LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (20th Century Fox)

Intervista a Antonio Avati e Lino Capolicchio

A 25 anni dalla sua realizzazione, esce in dvd per la 20th Century Fox, un culto del gotico italiano, La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, prodotto dal fratello Antonio e Gianni Minervini e interpretato da Lino Capolicchio e Gianni Cavina, che con Maurizio Costanzo, ha partecipato alla stesura della sceneggiatura. È la storia di un restauratore che, trovatosi nella bassa padana per il recupero di un "San Sebastiano", rimane coinvolto in orrorifici quanto misteriosi omicidi.

La versione del film contenuta nel dvd è completamente masterizzata e restaurata, e comprende lo speciale "25 anni di culto" con interviste agli autori e agli interpreti.

LINO CAPOLICCHIO

M. Moriondo – Da quanto tempo non vedi La casa dalle finestre che ridono?

L.. Capolicchio – L’ho visto in televisione alcuni anni fa, una copia molto brutta, non si vedeva nulla. Il restauro è stato fatto molto bene e in ogni modo c’è sempre un minimo di distacco quando si vedono i propri film, e anche un po’ di rimpianto perché ti vedi più giovane.

Era un periodo in cui lavoravi molto.

Sì, lavoravo tantissimo. Poi, sai, il mio problema è sempre stato, non solo allora ma anche adesso, di trovare delle cose stimolanti. Il cinema puramente commerciale, non mi è mai interessato. Dovevo sempre cercare una cosa che mi coinvolgesse, che mi stimolasse.

Che cosa ricordi del periodo della lavorazione?

Intanto ricordo delle belle mangiate e bevute, perché con Avati, in tutti i posti che andavi, saltavano fuori delle gran fettuccine al ragù. Poi devo dire che c’era una bell’atmosfera. Era la prima volta che lavoravo con lui e mi sono subito trovato in sintonia, a parte il fatto che il signore che ci ha affittato questa villa dove soggiornavamo era omosessuale e mi corteggiava. Allora lì ho avuto qualche problema.

Parlami del tuo personaggio nel film.

È curioso rappresentare cinematograficamente uno che fa il restauratore. Ma copione era decisamente interessante, quindi non ha faticato ad entrare in sintonia con il personaggio.

Film tuoi recenti?

Ho fatto due film come regista e uno l’ho terminato da poco, quindi spero che esca presto. Si chiama Le sorelle Manzoni, un film d’epoca, tutto in costume. Si svolge alla metà dell’Ottocento ed è la storia dell’ultima figlia di Manzoni e del suo terribile rapporto con questo padre. Recentemente non ho più fatto cose per la televisione, mentre invece ho fatto uno spettacolo di gran successo in teatro in teatro in cui faccio un travestito. Come dicevo prima, devo fare delle cose che mi piacciono, che m’ispirano, oppure ci deve essere una sfida, come quella del travestito. C’era una sfida vera.

Come quando a cavallo tra i Sessanta e i Settanta interpretavi quei personaggi anticonformisti, di rottura, scomodi.

Infatti. A me non importa nulla di lavorare solo per i soldi. Allora facevo il lavoro di mio padre. Lui guadagnava un sacco di soldi facendo il commerciante di legnami. Non si fa l’attore per i soldi. I soldi poi ti arrivano in ogni caso, però non puoi partire pensando ‘lo faccio per questo’. La questione non è essere felici se si hanno più o meno soldi. Io so che sono infelice se non faccio le cose che mi piacciono. Questo mi rende profondamente infelice.

Parlando ancora di sfide, puoi dirmi qualcosa di più di Le sorelle Manzoni, sulle attrici?

C’è una ragazzina esordiente che ho scelto facendo 800 provini, che si chiama Ludovica Andò. C’è Laura Betti che fa una partecipazione, l’attrice francese di Histoire d’O, Corinne Cléry che fa la zia francese, Lea Gramsdorf, che ha fatto La cena di Scola interpreta la sorella. È un film non facile visivamente ma molto prezioso, perché ogni inquadratura sembra un quadro d’epoca.

Se ci fosse la motivazione, torneresti a fare film fine Anni Sessanta tipo Escalation di Roberto Faenza, scomparso nel nulla assieme a tante pellicole d’epoca?

Escalation l’ho registrato, perché è passato in televisione una volta. Comunque tornerei a fare film di questo genere. È che non si fanno più.

E per la televisione?

Nulla. Venderò una sceneggiatura, alla televisione, che ho scritto vent’anni fa, che piace molto alla televisione.

ANTONIO AVATI

M. Moriondo – Avete seguito i lavori di restauro?

A. Avati – Li abbiamo seguiti solo parzialmente, perché il nostro lavoro non ci concedeva molto tempo per farlo e anche principalmente perché non siamo dei tecnici. Pasquale Rachini, che era il direttore della fotografia allora, ed è tutt’ora il nostro direttore, ha seguito in studio con Luciano Vittori i lavori di restauro e ci relazionava continuamente. Mi risulta che è stato fatto un lavoro molto serio e professionale.

Questo lavoro ricorda la professione del protagonista del film, che è un restauratore.

È vero, non ci avevo pensato. Possiamo dire che è un film di restauro doppio.

La vostra storia cinematografica comprende la trasformazione di alcuni attori di commedia in interpreti di ruoli drammatici. Carlo Delle Piane , Diego Abbatantuono, per esempio.

Per quanto riguarda Carlo Delle Piane, il primo film che gli offrimmo non era proprio drammatico, era grottesco, strano, forse un po’ datato, perché un po’ infantilmente volevamo riecheggiare una certa comicità americana che ci piaceva molto. Arrivavano in Italia i primi film di Mel Brooks, Bananas di Woody Allen. Allora scrivemmo questo copione che si chiamava Tutti defunti tranne i morti, che aveva come protagonista un giovane venditore di libri. Per questo ruolo abbiamo visionato un serie di comici che arrivavano da vari programmi televisivi. Delle Piane fu un’idea mia. Lo incontrai stranamente alcune volte in sale cinematografiche d’essai dell’epoca, dove c’erano delle programmazioni completamente diverse rispetto a quello che mi immaginavo potesse essere la cultura di Carlo. Simpatizzammo, diventammo amici, costrinsi Pupi, che non voleva saperne, a conoscerlo. Con uno stratagemma lo portai in sartoria (era un film in costume) e lo feci vestire di nascosto con questo impermeabile all’americana, il cappello sugli occhi e gli occhialini. Bastò che sgranasse gli occhi e facesse due o tre faccette che Pupi rimase affascinato. I ruoli più importanti li fece dopo, con Regalo di Natale e il Leone d’Oro a Venezia. E qui entra in ballo Diego Abbatantuono da un’idea di mio fratello. Fummo fortunati di trovarlo a Roma proprio in quel periodo, che tra l’altro era un periodo che gli andava tutto male, Pupi lo chiamò, lui venne di corsa e credo che fu uno dei giorni più felici della sua vita, perché possiamo dire che tramite quel film gli abbiamo completamente cambiato la vita.

Tra quelli che avete scoperto, quali sono gli attori che ricordate con più affetto? Qualcuno è anche scomparso per sempre.

Se parli di attori scomparsi è chiaro che parli di Nick Novecento. Era un ragazzo, una meteora, un angioletto che ci è rimasto nel cuore. Non era solo un attore che lavorava con noi ma era nostro figlio, nostro nipote, tutto, viveva a casa mia quando viveva a Roma. Era proprio il nostro figlio putativo, ce lo portavamo in giro, gli abbiamo insegnato tutto.

Poi sono passati altri che sembrano non ricordare di aver fatto il loro primo film da protagonisti con noi. C’è Stefano Accorsi che da studente si è trovato improvvisamente a interpretare un film da protagonista in America: Fratelli e sorelle. Poi Impiegati è il primo film di Elena Sofia Ricci e di Luca Barbareschi. Nel cast di Storia di ragazzi e ragazze c’era un’altra esordiente che è sparita dalla nostra vita senza dimostrare mai un minimo di gratitudine e si chiama Valeria Bruni Tedeschi. Come produttori abbiamo prodotto il primo film di Benigni, Berlinguer ti voglio bene, il primo di Lamberto Bava, Macabro.

Torneresti a fare film tipo La casa dalle finestre che ridono?.

Film così autarchici e produttivamente miseri non si possono più fare. Non abbiamo più né forza, né entusiasmo, né fisico. Credo che il pubblico oggi desideri formalmente qualcosa di più. Invece a livello di paura, di genere, di storia gotica, horror, sì, continuiamo a farli, Pupi ha fatto un film, molto più curato, intellettualmente molto più colto, come L’arcano tentatore che bene o male era sempre sul versante gotico. E in futuro gireremo senz’altro un altro film su questo versante dal titolo Le torri del silenzio, ambientato completamente in America.

E nell’immediato futuro?

Una storia d’amore, una commedia ambientata nel primo novecento, su soggetto originale di Pupi.

Difficilmente ambientate una storia nel presente. Spesso, come in questo caso, tornate indietro nel tempo.

Non è per un fatto nostalgico, ma per una questione storico-culturale. Credo che mio fratello sia uno dei più grandi esperti del medioevo. Basta guardare Magnificat o I cavalieri che fecero l’impresa per capirlo. C’è stata una ricerca filologica e storica enorme da parte di Pupi.

Marcello Moriondo

 

 

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