MANDERLAY
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2005

Regia di: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Attori: Bryce Dallas Howard, Isaach De Bankolé, Willem Dafoe, Chloë Sevigny, Danny Glover, Lauren Bacall, Jean-Marc Barr, Geoffret Bateman, Jeremy Davies, Udo Kier e Suzette Llewellyn
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Scenografia: Peter Grant
Montaggio: Molly Malene Stensgaard
Costumi: Manon Rasmussen
Suono: Kristian Eidnes Andersen e Per Streit
Titolo originale: Manderlay
Origine: Danimarca, Svezia, Olanda, Francia, Germania e USA 2005
Distributore: 01 Distribution
Link: www.manderlaythefilm.com www.01distribution.it www.zentropa.dk www.trust-film.dk www.memfis.se www.filmsdulosange.fr
Durata: 139’
Produzione: Zentropa Productions, Isabella Films International, Manderlay Ltd/Sigma III Films Ltd, Memfis Film International Ab, Ognon Pictures e Pain Unlimited Filmproduktion Gmbh
Programmato dal 28 ottobre 2005

È il 1933 quando Grace (interpretata da Bryce Dallas Howard che va a sostituire Nicole Kidman nello stesso personaggio del precedente Dogville) col padre e i suoi gangster lascia Dogville. Si dirigono verso sud alla ricerca di un posto dove stabilirsi. In Alabama si ritrovano senza volerlo di fronte ad un grosso cancello di ferro battuto legato da una pesante catena. In un blocco di granito è scolpito il nome della proprietà: Manderlay, che di fatto è una decrepita proprietà-prigione dove la schiavitù non è stata ancora abolita. Il posto si trova in una pianura solitaria del profondo sud degli Usa, un poco tagliato fuori da tutte le regole di libertà. Sono quasi sul punto di ripartire quando qualcuno va loro incontro e bussa disperatamente al finestrino di Grace. Nonostante il padre continui a richiamarla, questa si dirige decisa oltre il cancello, forse solo per pura curiosità. La sorpresa è grande (e pure i guai che l’aspettano). Infatti qui scopre parecchi uomini di colore ridotti in schiavitù, e questo dopo che da sessant’anni tutti gli uomini erano diventati liberi. In quel momento stanno per frustare ingiustamente un "negro", che probabilmente deve averla fatta grossa e che comunque deve aver infranto qualche legge dei bianchi, anche se assurda. La caritatevole ed idealista Grace rimane turbata, dovrebbe partire da Manderlay con il padre ma continua a temporeggiare e infine giura a se stessa di reintrodurre le regole della democrazia partendo dall’insegnamento delle basi del voto democratico e di far sparire quell’ingiustizia, visto che la schiavitù è stata abolita settant’anni prima. Il luogo di fatto è una piantagione gestita ovviamente da bianchi, sotto la direzione di Mam (Lauren Bacall), mentre tutti gli altri sono dello stesso colore delle catene della schiavitù e del razzismo. Tra questi vi è anche il giovane Timothy (Isaach De Bankolé), un tipo piuttosto ribelle che fa cadere su di sé l’interesse di Grace.

 

 

Questo secondo episodio della trilogia sull’America di Lars von Trier, con la terza parte intitolata Washington, è l’ideale proseguimento di Dogville, dove la protagonista permetteva al padre di eliminare tutti gli abitanti della città solo perché era stata vittima di qualche sopruso. Adesso ci si trova di fronte a otto capitoli e sette categorie psicologiche della "legge della mamma", si scopre che le regole di comportamento per regolare tutto, dal divieto di possedere denaro alle direttive rigide del come piantare il cotone, sono state scritte da un nero per salvare un gruppo sociale dall’estinzione per fame, preferendo la schiavitù all’incertezza del domani. Qui tutti i problemi si riducono per Grace ad uno solo. Dopo aver fatto l’abitudine all’ingiustizia e aver cambiato tutte le regole assurde che regolavano ogni azione per scoprire che i suoi erano tutti insuccessi fino a dover razionare il cibo, infatti si preoccupa di capire se sia più o meno attratta dal colore della pelle di Timothy, trovando più bizzarro che erotico il fatto di farselo, o meglio di farsi fare. Sullo sfondo rimane forte il discorso sull’uguaglianza, la libertà e il diritto alla felicità da parte di tutti, mischiando il tutto con segreti e bugie in atmosfera masochista, perfida e sarcastica. La tesi di fondo è che la schiavitù nera fa fatica ad essere abolita e che le affermazioni di libertà sono una dura conquista, ben raccolta nelle immagini successive ai titoli di coda, con dentro tutta la storia del popolo afroamericano, dal KKK a moltissime manifestazioni, commentata da una inarrivabile "Young Americans" di David Bowie. Lo stile narrativo è tipico di von Trier, con la divisione in capitoli a spiegare il racconto, fatto di cultura e persone, che ogni tanto si scavano la tomba pur di dimostrare che sono proprio umani e privi di ogni pregiudizio, riversando il contenuto in uno stile di provocazione e sperimentazione narrativa attraverso una cinepresa a mano o piena di zoom, sottomissione e sadismo brechtiano teatrale e artefatto, perso nell’oscurità di scenografie ridotte all’osso e disegnate sul palco, con tutta la città scritta per terra.

Maurizio Ferrari

 

home mail