BORAT Regia di: Larry Charles Non c’è dubbio che "Borat" sia l’opera di un pazzo. Per fortuna. La sua inventiva, la ricchezza di momenti comici, le forzature verso il cattivo gusto e la provocazione sono tali da sorprendere anche lo spettatore più equilibrato e impermeabile. Questo "studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan", come recita il sottotitolo, non può non urtare qualche sensibilità, da quella delle femministe a quella degli ebrei, per non parlare degli stessi kazaki. Ma in realtà è soprattutto al suo stesso Paese che guarda Baron Cohen, con uno sguardo a suo modo innocente. Borat è un cronista tv, che viene mandato negli Usa per realizzare un documentario. Durante il viaggio, incontra parecchia gente che non ha idea di essere vittima di un’operazione costruita ad arte. Molti capiscono che si tratta di un personaggio che arriva da un’altra cultura e si mostrano condiscendenti con lui. Ma Borat riesce sempre a fare qualcosa di "troppo", che scatena reazioni di distacco, quando non di rabbia, nei propri interlocutori. |
Il mockumentary diventa così il ritratto di un paese monolitico, dove il razzismo e l’ignoranza veri fanno da triste contrappunto a quella ostentata dal falso giornalista. Inutile cercare un filo logico nella trama. "Borat" è una macchina per le risate, che prova gusto a eccedere, spingendosi a estremi inusuali per il cinema, almeno di questi anni recenti. I momenti memorabili sono parecchi, dalla cena intercalata con i consigli di un’esperta di buone maniere, all’inno americano cantato durante un rodeo e preceduto dal sostegno alla "guerra del terrore" di Bush all’Iraq. Le trovate sono tante, spesso originali, ma talvolta anche destinate a finire fuori bersaglio (la lunga lite fra Borat e il suo assistente, entrambi nudi, è un pezzo trascurabile, per esempio). Ma la capacità di Baron Cohen di non smascherarsi mai agli occhi dei suoi interlocutori, di mantenere sempre la maschera che ha adottato, fa sì che l’operazione alla fine si possa considerare riuscita. Per quanto lui si mostri omofobico, razzista o misogino, trova sempre qualcuno disposto a dargli ragione. A questo serve l’approvazione estrema, anche quando si concentra sulla gente del Kazakistan, usata non per cercare la risata facile, bensì per prendere la necessaria distanza critica. PER : Paradossalmente, è allo stesso tempo tanto raffinato da piacere a chi sa leggere dietro le righe che sguaiato da far sganasciare lo spettatore medio di "Porky’s".Roberto Bonino (Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con www.lucidellacitta.net) |
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