attori: VITALIANO TREVISAN e MICHELA CESCON

Origine: Italia 2004

Distributore: Fandango

Link: www.medusa.it www.fandango.it www.primoamoreilfilm.it

Durata: 100’

Programmato dal 13 febbraio 2004

Vittorio - un personaggio antipatico come pochi, interpretato dallo scrittore Vitaliano Trevisan - è alla ricerca di una donna, o, come dice lui, di un corpo e di una testa, nell’ordine. Trova invece in Sonia prima la testa, e poi il corpo. Approssimativamente tra i 55 e i 57 kg. Troppi. "Primo amore" racconta la loro storia, il loro incontro e poi la loro difficile convivenza. Vittorio vuole modellare a suo piacimento il corpo della compagna: la sua è una vera e propria ossessione. Solo quando avrà perso almeno 10 kg potranno cominciare a vivere. Come un fiore senz’acqua, pian piano la ragazza appassisce. La bilancia segna un’inesorabile perdita di peso. L’unica traccia d’amore forse è proprio lo slancio di Sonia: annienta se stessa e i propri bisogni elementari per fare spazio ai desideri di quell’uomo che a malapena conosce, si autoinfligge pranzi e cene a base di carotine e insalata per realizzare i sogni (le manie) di Vittorio. E renderlo un po’ meno triste. Ma può una relazione basarsi sull’annientamento di sé, sulla prepotenza, sul sogno di perfezione, di un corpo che rispecchi un ideale? La risposta sta nel finale, inevitabile. E indecifrabile: happy end o tragedia? Dipende solo e soltanto dal punto di vista.
"Primo amore" è un film sulla perdita, senza fronzoli e senza pretese di spettacolarità. Difficile da metabolizzare. Non bisogna farsi ingannare dal titolo enigmatico, ispirato ad un verso di Beckett: di amore non ce n’è molto. Non quello che siamo abituati a vedere sullo schermo, almeno: forse, c’è l’altra faccia dell’amore, quella dell’ossessione, del possesso, dell’annichilimento di sé, della solitudine. E’ interessante, in un’epoca sempre più tecnologica e virtuale, farcita di effetti speciali e cyber-organismi, il tentativo del giovane regista romano Matteo Garrone, già autore dell’applaudito "L’imbalsamatore", di bruciare tutto il superfluo e di recuperare l’essenziale. Lasciarsi tutto alle spalle, perdere ogni contatto con il passato. E quando sembra non sia rimasto più niente, continuare a scavare, togliere lo strato di catrame che riveste la superficie delle cose, e bruciare tutto nel fuoco. Quello che resta è la cosa più importante. E’ questa la filosofia del film. Il ritmo è pacato, la storia fa frullare in testa pensieri strani e disturbanti sulla violenza di cui si può nutrire l’amore. La voce off del protagonista strascica le parole, infastidisce. L’accento veneto non corretto immerge i personaggi in un ambiente reale. Insomma, non è solo il corpo della protagonista - interpretata da Michela Cescon, che durante le riprese è dimagrita davvero - a venire spogliato, ma la stessa idea di cinema viene messa a nudo: niente più vestiti sgargianti, niente pettinature raffinate o gioielli ad impreziosire il film. Cosa resta allora? Restano le ossa, resta lo scheletro portante, resta il potere e la forza della pura immagine, l’essenza del cinema. L’inquadratura è sempre ricercata, ma la macchina da presa alla fine viene sempre calamitata sui corpi di Sonia e Vittorio. A volte l’occhio si avvicina così tanto alla loro pelle da sfocare. Sono dettagli che non consentono una visione d’insieme del corpo, e che quindi, in un certo senso, nascondono. L’immagine e il corpo, dunque, come elementi fondanti del cinema. Operazione interessante, senza dubbio, ma per ogni scelta c’è un prezzo da pagare. E "Primo amore" paga il suo intellettualismo perdendo un altro ingrediente fondamentale del cinema: la spontaneità dell’emozione.

Stefano Borgo

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