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Presentazione

     
 

Cento anni di cinema, cento anni d’umanità 

 

Delle tante per certi aspetti sovrabbondanti “scoperte della tecnologia che migliorano la vita”, l’occhio sempre vigile della macchina da presa è uno dei regali più belli e più caratterizzanti del nostro amato, odiato, bistrattato e forse già rimpianto Novecento. Un regalo del ‘900, perché anche se i Lumière lo presentarono alla fine del secolo precedente, nella prima rivoluzionaria proiezione pubblica del 1895, è stato il nostro secolo a tenere a battesimo e a veder crescere la “settima arte”. Dai primi ingenui e rudimentali cortometraggi agli ultrasofisticati effetti speciali da computer, la cosa certa è che il cinema ha saputo filtrare, scavare nella vicenda dell’intero Novecento con quella straordinaria forza rappresentativa che gli deriva dall’aver sintetizzato, nell’immagine sonora in movimento, quanto di meglio (e anche quanto di dimenticato e rifiutato) le diverse forma d’arte precedente avevano offerto. 

 

E l’uomo del Novecento si è lasciato proiettare sul grande schermo, che lo ha messo a nudo, lo ha scoperto nelle sue più inconfessate debolezze; ne ha colto il respiro entusiasta di fronte alle speranze e quello singhiozzante di fronte al frantumarsi delle illusioni; ne ha sorretto le ideologie quando andavano celebrate e ha offerto mani ai detrattori quando andavano demistificate; lo ha cullato e alimentato dei suoi stessi sogni, e lo ha sgomentato e angosciato coi suoi stessi incubi.

 

Che sia stato lo sperimentalismo indagatore del cinema d'essai o l’asservito documentarismo del cinema di regime, di ogni regime, l’immagine cinematografica ha colto le mille sfaccettature d’un secolo d’umanità, nel mélange di parole, pensieri, emozioni, speranze, illusioni e disillusioni che lo hanno caratterizzato. Con una grande consapevolezza, la stessa che Dickens mutuò da Collins, “Make them laugh, make them cry, make them wait” (Falli ridere, falli piangere, falli attendere): che la vita non è che un sogno a metà tra la commedia e la tragedia, tra una sanguinolenta lacrima e un gaudente sorriso, e che spesso, sempre più spesso, anche quando sembra di possederla non se ne interpreta che una più o meno soddisfacente finzione... 

 

Come un film. Il film del cinema. Il cinema della vita, e della vita del Novecento.

 
     

E se questo “sguardo al Novecento” non fosse altro che un’antologia dell’alienazione dell’Uomo del Novecento? 

La delineazione di un preciso filo conduttore in questa carrellata di soggetti apparentemente lontani è nata durante la fase di ricerca. E’ piacevolmente strano riscoprire, nel bel mezzo del proprio work in progress, come il trait d’union ideale si trovasse già a monte del lavoro. E’ questa la sensazione provata, rivedendo i film scelti come rappresentanza di tutto ciò che in cento anni di vita il cinema ci ha offerto (con tutti i limiti di una ristretta selezione...), quando è balenata più volte nella mente la parola “alienazione”... “Alienazione” che riecheggia nelle scene finali, con la stigmatizzazione di una inconsapevole collettiva assuefazione, del capolavoro kubrickiano di “Full Metal Jacket”, o mentre il piccolo Charlot di “Tempi Moderni” s’immerge nel groviglio di rotelle e ingranaggi dei meccanismi di fabbrica; o ancora, seguendo lo sguardo dell’eroe morettiano Michele Apicella quando in “Bianca” rivela il suo “feticismo della scarpa”. Film di denuncia, si sarebbe potuto dire. Eppure alienazione c’è anche nella rappresentazione umoristica delle celebrazioni fasciste magistralmente ritratte nella malinconica fotografia di “Amarcord”, o nelle sequenze conclusive del “Blow-up” di Antonioni, quando tra sogno e realtà, Thomas, il protagonista, diveniva spettatore di una partita di tennis...inesistente. 

Ne è nata una significativa, seppur modesta, antologia di alcune tra le migliori traduzioni che il cinema ha fatto di quel senso di “alterità” dal mondo e talvolta paradossalmente da se stessi, che ha caratterizzato l’Uomo del Novecento: rappresentazione efficace di quello stato a metà tra salute e malattia (che cos’è in fondo la malattia -sulla scorta della lezione dei vari Svevo e Pirandello, mutuati dalla macchina da presa- se non la zona vuota della salute e che cos’è la salute se non la zona vuota della malattia?) che ha segnato il passo di tanti avvenimenti di questi cento anni di storia dell’umanità