LA CASA DEL DIAVOLO

Regia di: Rob Zombie
Attori: Sid Haig, Bill Moseley, Sheri Moon e William Forsythe
Titolo originale: Devil’s Reject
Origine: USA e Germania 2005
Distributore: Eagle Pictures
Link: www.eaglepictures.com
Durata: 109’
Programmato dal 12 maggio 2006

C’è un po’ di stoffa in quell’uomo truculento che è Rob Zombie, star musicale dell’heavy metal, che da un paio d’anni si è scoperto una vena da regista. E c’è un modello di riferimento, quel Roger Corman dal quale Zombie prende a prestito l’attrice Mary Woronov, icona del cinema indipendente americano degli anni '60 e '70. Rispetto a "La casa dei 1000 corpi", ci sono anche dei passi avanti stilistici, un po’ meno violenza gratuita e un po’ più di autentica tensione. La storia è una specie di "Natural born killers" ambientata nel desertico sud degli Stati Uniti, che inizia con un uomo che trascina il corpo nudo, lercio e inanimato di una donna. Scopriamo che fa parte di una famiglia omicida che, nel 1978, ha compiuto circa 75 omicidi prima di essere scoperta dalla polizia. La loro casa viene circondata, parte una serrata sparatoria, che porta a qualche vittima da ambo le parti, la cattura della madre e la fuga di due dei figli, uno psicopatico con lunghi capelli e barba grigia e una bionda sexy un po’ più giovane ma altrettanto disturbata. I due prendono in ostaggio un gruppo di persone e lì vengono raggiunte dal padre, un repellente anziano mascherato da clown, poco avvezzo all’igiene e creativo nella vena omicida. Le vittime che si disseminano lungo il film non vengono semplicemente uccise, ma torturate, forzate a torturare qualcun altro, tormentate ancora un po’ e poi finite. Sembra una rappresentazione del male puro, tant’è che uno dei serial killer ammette di sentirsi il diavolo in persona, ma nessuno pare salvarsi, visto come si comporta il poliziotto che si mette sulle tracce dei fuggiaschi. Dietro la compiacente esibizione di truculenze e lerciume, tuttavia, ci sono dialoghi non troppo banali e uno stile di regia che rimanda all’horror indipendente di quegli anni 70 che mette in scena e dai quali pesca anche una colonna sonora tutta fatta di solido rock sudista. L’uso del freeze frame del rallentatore serve a scandire qualche passaggio ed è un altro segno di una crescita nella perizia registica di Rob Zombie, che nel cinema pare decisamente più ispirato che nelle sue monocordi e chiassone prove musicali. Quello che gli manca, ora, è il senso del film, del racconto, dell’analisi del contorno, dell’uso delle immagini non solo per il gusto dell’effetto sanguinolento, ma anche per uno scopo narrativo più alto. Per chi apprezza il genere...

PER: Un nuovo Tobe Hooper, forse, si affaccia all’orizzonte. Per stomaci forti, in ogni caso.

Roberto Bonino

(Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con www.lucidellacitta.net)
Fino al 6 luglio 2006 questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche tra i film già usciti e successivamente nell’archivio.

 

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