ARRIVEDERCI AMORE, CIAO
Presentato al Courmayeur Film Festival 2005

Regia di: Michele Soavi
Attori: Alessio Boni (Giorgio), Michele Placido (Anedda), Carlo Cecchi (Avvocato Brianese), Alina Nedelea (Roberta) e Isabella Ferrari (Flora)
Soggetto: dal libro di Massimo Carlotto (Edizioni E/O)
Sceneggiatura: Marco Colli, Franco Ferrini, Heidrun Schleef, Michele Soavi e Gino Ventriglia
Musica: Andrea Guerra
Fotografia: Gianni Mammolotti
Scenografo: Andrea Crisanti
Costumista: Maurizio Millenotti
Montaggio: Anna Napoli
Casting: Flaminia Lizzani
Produttori: Conchita Airoldi e Dino Di Dionisio
Produttori associati: Marco Colli e Luisa Pistoia
Direttore di Produzione: Patrizia Massa
Origine: Italia 2006
Distributore: Mikado
Link: www.mikado.it www.wildbunch.biz
Durata: 106’
Produzione: StudioUrania, Rai Cinema e Wild Bunch (Francia)
Programmato dal 24 febbraio 2006

"Il noir al potere" è stato il tema portante dell’ultima edizione dei festival, dedicato al genere, di Courmayeur. Ai successi di vendita dei romanzi di molti autori italiani, sta iniziando a corrispondere un interesse del cinema (al di là di quello, già conclamato, della televisione). In breve successione temporale, sono usciti nella sale "La cura del gorilla", tratto da Sandrone Dazieri, e ora "Arrivederci amore, ciao", tratto da Massimo Carlotto. In comune, le due pellicole hanno protagonisti con un passato ben connotato politicamente, che più o meno corrisponde, almeno negli ideali, a quello dei rispettivi autori. Il Gorilla se lo porta appresso come una cicatrice indelebile, una specie di fantasma che ogni tanto emerge a guidare le azioni del lato "buono" della sua personalità. Anche Carlotto ha inventato un detective che prova a tenere vive certe convinzioni in un mondo ormai cambiato irrimediabilmente in peggio. Ma "Arrivederci amore, ciao" non mette in scena l’Alligatore, bensì il suo alter ego, l’anima nera che nel film di Carlo A. Sigon costituiva una delle due personalità compresenti del protagonista. Giorgio Pellegrini ha vissuto la stagione della lotta armata, ma, insieme all’amico Luca, ha commesso l’errore di fare una vittima innocente in un attentato che non doveva prevederne. I due fuggono in Sudamerica, dove si impegnano nella guerriglia locale. Ma il tempo cambia soprattutto Giorgio, svuotato dei vecchi ideali e desideroso solo di ritrovare una vita normale. Inizia lì il suo percorso a ritroso verso la "ripulitura" delle scorie lasciate da quel lontano e drammatico passato. Il suo rientro in Italia dovrebbe coincidere con una revisione del processo, che a suo tempo gli valse una condanna all’ergastolo in contumacia. Ma sulla strada di una rapida riabilitazione si frappone Anedda, vicequestore della Digos pronto a ricattarlo per ottenere maggiori informazioni sulla colonna armata di cui Giorgio faceva parte. La confessione gli vale un paio d’anni di carcere e la scoperta di un mondo malavitoso del quale entrerà ben presto a far parte, per ottenere i soldi che gli servono alla riabilitazione legale, dopo cinque anni di buona condotta. Imparerà a farsi strada uscendone sempre più pulito a ogni barriera di scrupoli che cade, fino a quando potrà avere la sua vita "normale", con ristorante, posizione sociale e futura moglie da "sposare in chiesa".

 

 

Il passato, come sempre, ritorna, ma solo per essere definitivamente seppellito. Sigon e Soavi hanno in comune (con i rispettivi ispiratori letterari) una visione cupa dell’Italia contemporanea. Se La cura del gorilla smorzava fin troppo i toni infilandoci dosi massicce di commedia, "Arrivederci amore, ciao" sceglie la via del noir puro, con tanto di primissimi piani su pistole e pallottole, il colpo che fa svoltare e la successiva "ammazzatina" fra i suoi autori e persino qualche tocco horror, che rimanda al Soavi degli anni di "La chiesa" e dintorni. Anche qui, però, a dispetto del nero dominante delle luci e delle acque del Nordest inquadrate nella seconda parte, fanno capolino la macchietta (i personaggi di Anedda e del Vesuviano), la voglia di strafare (l’interminabile scena dell’agonia della futura moglie) e un ambiguo rapporto con il passato, che diventa sempre più un peso narrativo, anziché un punto di forza della vicenda. Così, un buon noir sui nostri giorni diventa un ambizioso tentativo di riflettere sulla rimozione della memoria e sul marcio che si nasconde dietro tante facce ripulite di ricchi e potenti. Troppo alta la mira e troppe sbandate nel tiro per poter dire che il bersaglio sia centrato.

PER: In attesa, ancora, del vero noir all’italiana, ma soprattutto del vero film sugli anni Settanta.

Roberto Bonino

(Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con www.lucidellacitta.net)
Questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche nell’archivio.

 

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