LAVORARE CON LENTEZZA

Regia di: Guido Chiesa
Attori: Tommaso Ramenghi, Marco Luisi, Jacopo Bonvicini, Claudia Pandolfi, Valerio Binasco e Valerio Mastandrea
Origine: Italia 2004
Distributore: Fandango
Distributore DVD 2004: Cecchi Gori Home Video
Link: www.fandango.it www.theworksltd.com www.roissyfilms.com www.radioalice.org www.lavorareconlentezza.com www.cghv.it
Durata: 107’
Programmato dal 1 ottobre 2004

Tutto parte da un documentario della Fandango intitolato Alice in Paradiso, girato da Guido Chiesa, che ripercorreva le storie che stavano dietro Radio Alice. Chiesa propone di girare un film su alcuni ragazzi che gravitano intorno all’emittente bolognese ed ecco che nasce Lavorare con lentezza, il cui titolo rimanda alla canzone di Enzo Del Re, che apriva ogni mattina le trasmissioni di Radio Alice. Il fatto che Chiesa allora avesse solo 16 anni, e adesso volesse saperne di più ha fatto sì che nascesse questo film. Chiesa è torinese, e ha vissuto molto negli Usa, dove ha studiato cinema e lavorato con registi indipendenti, segnatamente con Jim Jarmush, Nicolas Roeg, Amos Poe, Michael Cimino, realizzando i primi cortometraggi e occupandosi contemporaneamente di musica, a livello critico. Poi torna in Italia e passa alla regia, alternando documentari a film, esordendo con Il caso Martello (1992). Seguono Babylon: la paura è la migliore amica dell’uomo (1994), Materiale resistente (1995, doc., coautore Davide Ferrario), Partigiani (1997, doc. , coautore Davide Ferrario), Nascita di una democrazia (1997, doc.), Il partigiano Johnny (2000), Non mi basta mai (2000, doc., coautore Daniele Vicari), Un altro mondo è possibile (2000, doc. collettivo sul G8 genovese), Alice è in paradiso (2002, doc.), Lavorare con lentezza (2004). Qui le contaminazioni musicali si concentrano in via del Pratello, 41, a Bologna. Quello è l’indirizzo di Radio Alice dove si intersecano le vite di due aspiranti ladruncoli, che di notte fanno un buco a pagamento per una rapina, e di giorno frequentano la radio dopo averne fatto la colonna sonora del lavoro notturno. Il film coglie il "movimento" nella sua versione dadaista, maoista e musicale, chiudendosi sul finale con la registrazione originale della chiusura della sede per opera della polizia il 14 marzo 1977.

Vuoi raccontare la scelta delle musiche e il perché di Casta diva alla morte di Francesco Lorusso?

Chiesa: - Casta diva è una scelta puramente emotiva, nel senso che è un brano musicale che mi piace moltissimo. Col tempo ho capito anche che queste scelta emotiva aveva anche un elemento razionale. Il personaggio della Norma, mi sembra molto vicino al movimento del ’77, movimento innocente e colpevole al contempo. In questo senso, proprio in quel momento, che come dice nel film il personaggio interpretato da Massimo Coppola: Noi non potevamo fare altro, non potevamo che difenderci, oggi. In quel momento, però, c’è quel passaggio di confine che porta quel movimento verso l’implosione, il suicidio, la chiusura.

Le altre musiche… gli Afterhours hanno inciso un singolo che comprende Gioia e rivoluzione in due versioni: quella video e quella del film. Il cd comprende altre due cover oltre quella degli Area: La canzone di Marinella da De André e La canzone popolare da Fossati. Poi c’è la colonna sonora che include tutte le canzoni del film e brani audio originali di Radio Alice, come quello che chiude il film, che è l’audio originale dell’ultimo giorno della radio con l’irruzione delle forze dell’ordine. Non mi hanno fatto mancare nulla, dal punto di vista dei costi anche rispetto alle musiche. Pensavo di mettere i Clash sui titoli di coda, ma mi hanno chiesto una cifra esorbitante, per cui ho optato per Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano e visto il risultato sono felice di averlo fatto. Poi per Jimi Hendrix hanno chiesto cifre mostruose. Eppure sarebbe bello mettere Hendrix perché il primo brano che Radio Alice trasmise fu l’inno americano rifatto da lui: 100.000 euro. Bene, mettiamo l’inno italiano rifatto da un novello Jimi Hendrix che si chiama Teho Teardo, che lo fa a modo suo. Per il resto è stato facile: Land di Patti Smith, Frank Zappa e poi il dissacrante (per i canoni di Radio Alice) Kung fu fighting di Carl Douglas.

E naturalmente, gli Area rivisti dagli Afterhours.

Chiesa: - Sugli Area è stata una scommessa. Volevamo questa scena con loro perché sapevamo che avevano fatto questo concerto. Io ho visto sei volte gli Area prima del 1978. Secondo me sono il gruppo più importante della storia del rock italiano, nulla me ne vogliano gli Afterhours o i miei amici Cccp. Hanno fatto Gioia e rivoluzione che è la canzone simbolo, che in seguito altri non hanno potuto fare perché non c’era quel contesto. La ascolti ancora adesso e capisci cosa può essere accaduto in quel periodo. Basta pensare alla forte scommessa: unire la parola gioia alla parola rivoluzione. Le rivoluzioni sono sempre pensate come qualcosa di violento, la conquista del Palazzo d’inverno. No, l’idea della rivoluzione come gioia, non come qualcosa di plumbeo, militarista, drammatico. Riesce, come un affresco di Michelangelo a sintetizzare ed esprimere lo spirito di un tempo, cosa che nessun film e nessun libro è riuscito a fare. Nemmeno Porci con le ali che eppure fu un libro simbolo di quella generazione.

Perché hai scelto gli Afterhours?

Chiesa: - L’idea iniziale era di mettere in scena gli Area con delle comparse che suonassero in playback. Poi invece ho pensato fosse giusto prendere un gruppo di oggi che non facesse gli Area, che facesse se stesso, e la scelta è caduta sugli Afterhours, aldilà della simpatia e dell’apprezzamento sul gruppo, perché secondo me hanno un’energia che li avvicina, a quella che avevano gli Area. Erano un gruppo, gli Area, apparentemente cerebrale, ma il mio ricordo, nei concerti, è qualcosa di altamente adrenalinico.

Il compito più difficile è toccato a Manuel Agnelli degli Afterhours, che ha dovuto indossare i panni di Demetrio Stratos in Gioia e rivoluzione.

Agnelli:Io ho affrontato questa cosa con molta leggerezza, perché penso sia l’unico modo di affrontare gli Area, che sono delle pietre miliari. In realtà era molto imbarazzante, anche perché musicalmente veniamo da due percorsi completamente diversi. Per noi l’unico modo di essere credibili in una situazione del genere, non era rifare gli Area paro paro, ma essere noi stessi con la musica degli Area. In quel periodo ero ragazzino, avevo 13, 14 anni. Non so esattamente cosa successe, non ho vissuto direttamente quei momenti, li ho un po’ subiti passivamente. In prima superiore mi portavano in manifestazione, ma in realtà a me non piaceva andarci. Però mi ricordo bene che tutte le cose venivano discusse fino in fondo, c’era l’approfondimento e i tempi erano molto dilatati, a differenza di come sto vivendo adesso.

 

 

Cosa ne pensa Patrizio Fariselli degli Area di questa versione di un loro pezzo e com’era fare musica allora?

Fariselli: - Per tornare a quei periodi, quando io avevo 18, 19 anni e cercavo di fare musica, il panorama, in Italia, era desolante. Era pazzesco solo pensare di salire sul palco e fare cose che non fossero di intrattenimento o musiche istituzionali e quant’altro. Sull’onda del ’68 c’è stata una grossa liberazione per i giovani musicisti: si poteva suonare e c’era gente che ascoltava. Ci siamo presi uno spazio lottando a fondo, mettendo in gioco la nostra stessa vita. La differenza adesso è che non c’è differenza, è difficile ugualmente. Quello che intendo comunicare ai ragazzi di oggi è che bisogna fare la stessa cosa, riprendersi gli spazi, anche perché il tentativo è sempre di massificare gli spazi, di chiuderli a chi non è integrato al sistema. Devo fare i complimenti agli Afterhours. Tutto mi è piaciuto moltissimo, mi sono divertito, mi sono commosso, ho riconosciuto tantissimo i miei 20 anni, quel periodo. C’è solo una differenza rispetto al concerto, che quel giorno pioveva che Dio la mandava.

Agnelli: - Pioveva anche quando abbiamo girato, solo che con le luci hanno reso la scena diversa.

Chiesa: - Noi avremmo voluto farlo sotto la pioggia, perché sapevamo che quel giorno a Bologna pioveva. C’erano 400 comparse nel prato, che dovevano montare la tettoia per riparare dall’acqua, poi la produzione mi ha fatto desistere, perché troppo complicato sotto la pioggia, e ho optato per far montare alle comparse il palco.

Non hai avuto la tentazione di mostrare il raduno dei movimenti seguito alla morte di Lorusso?

No. Semmai la tentazione è stata quella di mettere un più forte richiamo al presente. Però poi quando abbiamo visto il film non ne abbiamo sentito il bisogno. Non so, una frase che ricordasse che l’omicidio di Francesco Lorusso è stato archiviato. Non è mai stato effettuato un processo. Salta agli occhi l’evidenza con Genova, anche se, secondo me, il caso Lorusso è ancora più grave perché si trattò di un omicidio fatto senza telecamere di fronte a decine di testimoni oculari, senza una minaccia diretta verso l’autore dell’omicidio. Ci sembrava veramente inutile. O si pensa che lo spettatore è un cretino a cui va spiegato per filo e per segno tutto, oppure, come crediamo noi, lo spettatore è una persona intelligente sempre e comunque che, in base alla sua cultura, contesto, condizione sociale e via dicendo, capirà quello che è in grado di capire e ha voglia di capire. Per questo non abbiamo sentito la necessità di aggiungere qualcos’altro.

Extra DVD:
Formato video: 4/3 1.66:1
Audio: italiano Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: italiano per non udenti
Contenuti extra: Avvertenze, Crediti, Making of, Radio Alice: dal documentario al film, Enzo del Re. Cantastorie di Mola di Bari, Trailer, Cast artistico e tecnico

Marcello Moriondo

 

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