L’ASSASSINIO DI JESSE JAMES PER MANO DEL CODARDO ROBERT FORD Regia di: Andrew Dominik Jesse James è il fuorilegge più "cult" forse di tutta la storia americana. Partito come guerrigliero dell’esercito confederato, ha avuto una breve, ma brillante carriera di rapinatore di treni e banche. Dopo la morte divenne una sorta di eroe popolare, soggetto di oltre dieci film, un episodio di "Ai confini della realtà" e persino un’apparizione nella "Famiglia Bradford". Il film dell’australiano Andrew Dominik non si interessa a nulla di quanto già fatto, ma si concentra sui mesi finali della vita del bandito, quelli che precedettero la sua morte, avvenuta per mano di Robert Ford, un giovane aggiuntosi alla sua banda per un colpo poi rivelatosi finale. A rivelarci il vero intento dell’opera, tuttavia, è il seguito. Non si finisce, infatti, con l’omicidio di Jesse James, ma si segue il destino successivo di Ford, attore che mise in scena il suo gesto (nello stile alla Buffalo Bill tipico dell’epoca, con i veri protagonisti in scena), prima di finire a propria volta ucciso da un altro "uomo qualunque", in un saloon. Dominik lavora in modo autoriale, concedendo poco o nulla all’azione o alla presenza scenica di Brad Pitt, anzi chiamandolo a una prova d’attore tutto sommato riuscita, anche se forse non al punto di meritarsi la Coppa Volpi a Venezia, come invece è accaduto. Tutto è lento, meditato e serve a creare un percorso di riflessione sul mito e sulla sua distruzione, sul rapporto con la realtà e sull’illusione di poterla "fregare" sostituendosi proprio all’icona fino a poco tempo prima idolatrata. L’eroe non esiste, è solo un soggetto magari più duro e abile della media, ma in fondo desideroso della normalità che ogni tanto appare, in forma di famiglia felice, ma che poi viene puntualmente abbandonata per dar corpo al mito creato proprio malgrado. Dominik, che aveva diretto il poco visto "Chopper" (su un criminale dei nostri giorni), dilata all’estremo la sua narrazione e così a un lungo titolo corrisponde un lungo film di due ore e quaranta, capace di proporci una visione oscura del periodo storico descritto, così come di affascinarci con gli squarci ambientali e la cura delle immagini. Il tono autoriale, però, pesa non poco sull’esito finale, facendo prevalere l’autocompiacimento all’efficacia del racconto, la voglia di fare il moderno Shakespeare a quella di aggiornare il linguaggio del western e dell’affresco storico. Complessivamente, il film resta interessante e certamente originale nella scelta di essere antihollywoodiano. Ma pur nel rispetto delle scelte talvolta estreme, un po’ di sintesi qua e là avrebbe sicuramente giovato alla causa. PER : Chi ha apprezzato il Pitt di "L’esercito delle dodici scimmie" e meno quello di "Ocean’s 13". In attesa dei nuovi film di Terrence Malick o Jim Jarmusch.Roberto Bonino (Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con www.lucidellacitta.net) |
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