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Analisi dei testi cinematografici 

 

Blow Up

Italia/Gran Bretagna (1966)

 

 Regista:

Michelangelo Antonioni

Soggetto:

Michelangelo Antonioni (ispirato a un racconto di Julio Cortazar)

Sceneggiatura:

Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra

Fotografia:

Carlo Di Palma

Musica:

Herbert Hancock

Attori Principali:

David Hemmings (Thomas), Vanessa Redgrave(Jane), Sarah Miles (Patricia) 

Trama:  

(rielaborata dal “Dizionario del cinema italiano” di Di Giammatteo e da “Guida al Novecento” di S. Guglielmino)

Protagonista di Blow-up è un giovane fotografo che lavora nel campo della moda nella Londra degli anni ‘60. E proprio sulla realtà londinese decide di realizzare un fotolibro. Dopo una notte trascorsa a fotografare in un ospizio, si sofferma in un parco dell’East End e qui riprende l’abbraccio di una giovane donna con un uomo molto più anziano di lei. La donna se ne accorge, lo raggiunge fino a casa chiedendo con agitazione il rullino; pur di averlo si offre di fare l’amore con lui.Svagato e lontano Thomas dice di accontentarla, ma le dà un altro rullino e comincia a sviluppare le foto scattate al parco e ad ingrandirle (blow-up, appunto).  

Dall’ingrandimento scopre dietro una siepe, vicina al posto dov’era la coppia, la sagoma che potrebbe essere di un corpo senza vita. Ritorna la parco ed effettivamente trova il cadavere. Tenta inutilmente di parlarne con il suo editore, ma il giorno successivo il cadavere è scomparso così come i negativi e gli ingrandimenti dal suo studio. Incapace di cogliere il senso di quanto gli succede, Thomas vaga per al città e nel parco: qui due giovani, attorniati dai loro compagni, tutti con abbigliamenti e trucchi da clown, mimano una partita a tennis: fanno i gesti del gioco ma senza pallina e senza racchette. Thomas, perplesso, guarda: e finisce col prestarsi anche lui a quel gioco.  

 

Alcune sequenze, ovvero il deserto esistenziale del “nulla abitato”...  

“Blow-up” sembrerebbe un film giallo. La serie di “ingrandimenti” che Thomas realizza nel suo studio fotografico -asettico come il contatto che il protagonista ha con il suo lavoro di fotografo di moda- parrebbe trasformare il giovanotto in Rolls-Royce, dalla falcata lenta negli inappuntabili jeans bianchi, in un novello Sherlock Holmes... In realtà la sua ricerca si fermerà davanti ad una virtuale partita a tennis, in cui i contorni della realtà si sfumano, in cui tutto si dissolve in un’accettazione svagata di ciò che è comunque casuale e aleatorio. «Più che la vita -dice Salvatore Guglielmino, in una sua analisi al film- abbiamo la finzione della vita; e in questo senso le sequenze finali della partita a tennis sono esemplari e illuminanti per la comprensione di questo (non facile) film». Il tema, non nuovo in Antonioni, già autore di “I am a camera” (Io sono una macchina fotografica), dell’estraneità e dell’inconoscibilità della realtà. La macchina fotografica, la cinepresa, la tv «restituiscono la superficie delle cose, non la loro essenza» (Ugo Casiraghi) .

C’è un gioco di sottili rimandi, in Blow-up, che, seppur slegati da una logica concatenazione, come per improvvise “illuminazioni” (epifanie, diremmo con Montale e Joyce), svelano la vacuità delle cose e delle emozioni nella società dell’Europa degli anni dello sviluppo, della beat generation, del neocapitalismo, di un rassicurante quanto finto benessere.

Questo il valore del “nulla abitato”che, sulla scorta di Brunetta, si traduce «in rifiuto di un senso che rinvii ad un altro, di una costruzione narrativa soggetta a scadenze, a momenti forti, a concatenazioni e legami casuali tra gli eventi; una particolare concezione dello spazio, in cui i personaggi si muovono, sentito come enigmatico sfuggente, ostile e inconoscibile»; una sorda incomunicabilità -aggiunge Guglielmino-tra gli esseri umani che nel benessere del capitalismo vivono come in un deserto, reificati ed alienati.

Un’alienazione che, oggi, impigliati nella rete delle reti, con un piede sulla Terra e un’altro su Marte, sembra aver trovato nuove fonti per alimentarsi.

«Come nella moda e nel costume -scrive Casiraghi- lo sviluppo massificato si è poi avuto, così Blow-up prevede il progressivo deragliamento della realtà virtuale. Oggi, a quasi trent’anni di distanza, della moda si dice “sotto il vestito niente”. Oggi quella partita a tennis non è più una metafora, né un delirio dell’immaginazione e tanto meno, com’era allora, un gioco tra allegro e patetico. E’ diventata l’incubo ossessivo che ha invaso ogni campo, dalla pubblicità alla politica».  

 

L’ambiente

A far da scenario al Thomas fotografo di grido non poteva che essere la swinging Londra degli anni Sessanta, con i suoi ammiccamenti alla “rivoluzione giovanile” e lea sua sazietà di libertà, «nel malessere strisciante di una società in declino e senza valori stabili».

Antonioni al proposito è chiaro: «Originariamente la storia di Blow-up avrebbe dovuto essere ambientata in Italia, ma mi resi quasi subito conto che sarebbe stato impossibile localizzare in qualche città italiana la vicenda. Un personaggio come Thomas non esiste realmente nel nostro paese. Al contrario l’ambiente nel quale lavorano i grandi fotografi è tipico della Londra dell’epoca in cui si svolge la narrazione. Thomas, inoltre, si trova al centro di una serie di avvenimenti che è più facile ricollegare alla vita londinese che non a quella di Roma o di Milano. Egli ha optato per la nuova mentalità che si è creata con la rivoluzione della vita, del costume, della morale in Gran Bretagna, soprattutto tra i giovani artisti, pubblicisti, stilisti o tra i musicisti che fanno parte del movimento Pop. Thomas conduce un’esistenza regolata come un cerimoniale e non a caso afferma di non conoscere altra legge che non sia l’anarchia».

Blow-up vinse la palma d’oro a Cannes nella primavera del 1967, applaudito dalla stessa platea che sette anni prima aveva bocciato il capolavoro “L’avventura”.