CROSSING THE BRIDGE: THE SOUND OF ISTAMBUL
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2005

Regia di: Fatih Akin
Attori: Alexander Hacke, Baba Zula, Orient Expressions e Duman
Titolo originale: Crossing the Brige: the Sound of Istambul
Origine: Germania e Turchia 2005
Distributore: Fandango
Link: www.fandango.it www.crossingthebridge.de
Durata: 90’
Programmato dal 1 settembre 2006

La politica di distribuzione di documentari di qualità della Fandango prosegue con l’omaggio che Fatih Akin, regista dell’ottimo "La sposa turca", dedica al variegato panorama musicale turco, specchio di una realtà assai più dinamica di quello che ci hanno abituato a pensare da queste parti, ultimo testimonianza di quel crocicchio di influenze orientali e occidentali che il Paese è stato per tanti secoli. Akin ha seguito il viaggio di Alexander Hacke, musicista tedesco del gruppo elettronico "noise" degli Einsturzende Neubauten, arrivato in Turchia per conoscere i colleghi neo-psichedelici dei Baba Zula, divenuto membro della band per un periodo e così entrato in contatto con un universo artistico catturato con il proprio "microfono magico", abitualmente utilizzato per registrare suoni di strada poi campionati e inseriti nei brani musicali del proprio gruppo. I suoni costellano il film, ma diventano anche il filo di Arianna per leggere in filigrana riflessioni sull’attuale situazione politica turca, sul nazionalismo, l’identità religiosa, l’integrità culturale e la percezione che di tutto questo si ha al di fuori del Paese. Oltre una quindicina di cantanti o gruppi sono ritratti nel loro elemento naturale. Si spazia dal rapper Ceza (il suo nome significa "punizione" e lui rivendica il ruolo politico della musica), al suonatore di liuto (dal lungo collo) Orhan Gencebay, dai danzatori rotanti fino all’ottuagenaria Muzeyyen Senar, che si esibisce a un’orchestra tradizionale turca. Tutti hanno una storia da raccontare e qualcuna è particolarmente toccante. Aynur, per esempio, è una cantante curda i cui testi sono stati banditi dal governo per due decenni, in ossequio a una politica tesa a negare l’identità di questa minoranza. La sua performance, durante la quale canta frasi come "Il mio dolore è il dolore di Dio", è uno dei momenti più alti di tutto il film. Nato in Germania da genitori turchi, Fatih Akin vuole mostrarci che il suo Paese e tutto l’Est non possono essere ridotti a semplici stereotipi. Il sassofonista degli Orient Expressions (un duo di Dj che mixa ritornelli locali e musica anatolica) se la prende espressamente con la visione riduttiva del mondo alla Bush e chiarisce che Istanbul dimostra come non esista un conflitto di civiltà, ma solo una potenziale fusione ogni volta che paesi e culture si incontrano e interagiscono. Difficile non pensare che sia così ascoltando artisti come il rocker Duman (scappato da Seattle per tornare a casa) o Mercan Dede, capace di fondere l’elettronica da dance-floor con i movimenti con la cultura sufi dei dervisci rotanti.

PER: Una lunga ed eclettica colonna sonora alternata con cartoline da una delle città fra le più belle al mondo.

Roberto Bonino

(Questa pagina è stata realizzata in collaborazione con www.lucidellacitta.net)
Fino al 8 gennaio 2007 questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche tra i film già usciti e successivamente nell’archivio.

 

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