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Analisi dei testi cinematografici 

 

Full Metal Jacket

Gran Bretagna/Usa (1987)

 

 Regista:

Stanley Kubrick

Soggetto:

dal romanzo di Gustav Hasford (The Short Timers) 

Sceneggiatura:

Gustav Hasford, Michael Herr, Stanley Kubrick 

Fotografia:

Douglas Milsome 

Musica:

Abigail mead (pseudonimo di Vivian Kubrick, autrice delle musiche originali); Johnny Wright (Hello Vietnam), The Goldman band (The Marines Hymn), Nancy Sinatra (These boots are made for walking); The Dixi Cups (Chapel of love), Sam the Sam e the Pharaos (Wooly Bully), Mick Jagger e Keith Richards (Paint It Black, cantata dai Rolling Stones).

Attori Principali:

Matthew Modine (Private Joker), Adam Baldwin (Animal Mother9, Vincent D’Onofrio (soldato Leonard “Gomer Pyle”), R. Lee Ermey (sergente Hartman)

Trama:

 

(riadattata dal “Dizionario del cinema americano”, di Fernaldo Di Giammatteo):

Parris Island, South Carolina. Centro d’addestramento dell' United States Marine corps. Le nuove reclute si presentano all’inflessibile sergente Hartman per partecipare al “Corso di otto settimane per falsi duri e pazzi furiosi”, prima di partire alla volta del Vietnam, un addestramento alla fine del quale dovranno diventare non robot ma killer.

Tutti tengono testa al feroce sergente Hartman, tranne uno, il soldato Pyle, un grassone stonato e timido. Hartman lo prende di mira e dopo averlo sottoposto alle più svariate umiliazioni, ne affida la tutela al soldato Joker, l’unico che aveva avuto il coraggio di ribattere alle sue invettive.Per svegliare Pyle tutti i soldati del plotone lo coprono di botte. E Pyle si sveglia e diventa un tiratore scelto. L’ultima notte prima della partenza Joker, di guardia gira per la camerata e trova Pyle che, nel gabinetto, parla al suo fucile (“Questo è il mio fucile, c’è ne sono tanti come lui ma questo è il mio. Il mio fucile è il mio migliore amico. Io debbo dominarlo come domino la mia vita senza di me il mio fucile non è niente. IO senza di lui non sono niente”, Questo era quanto gli avevano fatto imparare al corso). Pyle canta le lodi della pallottola usata dai marines, la calibro /,62, “full metal jacket”, quando il sergente Hartman sopraggiunge e Pyle gli spara a freddo un colpo di pistola letale. Poi si siede sul water, si pianta il fucile in bocca e si spara.

La seconda parte del film, inizia in una città del Vietnam. Jocker, che scrive per il giornale militare “Stars and Stripes” tiene d’occhi più le direttive del comando operativo che la realtà. I vietcong preparano l'offensiva proprio in occasione del capodanno Vietnamita del Tet, quando gli americani pensavano che tutto sarebbe rimasto tranquillo. Jocker raggiunge il fronte in elicottero, lo stesso dal quale un altro soldato ammazza i contadini in fuga senza una ragione.Gli americano partono poi per la città di Hue, e tra le macerie alcuni compagni della pattuglia di Joker cadono sotto i colpi dell’unico cecchino rimasto. Quando, finalmente, individuano il punto di provenienza dei micidiali colpi, Rafterman, colpisce il vietcong che stava per sparare su Joker. E’ una ragazza giovanissima. Ferita a morte, chiede acqua. Qualcuno suggerisce di lasciarla lì, in quello stato, a meno che Jocker non abbia il coraggio di spararle. E Jocker lo fa. Lungo la strada cosparsa di macerie, i soldati si dirigono non si sa per andar dove., intonando la canzone di Topolino.

La narrazione si svolge praticamente “in media res”, con gli avvenimenti che raccontano da soli la vicenda stessa, a parte alcune frasi di commento del protagonista Jocker.

Proprio a partire dalle sue vicissitudini, il film può essere diviso in due grossi blocchi narrativi che, oltre ad essere ben delineati dai differenti luoghi (La caserma di addestramento di Parris Island, e i campi di guerra del Vietnam), individuano il “percorso di formazione” di Pyle e dello stesso Jocker. Percorso di formazione o di sformazione, dal momento che alla fine entrambi saranno diventati macchine di guerra.

«Full Metal Jacket -scrive il critico Alberto Crespi, nell’opuscolo preparato per L’Unità- non è un film sul sul Vietnam e nemmeno un film sulla guerra: è un film sulla preparazione alla guerra, sul modo in cui ragazzi normalissimi vengono trasformati in automi (nella prima parte) e su ciò che questi stessi

automi combinano quando entrano in azione (nella seconda parte)».

Alcune sequenze, ovvero “Come si diventa munizioni viventi”

Nell’esprimere la progressiva disumanizzazione illuminanti sono, prima ancora della scena dell’uccisione della ragazzina vietnamita, le sequenze con i mezzi primi piani del giro di interviste a cui i marines del gruppo di Jocker vengono sottoposti da una Troupe televisiva. Lì, questi “bravi ragazzi americani” esprimono pareri sulla guerra, sulla morte e sul nemico, assolutamente paradossali. Alcuni di loro sembrano aver conservato. («Sapete che vi dico? Io dico che spariamo ai gialli sbagliati»). Altri la buttano sul concreto («Cosa penso della guerra? Penso che è meglio vincere»; «Hanno fregato la libertà noi per darla ai musi gialli che non la vogliono. Preferiscono essere vivi che essere liberi»). Ma è Jocker, il giornalista, l’intellettuale, il colto della compagnia che dice la cosa più atroce: «Sì, io volevo venire in Vietnam. Volevo incontrare questa cultura millenaria farli fuori tutti. Volevo essere il primo ragazzo del mio palazzo a fare centro dentro qualcuno».

Altra scena agghiacciante è quella a campo lungo della sequenza finale, con i soldati superstiti che, finita la tremenda giornata dell’attacco, tornano verso la branda, intonando la canzoncina del club di Topolino.

C’è in tutto questo una volontà di mettere in evidenza la componente di Schizofrenia della guerra, quella capacità di smaterializzazione della personalità fino a lasciarne penduli brandelli sufficienti a far imbracciare un fucile. Kubrick fa indossare a Joker, assieme al suo elmetto con l'eloquente dicitura “Born to Kill”, una spilla pacifista. «Si tratta di un simbolo -dice Kubrick- che indica dualismo. Private Jocker dice infatti al suo superiore cosa voglia significare quel “bottone”: che gli esseri umani fra odio e diffidenza da una parte, amicizia e disponibilità dall’altra» (dall’”Intervista a Stanley Kubrick” di Hellmut Karasek).

Se alla fine il dualismo stia ancora in piedi, non lo si può affermare con certezza. Quello che però si può fare è constatare come sia possibile divenire “munizioni viventi”.