Il Mediterraneo

Il Mediterraneo è un mare quasi chiuso con un caratteristico clima temperato. Su di esso oggi si affacciano oltre 20 stati con più di 350 milioni di abitanti. Sulle sue coste vivono 135 milioni di persone a cui stagionalmente si sommano circa 150 milioni di turisti.

Dal punto di vista morfologico è suddivisibile in diversi bacini, ognuno con le proprie caratteristiche oceanografiche e meteomarine. Gli organismi vegetali ed animali che popolano le sue acque sono il risultato di una complessa storia geologica ed evolutiva, oggi sotto l’influenza degli scambi che avvengono attraverso le sue "porte": ad occidente quella naturale dello stretto di Gibilterra, a sud quella artificiale del canale di Suez e ad oriente lo Stretto dei Dardanelli.

La civiltà "mediterranea" di cui siamo eredi, ebbe origine quando i popoli delle regioni costiere iniziarono a rivolgere verso il mare, la loro attenzione e quindi le loro attività principali. Le Alpi a nord, il massiccio balcanico, l’altopiano anatolico e i monti del Libano a est, il deserto a sud, l’altopiano iberico e le foreste della Francia a ovest, costituivano barriere geografiche delimitanti una regione molto estesa, barriere superabili prevalentemante attraverso vie fluviali. Gli interessi economici, portarono ad una esplorazione marittima sempre più approfondita e ad una navigazione sempre più accorta.

Culla della civiltà occidentale, testimone di sanguinose guerre, teatro di miti e leggende, il Mediterraneo rappresenta una delle regioni più importanti e affascinanti del nostro Pianeta.

1.1 Salinità

La salinità è indubbiamente la caratteristica più nota dell’acqua marina e anche una tra quelle che maggiormente condizionano la vita degli organismi. La salinità è dovuta alla presenza di numerosi composti tra i quali possiamo ricordare il Cloruro di Sodio (NaCl) il comune "sale da cucina", il Cloruro di Magnesio e il Solfato di Magnesio (MgCl2, MgSO4). Questi sali in realtà sono disciolti nell’acqua sotto forma di ioni liberi, ovvero sotto forma di atomi dotati di cariche elettriche positive, cationi (Na+, Mg+ +, Ca+ +, K+), e di strutture dotate di carica negativa, anioni (Cl-, SO4- -, HCO3-).

Tali ioni hanno principalmente due origini: da una parte sono generati dalla degradazione delle rocce emerse ad opera degli agenti atmosferici, dall’altra dai processi idrotermali e dalle emissioni vulcaniche sottomarine di gas e lave che avvengono soprattutto lungo le dorsali medio-oceaniche.

Le acque piovane, dilavando i terreni, trasportano i sali minerali in esse solubili, per poi confluire in corsi d’acqua via via crescenti che da ultimo sfociano in mare. A questo punto l’acqua evaporerà formando nuove nubi e riprendendo nuovamente il ciclo di scorrimento verso il mare. È importante ricordare che l’evaporazione è un fenomeno fisico che rigenera esclusivamente l’acqua, mentre tutte le sostanze disciolte, sospese o diffuse rimangono in mare.

I cationi, insieme all’anione bi-carbonato (HCO3-), derivano prevalentemente dalle terre emerse, gli anioni invece da attività vulcanica.

Sorprendentemente, le proporzioni relative fra i vari ioni in tutti i mari del mondo sono pressoché le stesse anche se la loro quantità totale varia in modo notevole da zona a zona. In pratica tutte le acque marine contengono gli stessi ingredienti e nelle stesse proporzioni: questo viene indicato come "prima legge dell’oceanografia chimica" (Tab. 1.1).

Cationi

Anioni

 

 

%

g/Kg

 

 

%

g/Kg

Sodio

Na +

30,61

10,75

Cloro

Cl -

55,04

19,34

Magnesio

Mg+ +

3,69

1,29

Solfato

SO4 - -

7,68

2,7

Calcio

Ca+ +

1,16

0,42

Bi-carbonato

HCO3-

0,41

0,15

Potassio

K +

1,10

0,39

Bromo

Br -

0,19

0,07

Stronzio

Sr + +

0,03

0,01

 

 

 

 

Tab. 1.1 - Principali ioni disciolti nell’acqua marina: nella prima colonna la percentuale in peso, nella seconda i grammi per un chilogrammo di acqua marina con salinità del 35 ‰ (Ricci Lucchi, 1992).

La salinità media dei mari è del 35‰, ovvero 35 g di sale per 1 kg d’acqua, ma in mari chiusi o semichiusi dove l’evaporazione è maggiore rispetto agli apporti di acqua dolce, che avvengono attraverso i fiumi e le precipitazioni meteoriche, i sali si concentrano e la salinità aumenta. È il caso, ad esempio, del Mar Rosso, dove il clima arido delle zone circostanti e la scarsità di fiumi comportano una salinità media del 42‰. Anche il Mediterraneo ha una situazione simile e la sua salinità media è del 37‰. Nei mari molto freddi, in cui grandi masse d’acqua gelano durante l’inverno, si hanno aumenti di salinità perché la solidificazione in ghiaccio che interessa l’acqua esclude parzialmente i sali.

Al contrario, dove vi è un notevole apporto di acque fluviali la salinità è più bassa, come ad esempio nel Mar Nero (17‰) ma anche in molte lagune costiere dove le acque sono appunto dette salmastre.

La salinità può variare sia orizzontalmente sia con la profondità. Ad esempio man mano che ci si allontana dalle foci dei fiumi verso il mare aperto la salinità aumenta progressivamente, anche se le acque superficiali possono risultare meno salate di quelle profonde anche a diversi chilometri di distanza dalla foce come si verifica, per esempio, in Alto Adriatico, davanti al delta del fiume Po. In questo caso si forma una netta separazione fra i due tipi d’acqua a diversa salinità che viene detta aloclino. Il fenomeno può essere osservato anche durante un’immersione, sia nei pressi di fuoriuscite d’acqua dolce che all’interno di alcune grotte, sotto forma di distorsioni sinuose delle immagini causate dalle diferenti densità.

1.2 Temperatura

La temperatura media delle acque superficiali degli oceani è di 15°C mentre se si considerano le acque profonde la media scende a soli 3,5°C. Infatti l’acqua superficiale si riscalda a contatto con l’atmosfera e sotto i raggi del sole, in profondità invece, si accumulano le acque fredde che, essendo più dense, sono più pesanti. Le acque abissali oceaniche di tutte le latitudini hanno temperature costanti e molto prossime allo zero, ma non congelano a causa delle elevate pressioni alle quali sono sottoposte. Le acque profonde del Mediterraneo, che in alcuni punti supera i 4000 m di profondità, hanno una particolarità in quanto presentano sempre valori di circa 12-13°C.

La temperatura superficiale varia sostanzialmente con la latitudine e alle medie latitudini anche con le stagioni. Ai poli la temperatura può scendere fino a quasi -2°C valore corrispondente al punto di congelamento dell’acqua salata. Alle basse latitudini le acque superficiali sono costantemente calde, oltre i 20°C, e la temperatura rimane elevata fino a circa 500 m di profondità dove iniziano invece le acque fredde. Questa netta variazione di temperatura si chiama termoclino.

Alle medie latitudini, come nel caso del Mediterraneo, la temperatura delle acque superficiali è legata alle stagioni anche se l’elevata capacità termica dell’acqua fa si che la temperatura vari molto lentamente: in mare non si hanno le escursioni termiche a cui siamo abituati in atmosfera.

In primavera soprattutto lungo le coste la temperatura dell’acqua inizia ad aumentare a partire dalla superficie grazie ai raggi solari. Si forma quindi uno strato superficiale via via più caldo e di spessore sempre maggiore mentre in profondità la temperatura rimane quasi costante. Si formano così due masse d’acqua separate da un termoclino estivo che impedisce lo scambio dei nutrienti e il passaggio degli organismi più piccoli da una zona all’altra. In autunno le prime mareggiate rimescolano i due strati e la temperatura si uniforma rapidamente su tutta la colonna d’acqua. A questo punto inizia il raffreddamento delle acque superficiali e l’andamento si inverte (Fig. 1.1). La temperatura superficiale nel Mediterraneo varia mediamente a seconda delle zone da un massimo estivo di 20-23°C a un minimo invernale di 10-13°C; ma in Adriatico settentrionale, dove l’acqua non supera i 50 m di profondità, le temperature superficiali possono raggiungere valori estremi compresi tra 30 e 4,5 °C.

Fig. 1.1 - Formazione del termoclino estivo e sua rimozione in autunno. I grafici si riferiscono all'Adriatico settentrionale dove, a causa della scarsa profondità delle acque, il fenomeno è più accentuato; infatti in inverno la temperatura in superficie scende fino a 6°C e in estate può superare i 28°C.

 

1.3 Ossigeno e altri gas disciolti

Tutti i gas si possono disciogliere in acqua secondo una legge fisica ben nota ai subacquei: la legge di Henry. I gas infatti vengono continuamente scambiati tra l’atmosfera e l’acqua. Nel favorire questo passaggio un ruolo fondamentale è giocato dalle onde, soprattutto quando si infrangono e si rompono spumeggiando. La quantità di gas che può entrare in soluzione però diminuisce con l’aumentare della temperatura e della salinità.

L’ossigeno è uno degli elementi fondamentali della vita, anche di quella acquatica, ed è quindi importantissimo che possa passare dall’atmosfera al mare. Una volta entrato in acqua però l’ossigeno ha una diffusione estremamente lenta ed il suo trasporto in profondità è legato soprattutto alle correnti. Nelle acque superficiali si trovano disciolti in media 8 mg/l di ossigeno. Questo valore rappresenta in genere il livello di saturazione (100%), tale valore può però variare con la temperatura e la salinità: acque fredde e dolci possono contenere più ossigeno.

L’ossigeno è indispensabile per la respirazione della maggior parte degli esseri viventi. Durante questo processo avviene la combustione degli alimenti per produrre energia con conseguente formazione di anidride carbonica (CO2). La maggior parte dei vegetali è inoltre in grado, mediante la fotosintesi, di realizzare un processo inverso grazie all’energia solare, organicando il carbonio e liberando ossigeno. Quindi alghe e piante marine, presenti fin dove si spinge la luce, sono una fonte indispensabile di ossigeno-

L’anidride carbonica ha un’elevata solubilità in acqua e in mare raggiunge una concentrazione media di 10 mg/l, questo valore aumenta con la respirazione e con i processi di combustione in genere, mentre diminuisce con i processi fotosintetici. Tale elemento è importantissimo poiché permette la formazione del carbonato di calcio, indispensabile per la formazione di gran parte delle strutture scheletriche degli organismi marini e dei gusci calcarei delle conchiglie, inoltre mantiene costante il tasso di acidità nell’ecosistema attraverso un sistema tampone. In pratica si forma un equilibrio dinamico fra anidride carbonica, acido carbonico, bicarbonato e carbonato che permette di mantenere il pH1 fra 7,8 e 8,3.

CO2 + H2O « H2CO3 « HCO3- + H+ « CO3-- + 2 H+

Il fatto che non vi siano brusche variazioni di pH permette la vita anche ad organismi strutturalmente molto semplici e non dotati di meccanismi fisiologici atti a contrastarle.

In acqua si possono trovare altri gas disciolti come ad esempio l’azoto (N2) che deriva dall’atmosfera e che in questa forma è pressoché inerte. Solo alcuni organismi, come ad esempio le alghe azzurre (Cianoficee), sono in grado di trasformare l’azoto molecolare in ammoniaca (NH3) attraverso un processo chiamato azotofissazione, punto di partenza per la sintesi dei composti organici azotati.

Un altro gas che si può trovare è l’idrogeno solforato (H2S) che deriva da emissioni idrotermali (famosi i casi delle grotte solfuree di Capo Palinuro o delle fumarole di Panarea) oppure da decomposizione biologica in anossia nei sedimenti, principalmente ad opera di solfo-batteri.

1Il pH, inverso del logaritmo della concentrazione degli ioni H+, misura il grado di acidità o alcalinità di una soluzione acquosa. Varia tra 1 (acido), 7 (neutro), 14 (basico o alcalino).

1.4 Nutrienti

Oltre ai sali già visti, sono innumerevoli le sostanze disciolte e le particelle in sospensione nell’acqua, come ad esempio sedimenti, detriti organici, e organismi microscopici, tanto che spesso la loro elevata concentrazione riduce la trasparenza.

Fra le sostanze chimiche un ruolo fondamentale è svolto da alcuni composti inorganici fondamentali per la vita dei vegetali che li utilizzano per creare i composti organici di base, come zuccheri e proteine, necessari a tutti gli esseri viventi. Questi sali disciolti sono chiamati nutrienti.

I principali nutrienti sono quelli contenenti azoto, sotto forma di ioni nitrato (NO3-), nitrito (NO2-) e ammonio (NH4+). I passaggi da una forma inorganica all’altra sono operati da diversi microrganismi, principalmente batteri. La fissazione dell’azoto molecolare ad ammoniaca, come già visto può essere operata da alghe azzurre. Il passaggio da ammoniaca a nitriti e poi a nitrati si chiama nitrificazione, il passaggio inverso denitrificazione. Gli organismi vegetali assimilano questi composti, preferibilmente ammoniaca, per sintetizzare amminoacidi prima e proteine poi.

Un altro nutriente fondamentale è il fosforo, presente in soluzione come ione fosfato libero (HPO4- -), o legato ad altri composti organici e in masse inorganiche insolubili. Questo elemento è fondamentale perché entra nella composizione di moltissime molecole organiche necessarie alle cellule animali e vegetali.

Infine un ulteriore importante nutriente è il silicio. Questo elemento, abbondantissimo nelle rocce che compongono la crosta terrestre, è indispensabile per la formazione di alcuni gusci silicei delle alghe Diatomee e di strutture di supporto come gli scheletri di radiolari e di gran parte delle spugne.

I nutrienti solo in parte si formano nel mare stesso in seguito a decomposizione di resti animali e vegetali; un grande contributo invece viene dall’apporto dei fiumi. Prima o poi tutte queste sostanze sono destinate a scendere ed accumularsi in profondità da dove possono risalire solo grazie a particolari correnti ascensionali.

1.5 La luce

L’illuminazione ha estrema importanza per quasi tutte le forme di vita, sia vegetale sia animale. La luce solare, penetrando nel mare, cala d’intensità con la profondità. Infatti l’acqua ha un forte potere attenuante nei confronti dei raggi solari. Inoltre si comporta da filtro selettivo attenuando in maniera differenziata le varie lunghezze d’onda che corrispondono a diversi colori. Ciò significa che in prossimità della superficie tendono a fermarsi ed estinguersi il rosso, poi l’arancio, il giallo, il verde ed infine il blu che, a seconda della trasparenza dell’acqua, si estingue a profondità di alcune centinaia di metri (Fig. 1.2).

Fig. 1.2 - Estinzione selettiva della luce solare con la profondità (Cognetti & Sarà, 1974; modif.).

In parole povere, intorno ai 15 metri circa di profondità ci troviamo già avvolti da quella semioscurità che normalmente scende dopo il tramonto sulle terre emerse.

La luce rappresenta una condizione essenziale di vita per gli organismi vegetali in quanto permette i processi di fotosintesi, primo anello della catena alimentare (cfr. 2.3).

In funzione della penetrazione della luce possiamo distinguere una zona superficiale, chiamata zona eufotica, in cui penetra la luce ed in cui sono possibili i processi fotosintetici. In Mediterraneo, normalmente arriva fino ad un massimo di 100 m. La zona oligofotica si estende sotto la precedente ed è costituita dalle acque penetrate dalla luce con lunghezza d’onda pari al blu, fino al limite inferiore di assenza di luce (300-500 m); qui solo pochissimi vegetali possono sopravvivere. La zona buia invece è detta afotica ed è caratterizzata dall’assenza di vita vegetale (cfr. 1.5).

All’interno della zona eufotica troviamo dapprima organismi vegetali fotofili (ossia amanti della luce) e poi, più in profondità quelli sciafili (amanti della penombra).

La vita che normalmente conosciamo è legata direttamente o indirettamente all’energia solare da cui trae origine tutta la catena alimentare. Ricerche relativamente recenti hanno però permesso di evidenziare l’esistenza di intere catene alimentari completamente indipendenti dal sole e che sfruttano l’energia geochimica. Infatti lungo le dorsali oceaniche, a 3-4000 metri di profondità, così come all’interno di alcune grotte solfuree anche prossime alla superficie, alcuni batteri sono in grado di ottenere l’energia per creare molecole organiche metabolizzando i solfuri prodotti dall’attività idrotermale (organismi chemioautotrofi, cfr. 3.1). In questo modo creano il primo anello della catena, permettendo l’instaurarsi di comunità anche assai complesse che vivono indipendenti dall’energia solare. Situazioni analoghe vengono oggi studiate anche all’interno di alcune grotte sottomarine solfuree, come quelle di Capo Palinuro. Negli "hydro-termal vents" dell’Oceano Pacifico, fra gli organismi al vertice della catena alimentare vi sono alcuni organismi, i vestimentiferi (es.: Riftia pachyptila), simili a giganteschi anellidi, che raggiungono dimensioni di alcuni metri.


1.6 Le correnti e la circolazione

Le correnti hanno una notevole importanza biologica perché oltre a condizionare e ad essere condizionate dalla distribuzione dei parametri chimico-fisici (temperatura, salinità, densità, ecc.) assicurano il ricambio dell’acqua, l’apporto di nutrienti ai vegetali e di cibo agli animali sospensivori. Le correnti svolgono anche un ruolo fondamentale nella riproduzione e distribuzione geografica delle specie trasportando i prodotti sessuali, le spore, le larve e le fasi giovanili (cfr. 2.4).

Una delle principali cause della formazione di correnti è la differenza di densità. Infatti le acque più dense e quindi più pesanti tendono a sprofondare e a disporsi sotto quelle meno dense. Quindi se fra le masse d’acqua di due bacini comunicanti vi sono differenze di densità queste masse si muoveranno l’una verso l’altra fino a distribuirsi sull’intera superficie, una sopra e l’altra sotto. I due tipi di acque tenderanno comunque a rimanere distinti e il rimescolamento sarà minimo.

Queste differenze di densità sono legate a due parametri già visti: la temperatura e la salinità. È noto infatti che la densità decresce con l’aumentare della temperatura e aumenta con l’aumentare dei sali disciolti. La temperatura fondamentalmente varia con la latitudine, la salinità invece dipende dall’evaporazione, dalla piovosità e dall’apporto dei fiumi. Queste differenze si osservano sia fra bacini distinti comunicanti per mezzo di "stretti" sia all’interno dello stesso bacino e i moti orizzontali e verticali che ne derivano vengono indicati come circolazione termoalina.

Un esempio aiuterà a comprendere il fenomeno. Nel Mediterraneo orientale la forte evaporazione, non bilanciata da un sufficiente apporto d’acque dolci, causa un innalzamento della salinità e l’acqua diventa più densa e tende a sprofondare. In questo modo vengono richiamate, attraverso lo Stretto di Gibilterra, le acque superficiali, meno dense, dell’Oceano Atlantico. Le acque dense del Mediterraneo invece tornano in Atlantico passando sotto alla corrente in entrata.

Una volta in movimento, la massa d’acqua verrà deviata nel suo percorso dalla forza di Coriolis. Questa è una forza apparente, causata dalla rotazione del Pianeta su se stesso ed è proporzionale alla velocità del moto. Nell’emisfero boreale tale forza provoca una deviazione verso destra della direzione di avanzamento viceversa nell’emisfero australe verso sinistra. All’equatore la forza di Coriolis è nulla.

A causa di questa deviazione le correnti dell’Oceano Atlantico centrale formano, ad esempio, una circolazione oraria (anticiclonica; Fig. 1.3).

Fig. 1.3 - Andamento delle principali correnti oceaniche superficiali (Kennett, 1985; modif.).

Le acque possono essere mosse anche dal vento che genera attrito sulla superficie del mare producendo le cosiddette correnti di deriva. Anche in questo caso la forza di Coriolis devia verso destra (nell’emisfero boreale) la direzione della corrente rispetto a quella del vento che l’ha generata.

L’effetto del vento in prossimità delle coste provoca anche particolari correnti verticali. Infatti quando il vento spira tendenzialmente verso costa l’acqua, incontrando la riva, tende a sprofondare (downwelling); al contrario se il vento spira da terra lo strato d’acqua superficiale, spostato verso il largo, richiama le acque di profondità (upwelling; Fig. 1.4). Quest’ultime sono spesso ricche di nutrienti e favoriscono un notevole sviluppo del plancton vegetale (cfr. 2.4). Il caso più famoso è quello delle pescosissime coste del Cile e del Perù dove i venti Alisei, provenienti da Sud - Est, creano un costante upwelling.

Fig. 1.4 - Schema dei fenomeni di downwelling e upwelling generati dal vento in prossimità delle coste. Si nota anche l’effetto di Coriolis nel deviare la direzione dell’acqua rispetto a quella del vento, verso destra nell’emisfero Nord (Open University Course Team, 1989b; modif.).

In ultima analisi il vero motore delle correnti è sempre il sole: agendo in modo differenziato sulla superficie terrestre e sui mari, alle diverse latitudini e nelle diverse stagioni, determina sia la circolazione termoalina dei mari che la circolazione atmosferica (venti) che, a sua volta, agisce sulla superficie marina. È da notare che le correnti, trasportando con le acque il calore in esse racchiuso, determinano a loro volta importanti effetti sul clima.

Il Mediterraneo presenta una circolazione delle masse d’acqua molto complessa ma che si potrebbe semplificare prendendo in considerazione tre distinti livelli di profondità.

Le acque superficiali (fino a ~ 200 m) provengono dallo Stretto di Gibilterra e, deviate verso destra dalla forza di Coriolis, costeggiano le coste africane. Superata la soglia sottomarina presente tra la Sicilia a la Tunisia percorrono in senso ciclonico il bacino orientale e, mentre tornano verso ovest, un ramo entra in Egeo e un altro in Adriatico. Alcune digitazioni verso nord, una ad esempio lambisce le coste occidentali della Sardegna e della Corsica, si formano anche prima che il flusso principale superi il canale di Sicilia (Fig. 1.5).

Fig. 1.5 - Andamento delle principali correnti superficiali estive del Mediterraneo (Tait, 1985; modif.)

Le acque intermedie (fra 200 e 600 m) si formano nel bacino orientale, a sud di Creta e dell’Anatolia, da quelle superficiali che sprofondano per l’aumento di salinità e si dirigono verso ovest.

Si formano invece a sud di Tolone, le acque profonde di rinnovo del bacino occidentale, e a sud di Otranto e nell’Egeo, quelle di rinnovo del bacino orientale. Tali correnti si formano in punti in cui d’inverno, venti freddi da nord fanno scendere di molto la temperatura, aumentando così la densità delle masse d’acqua. Questo fenomeno non avviene tutti gli anni, ma determina comunque l’instaurarsi di imponenti correnti di risalita (upwelling) in risposta alle masse d’acqua che sprofondano. Tutto ciò determina la presenza, in certe zone, di acque superficiali estremamente ricche di nutrienti in cui si sviluppano fitoplancton e zooplancton tanto da supportare le principali popolazioni di cetacei del Mediterraneo, che trovano nel triangolo corso-liguro-provenzale la zona di massimo approvvigionamento.

1.7 Le maree

Le maree sono variazioni periodiche del livello del mare generate dall’attrazione gravitazionale che i corpi celesti Terra, Luna e Sole esercitano l’uno sull’altro. Queste escursioni sono in funzione del periodo di rotazione terrestre, dei periodi di rivoluzione della Luna intorno alla Terra e di quest’ultima intorno al Sole, nonché delle differenti inclinazioni dell’asse di rotazione terrestre e dei piani di rivoluzione. L’interazione di queste forze produce risultati piuttosto complessi sia in termini di ampiezze che di periodicità. L’effetto più evidente è comunque quello prodotto dalla Luna che causa le maree semidiurne con una periodicità di circa 12 ore e 25 minuti. A questo si aggiunge la marea semidiurna solare che ha periodo di 12 ore ed intensità di circa la metà rispetto alla precedente (Fig. 1.6).

Fig. 1.6 - Effetti combinati della Luna e del Sole. L’escursione maggiore è provocata dalla Luna e la marea risulta massima quando i tre corpi celesti sono allineati ovvero durante le sizigie (Open University Course Team, 1989b; modif.).

Ogni 24 - 26 ore poi si aggiungono le cosiddette variazioni diurne e a queste quelle di più lungo periodo come le variazioni quindicinali e mensili (28 giorni) sempre dovute alla Luna. Tutti questi contributi si sommano fra loro rendendo piuttosto complessa la previsione delle maree (Fig. 1.7). Le escursioni massime si hanno durante le sizigie, ovvero quando Terra, Luna e Sole si allineano fra loro. In generale si nota che l’ampiezza di marea va aumentando a partire dal primo giorno dopo il primo e l’ultimo quarto di luna, fino ad un massimo coincidente con il primo giorno dopo la luna piena e la luna nuova.

Fig. 1.7 - Esempio di andamento della marea. La curva mostra l’andamento giornaliero del livello marino nei pressi del porto di Ravenna, lo zero si riferisce al livello di riferimento degli scandagli, ovvero la media delle basse maree sizigiali. Si noti la disparità fra le due maree.

A complicare il tutto poi ci pensano la morfologia delle coste, con i golfi gli stretti ed i canali e il differente profilo ed estensione della piattaforma continentale, che possono accentuare o deprimere notevolmente l’escursione delle maree. Le più incisive che si conoscano sono quelle della baia di Fundy nella Nuova Scozia, che possono raggiungere una quindicina di metri di dislivello, mentre lungo le coste italiane generalmente le escursioni non superano il metro.

Le maree condizionano soprattutto la vita degli organismi che vivono nella fascia compresa fra i livelli dell’alta e della bassa marea (mesolitorale). Questi organismi sono esposti ad emersioni prolungate dalle quali si difendono grazie a gusci protettivi che impediscono la disidratazione. Gli esempi più famosi sono dati dai gasteropodi Littorina e Patella e dagli Ctamali.

I moti di marea possono dare origine a forti correnti in prossimità di stretti o canali che, grazie al trasporto di alimenti, di prodotti sessuali, larve e spore, favoriscono enormemente lo sviluppo di tutti gli organismi bentonici sessili e filtratori. In alcune zone però queste correnti possono essere tanto impetuose da richiedere ai subacquei un’attenta programmazione dell’orario di immersione. Un esempio per tutti è lo stretto di Messina, le cui acque sono tanto ricche di vita quanto insidiose per gli sprovveduti. È importante ricordare che per gli usi nautici e diportistici vengono annualmente pubblicate, a cura della Istituto Idrografico della Marina, le Tavole di Marea che con semplici calcoli permettono un’ottima previsione per le zone prossime ai porti italiani e a quelli principali del Mediterraneo.

 

1.8 Il moto ondoso

Le onde sono provocate generalmente dall’attrito del vento con la superficie marina. Le principali caratteristiche di un’onda sono la lunghezza (l), determinata dalla distanza fra cresta e cresta oppure fra ventre e ventre, l’altezza, ossia la distanza verticale fra una cresta e il cavo (il doppio dell’ampiezza), e infine la velocità di propagazione, intesa come spazio percorso da una cresta nell’unità di tempo e che a sua volta è funzione della lunghezza. Infatti, osservando le onde in un punto ad una certa distanza dal luogo in cui sono generate, si vedono arrivare prima le onde lunghe.

Onde di diversa altezza in genere si riuniscono in piccoli gruppi, denominati treni d’onda, che si propagano lungo una direzione definita. Quando un treno d’onda ne intercetta un altro con diversa direzione, si crea una zona di interferenza dove le varie onde si sommano o si sottraggono a seconda della loro fase2.

In mare aperto le particelle liquide descrivono un cerchio verticale orientato nel verso di propagazione e così non si ha trasporto d’acqua, come si può facilmente osservare controllando la posizione di un galleggiante: questo sale e scende, ma tendenzialmente non si sposta. Le particelle sottostanti compiono circonferenze via via più piccole e ad una profondità pari a circa ½ della lunghezza l’effetto è praticamente nullo (Fig. 1.8, a). Avvicinandosi alla riva la profondità del fondale diventa inferiore a questa misura e così le orbite delle particelle tendono a schiacciarsi le une contro le altre e a formare delle ellissi (Fig. 1.8, b).

Le particelle quindi subiscono un certo trasporto medio nella direzione dell’onda, le creste si innalzano e il fronte complessivo viene rallentato. Raggiunta una profondità critica (surf zone) le creste dell’onda si rompono e questo consente a chi le osserva di intuire l’andamento del fondale (Fig. 1.8, c).

Fig. 1.8 - Caratteristiche delle onde: a) orbite delle particelle in acqua profonda; b) schiacciamento delle orbite in acqua bassa; c) formazione dei frangenti (Press & Siever, 1985; modif.).

Se i fronti formano un certo angolo rispetto la linea di costa, il rallentamento di velocità tende a farli piegare rendendoli più paralleli alla costa stessa (fenomeno di rifrazione; Fig. 1.9).

Quando l’onda poi raggiunge la riva questa la riflette con un angolo uguale a quello di incidenza. In questo modo si formano delle vere correnti parallele alle coste in funzione della direzione dei venti prevalenti.

Le onde agiscono sugli organismi della fascia costiera operando una selezione naturale sulle specie presenti. Infatti nella zona superiore al livello di alta marea, vi sono specie terrestri in grado di resistere agli schizzi salati mentre al di sotto del livello medio marino e fino ad alcuni metri di profondità troviamo organismi ben ancorati e in grado si sopportare i violenti urti. È il caso della comune Patella munita di un piede particolarmente robusto e appiattito che permette una forte aderenza alla roccia; oppure dei Balaniformi che calcificano e saldano la propria teca alla roccia.

Fig. 1.9 - Fenomeno di rifrazione delle onde avvicinandosi alla riva: a) lungo una costa rettilinea; b) in corrispondenza di promontori e baie (Press & Siever, 1985; modif.).


2Sincronismo fra diverse onde.


 

 

 

1.9 Coste, fondali e variazioni del livello marino

Le coste sono continuamente modellate dall’azione del mare e delle forze tettoniche. In particolare le onde e le correnti, dove sono più intense, erodono le falesie e le spiagge. I sedimenti apportati dai fiumi e quelli erosi dalle coste vengono poi trasportati dalle correnti litoranee tanto più lontano quanto più le particelle sono fini. L’intensità della corrente può essere stimata osservando la dimensione e le caratteristiche delle forme di fondo lasciate sui sedimenti della spiaggia sommersa ("ripple", dune, ecc.). Man mano che la corrente cala i sedimenti, a partire da quelli più grossolani, si depositano e si accumulano lungo le rive e sui fondali. Anche l’inclinazione del fondale di fronte ad una spiaggia dipende dalla natura dei sedimenti (granulometria) e dal livello idrodinamico a cui sono mediamente sottoposti. Il profilo di una spiaggia e del fondale antistante è quindi in continuo mutamento secondo equilibri dinamici fra erosione e deposizione.

Le falesie, invece, vengono erose dagli agenti atmosferici e dal mare, con formazione spesso di solchi di battente, e un po’ alla volta finiscono per franare. Alla base degli affioramenti rocciosi in zone a modesto apporto di sedimenti terrigeni5, come ad esempio isole e secche al largo, spesso si trovano sedimenti organogeni costituiti dalle spoglie di organismi che, in vita, secernono carbonato di calcio (alghe, bivalvi, gasteropodi, briozoi, madrepore, ecc.) che vivono sulla scogliera stessa.

Durante la storia geologica della Terra (almeno negli ultimi 500 Ma) si sono avuti profondi mutamenti climatici con il ciclico alternarsi di lunghe fasi glaciali e di brevi fasi calde che hanno lasciato profondi segni non solo nel Mediterraneo ma in tutto il Pianeta. La fine dell’ultima glaciazione di rilievo si è registrata appena 18-20.000 anni fa ed è chiamata Würmiana. L’accumulo di acqua sui continenti sotto forma di ghiaccio, provocò un generale abbassamento eustatico6 del livello marino di circa 100-120 m rispetto il livello attuale. È in questo modo che si sono formate le più o meno ampie piattaforme continentali che ornano tutti i margini passivi, compresa la piattaforma adriatica, e che sono state poi rapidamente sommerse dal successivo veloce innalzamento del livello marino.

Le forze tettoniche, producendo innalzamento o subsidenza della crosta terrestre, insieme ai cicli glacioeustatici di variazione del livello marino, accelerano rallentano o invertono i processi erosivi e deposizionali in atto. In questo modo si possono ad esempio formare a vari livelli dei "terrazzi" di abrasione.

Gli organismi che popolano le zone costiere non sono semplici spettatori costretti ad assecondare i mutamenti geologici ma, al contrario, intervengono attivamente sull’evoluzione dei litorali.

Ad esempio le praterie di Posidonia oceanica, attenuando l’impatto delle onde e la forza delle correnti, ha una forte azione di protezione delle coste dall’erosione (cfr. 3.12).

Esempi ancora più eclatanti sono dati dalle barriere coralline e dagli atolli. Nei mari tropicali infatti lo sviluppo di coralli ed alghe calcaree che crescono gli uni sugli altri, è tanto rapido da contrastare le variazioni del livello marino e da formare estesi banchi di rocce calcaree biogene. In questo modo si possono costituire scogliere coralline marginali, scogliere a barriera (che delimitano lagune) ed infine atolli (Fig. 1.13). Questi ultimi, in particolare, si formano inizialmente come scogliere marginali intorno ad edifici vulcanici che poi col tempo sprofondano mentre i coralli accrescendosi in verticale restano in prossimità della superficie formando il caratteristico anello circolare.

 

Fig. 1.13 - Tipi di scogliere biogene secondo la classificazione proposta da Darwin (Ricci Lucchi, 1992; modif.).

Piccoli esempi di formazioni geologiche biogeniche in accrescimento sono visibili anche in Mediterraneo e sono costituiti dai piccoli terrazzi, formati da alghe rosse calcaree, lungo alcune scogliere rocciose, chiamati "trottoir" (cfr. 5.5).

La piattaforma continentale, ove presente, termina ad una profondità di 120-150 m con una brusca rottura di pendenza: il cosiddetto ciglio (vedi anche Fig. 1.17). Da qui comincia la scarpata continentale spesso incisa da profondi "canyon" che in genere sono in corrispondenza di foci fluviali.

La scarpata termina generalmente con un declivio (rise), caratteristico dei margini continentali passivi, dove a causa della forza di gravità si accumulano i sedimenti terrigeni provenienti dalla piattaforma e dalla scarpata. I meccanismi di trasporto sono dati fondamentalmente da frane sottomarine, da colate di sedimenti e da correnti di torbida7.

Infine troviamo la piana abissale (3-4000 m) dove i sedimenti terrigeni "scivolati" lungo il pendio sono limitati alle zone più prossime alle scarpate e al declivio mentre, più al largo, dove non arrivano i sedimenti terrigeni, l’unica sedimentazione possibile è quella delle spoglie silicee e carbonatiche di organismi planctonici che, col tempo, formano depositi di enorme spessore (Fig. 1.14). Le spoglie carbonatiche appartengono prevalentemente a foraminiferi (es.: Globigerine), pteropodi e coccoliti, quelle silicee appartengono a radiolari e diatomee e sono tipiche di zone ad elevata produzione biologica. Le "argille rosse" che occupano vaste aree degli oceani a profondità superiori ai 4000 metri sono composte da minerali argillosi che in piccolissime quantità vengono trasportati dai venti: qui la sedimentazione ha tassi bassissimi sia perché in superficie la produzione biologica è bassa sia perché a queste profondità i carbonati si dissolvono nell’acqua.

Fig. 1.14 - Distribuzione dei sedimenti oceanici (Ricci Lucchi, 1992; modif.).

La piana è spesso interrotta da profonde fosse, in genere legate a margini attivi, e da imponenti rilievi, per lo più di origine vulcanica, chiamati "sea mount" e che possono arrivare in superficie e formare isole.


5Provenienti dalle terre emerse.

6Le variazioni eustatiche del livello marino sono quelle indotte dal congelamento dell’acqua sopra i continenti e nelle grandi calotte polari e dal successivo discioglimento dei ghiacci rispettivamente nei periodi glaciali e interglaciali che si ripetono nella storia geologica del nostro Pianeta.

7Le "colate" di fango o di sabbia hanno flussi laminari, le "correnti di torbida" invece si distinguono per il flusso turbolento e la bassa concentrazione dei sedimenti che, misti all’acqua, possono raggiungere i 90 km/h e distanze di oltre 1000 km. Grazie alla densità dell’acqua queste correnti "di densità" possono generarsi anche lungo pendii a debolissima inclinazione.


2.1 La formazione del Mediterraneo

La formazione geologica del Mediterraneo ha origini antichissime ed è il risultato di un’evoluzione piuttosto complessa (Fig. 1.15; Tab. 1.2). Per comprendere quanto è accaduto dobbiamo rifarci a circa 230 milioni di anni fa, quando tutte le terre emerse erano riunite in un unico continente, Pangea, ed esisteva un solo vastissimo oceano denominato Panthalassa. Questo presentava già allora un grande golfo equatoriale con acque relativamente poco profonde e ricco di vita: Tetide. Secondo le ormai note teorie della deriva dei continenti e della tettonica a placche, Pangea si separò in due grandi blocchi continentali: Laurasia a Nord, comprendente l’America settentrionale l’Europa e l’Asia, e Gondwana a Sud comprendente l'America meridionale, Africa, Oceania e Antartide. Tetide si espanse e questi due grandi blocchi continuarono a frammentarsi ed allontanarsi fino a formare gli attuali continenti ed oceani.

Fig. 1.15 - Fasi dell’evoluzione del Mediterraneo: a) il supercontinente Pangea 225 Ma fa; b) la disposizione dei continenti 135 Ma fa, quando iniziò la chiusura della Tetide; c) la disposizione dei continenti oggi (Press & Siever, 1985; modif.).

Il processo di espansione della Tetide si arrestò nel Cretaceo inferiore, circa 130 milioni di anni fa, e il moto fra le placche Africana ed Eurasiatica si invertì. L’avvicinamento e la rotazione in senso antiorario dell’Africa nonché l’inserimento dell’India provocarono successivamente la chiusura ad oriente della Tetide. Circa 45 milioni di anni fa (Eocene) l’Africa e l’India entrarono in collisione con l’Europa e l’Asia, dando avvio alla formazione delle catene delle Alpi e dell’Himalaya tuttora in corso. Già allora l’estensione dell’originale Tetide era ridotta a poco più dell’attuale Mediterraneo.

Nel lato occidentale i processi tettonici furono caratterizzati dall’apertura del canale di Valencia, con la formazione del promontorio balearico, e dalla rotazione del blocco Sardo-Corso, una volta attaccato alla costa provenzale. Queste fasi si svolsero dai 30 ai 13 milioni di anni fa.

Ancora più recente, ultimi 10-15 Ma, è la formazione degli Appennini e l’apertura del Mar Tirreno. Nella porzione meridionale di questo giovane bacino troviamo fosse oceaniche profonde oltre 3600 m e imponenti montagne sottomarine di origine vulcanica. A sud, a testimonianza dell’attuale attività tettonica, che prevede la subduzione della placca africana sotto quella europea, troviamo l’arco vulcanico delle Isole Eolie.

Alla fine del Miocene (6-7 milioni di anni fa) si verificò un importante episodio nella storia geologica del nostro mare: a causa del continuo avanzamento dell’Africa contro l’Europa si chiuse lo stretto di Gibilterra, che assicurava il collegamento con l’Oceano Atlantico, e il Mediterraneo diventò in breve tempo un immenso lago salato. Nel Mediterraneo, fino ad allora, le acque erano ben ossigenate, con una salinità intorno al 35 ‰ e una temperatura decisamente più alta dell’attuale, consentendo così l’esistenza di numerosi organismi tipici degli ambienti tropicali di oggi, come madrepore ermatipiche e nautili. La chiusura del collegamento con l’Atlantico determinò la cosiddetta "Crisi di salinità" del Messiniano durante la quale vi fu un profondo deficit idrologico, con la conseguente deposizione di enormi quantitativi di "sali" come se si trattasse di una immensa salina (Fig. 1.16). Mentre l’acqua evapora i sali si concentrano e, a partire dai meno solubili, precipitano: nell’ordine i carbonati (es.: calcite), i solfati di calcio (es.: gesso e anidrite), il salgemma (cloruro di sodio) e per finire i restanti cloruri e solfati. La crisi durò appena un milione di anni e, probabilmente a seguito di variazioni eustatiche del livello marino, comprese vari inondamenti con acque Atlantiche e successivi prosciugamenti del bacino. Si formarono così depositi di "evaporiti" con enormi spessori che ancora oggi si trovano sotto i sedimenti marini più recenti8. Testimonianze emerse dei depositi messiniani sono rappresentate ad esempio dagli affioramenti dalla famosa "vena del gesso" che decorre lungo gli Appennini centro settentrionali.

Fig. 1.16 - Il Mediterraneo come poteva apparire durante la crisi di salinità del Messiniano (Hass, 1978; modif.).

Lo stretto di Gibilterra si riaprì definitivamente 5 milioni di anni fa permettendo il reingresso delle fredde acque Atlantiche e delle relative forme di vita. Si depositarono allora sopra alle evaporiti sedimenti argillosi e calcarei, ricchi di foraminiferi.

Attualmente, il Mar Mediterraneo, con la sua lunghezza massima di oltre 3800 km e la larghezza massima di 1800 km, rappresenta circa l’1 per cento della superficie liquida della Terra. Ha una profondità media di 1370 m ed una profondità massima di 5120 m a sud della Grecia. I margini continentali sono estesi soltanto nel Mar Adriatico, nel Golfo della Sirte e alla foce del Nilo, zone dove sono meglio rappresentate sia le risorse biologiche sia quelle minerarie. Il ricambio idrico del bacino attraverso lo stretto di Gibilterra, largo appena 13 km e profondo circa 300 m, è estremamente lento: le acque superficiali sono ricambiate ogni 80-90 anni mentre si stima che l’intero volume venga rinnovato in un arco di tempo di circa 7500 anni. La fase geologica attuale, vede la divergenza della placca araba da quella africana e la subduzione di quest’ultima nei confronti della placca europea; il bacino è inoltre soggetto al movimento rotatorio antiorario delle microplacche iberica e sardo-corsa.


8Per formare uno spessore di un metro di gesso devono evaporare 1000 m d’acqua marina.


 

2.2 La geomorfologia degli oceani

L’ambiente oceanico viene fondamentalmente suddiviso in due domini fondamentali: il dominio bentonico, costituito dai fondali e dagli organismi ad essi legati, e quello pelagico composto dalle acque sovrastanti (Fig. 1.17).

Fig. 1.17 - Schema delle suddivisioni degli oceani (Ghirardelli, 1981; modif.).

Lungo il profilo del fondale, precedentemente descritto, sono stati identificati diversi ambienti, chiamati piani, in cui le caratteristiche chimiche e fisiche dell’ambiente sono piuttosto costanti, o comunque variano in modo uniforme. Il primo è il piano sopralitorale che comprende le zone che normalmente non sono bagnate dalle acque ma sono raggiunte solo dagli spruzzi delle onde e da maree eccezionali (cfr. 1.2.2). È un ambiente difficile dove gli organismi a volte subiscono accidentali immersioni e devono tollerare l’accumulo di sale causato dall’evaporazione. Il limite inferiore di questo piano continua con il piano mesolitorale, compreso fra i normali limiti dell’alta e della bassa marea. Qui gli organismi devono sopportare complete immersioni ed emersioni per ben due volte al giorno. In genere in Mediterraneo questo piano è piuttosto ridotto, in quanto la marea spesso non supera i 30 cm di dislivello. Fra le specie meglio adattate ricordiamo i Balanidi che possono chiudersi ermeticamente e conservare una piccola quantità d’acqua fino alla successiva immersione. Più in profondità troviamo il piano infralitorale che si spinge fino a dove penetra sufficiente luce da permettere la vita dei vegetali fotofili, amanti della luce, come ad esempio la Posidonia oceanica, tipica del Mediterraneo. L’estensione di questo piano varia notevolmente in funzione della limpidezza delle acque: in alcuni casi può essere di soli pochi metri, come in certe zone dell’Adriatico settentrionale, ma eccezionalmente può raggiungere i 50-60 m, come avviene intorno ad alcune isole (cfr. 1.1.5). Questa indubbiamente è la fascia batimetrica maggiormente interessata dalla visita dei subacquei sportivi. Oltre tale profondità troviamo il piano circalitorale che a sua volta termina dove la luce diventa così scarsa da compromettere la vita vegetale. In questa fascia troviamo le alghe sciafile, in grado di sfruttare la poca luce disponibile, e molte forme di vita animale che tendono a prendere il sopravvento su quelle vegetali. Nel regno delle tenebre, comprendente il piano batiale, lungo le scarpate, il piano abissale e quello adale nelle fosse più profonde, assenti in Mediterraneo, troviamo solo forme animali o che comunque non dipendono direttamente dalla luce per la loro sopravvivenza ma in parte dalla "pioggia" di sostanza organica che proviene dalle acque soprastanti e in parte dall’attività chemiosintetica dei microrganismi che vivono su questi fondali. Qui gli esseri viventi assumono aspetti e comportamenti particolari, derivanti dall’adattamento al buio ed alla pressione. Alcuni non possiedono organi visivi, altri invece sono in grado di produrre luce mediante fenomeni di bioluminescenza. È un ambiente ancora in gran parte sconosciuto, nonostante gli ingenti sforzi compiuti da numerosi centri di ricerca in tutto il mondo.

Il dominio pelagico è a sua volta suddiviso in due provincie: quella neritica, sopra alla piattaforma continentale, e quella oceanica, in mare aperto. La colonna d’acqua, con gli organismi che contiene, è solitamente suddivisa in fasce di profondità quali: epipelagica (0-50 m), mesopelagica (50-200 m), infrapelagica (200-600 m), batipelagica (600-2000 m), abissopelagica (2000-7000 m) ed infine adopelagica (nelle fosse oceaniche).

 

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