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HOLLYWOOD ENDING

Regia di: Woody Allen
Attori: Woody Allen, George Hamilton, Tea Leoni, Debra Messing, Mark Ryddel e Treat Williams
Titolo originale: HOLLYWOOD ENDING
Origine: USA 2002
Distributore DVD 2004:Medusa
Link: www.medusa.it
Durata: 114’

"Il problema di Val, è che è assediato di colpo da tutte le sue nevrosi durante la lavorazione di questo film. Quale regista non ci è passato?" Woody Allen.

Arriva in sala "Hollywood Ending" che Woody Allen ha portato a Cannes. Woody da sempre snobba i festival, anche quando si trovava a Venezia in concomitanza con la Mostra, difficilmente metteva piede al Lido, comportandosi da vero turista americano e limitandosi magari a una performance musicale con il suo clarinetto. Ma quest’anno no, Allen ha fatto un’eccezione concedendosi per la prima volta alla 55° edizione del Festival di Cannes, con tanto di conferenza stampa in una sala affollatissima. Il film è stato massacrato dalla critica americana, che da sempre considera "troppo intellettuale" il regista, quindi lontano dalle logiche di bottega Hollywoodiane. I francesi invece l’hanno osannato, paragonandolo addirittura al Chaplin di "Il monello" (Le Monde). Naturalmente si va da un eccesso all’altro. Comunque sia, è un’opera del tutto rispettabile.

Se sono vere le voci che vedono Allen legato controvoglia alla Dreamwork di Spielberg, il regista sbatte in faccia allo spettatore tutta la sua avversione verso la major americana, che nel film assume il nome simbolico di Galaxie Pictures. Già il titolo della pellicola è profetico. È una storia su Hollywood in cui fin dall’inizio si individua il "cattivo" nella persona del produttore, interpretato da Treat Williams. Woody indossa i panni di Val, un regista sfigato e in declino, che filma documentari nel bel mezzo di una tempesta di neve. Oltretutto è ipocondriaco e si inventa tutti i malanni del mondo. Ellie, la sua ex-moglie, che ora vive con un produttore, convince il suo nuovo compagno ad affidare a Val la regia di un film. Il pensiero di girare una pellicola con i soldi del fidanzato della sua ex accentua la sindrome ipocondriaca di Val, che cade affetto di cecità psicosomatica. La situazione ben si adegua al detto ‘non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere’. Informando solo il suo fedele agente della sopraggiunta infermità, Val inizia la lavorazione come se nulla fosse, complice un interprete cinese che lo supporta e indirizza nei momenti più difficoltosi della realizzazione.

Ruotando attorno a questa trovata, Allen segue un copione zuppo di gag, equivoci e soprattutto cattiverie. Forse non è mai stato così amaro verso il sistema hollywoodiano, che predilige il business alla qualità del prodotto. La cecità del protagonista può essere paragonata a quella della Mecca del cinema, non vedente e disorientata verso i reali problemi della società, verso quello che gli accade intorno, troppo occupata a seguire le nuove tecnologie e le produzioni filo-governative a discapito dei contenuti. Lo racconta in modo divertente, come al solito, ma a tratti risulta anche cattivo, triste e vendicativo, mettendo a confronto la routine fittizia del set cinematografico con la solarità dello scorcio di Central Park ripreso con le panchine da lui tanto amate. La morale finale evidenzia il desiderio inconscio e irrealizzabile di fuga.

Marcello Moriondo

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