L’evoluzione

2.1.1 L’origine della vita

Secondo le moderne teorie, la Terra si formò circa 5 miliardi di anni fa e la vita vi comparve, esclusivamente sotto forma di batteri, solo dopo 1.5 miliardi di anni.

La composizione dell’atmosfera, e di conseguenza dei gas disciolti in acqua, era molto diversa da quella attuale e l’ossigeno era pressoché assente. Nelle condizioni ipotizzate, si ritiene possibile la formazione spontanea di sostanze organiche, ad esempio amminoacidi, che aggregate fra loro possono aver dato origine alle prime unità funzionali che sono alla base della vita.

Le prime forme viventi dovevano essere perciò semplicissime, e forse molto simili ad alcuni batteri ancora oggi esistenti. Erano costituite da una cellula molto semplice senza un nucleo definito (procariote) ed erano eterotrofi, incapaci cioè di sintetizzare autonomamente nuova sostanza organica.

La teoria più accreditata vuole che i primi organismi in grado di formare sostanza organica (autotrofi) si siano formati per inglobamento e simbiosi di due organismi elementari. Questi primi esseri erano in grado di liberare ossigeno dall’anidride carbonica e, in milioni di anni, trasformarono la composizione dell’atmosfera fino a farla assomigliare sempre più a quella che noi oggi conosciamo. Queste prime forme di vita fotosintetizzanti permisero l’arricchimento in ossigeno dell’atmosfera, rendendo così possibile l’evoluzione di forme di vita più complesse quali i primi organismi pluricellulari (1.5 miliardi di anni fa). Per quasi un miliardo di anni si svolsero le "prove generali" dei profondi differenziamenti che oggi possiamo constatare. Lo sviluppo della riproduzione sessuale giocò in questo senso un ruolo senz’altro importantissimo.

2.1.2 Dal mare alla terra

Nell’oceano si sono sviluppate le prime forme di vita sia animale che vegetale. Solo successivamente, come testimonia la documentazione fossile, si è avuto un progressivo passaggio dal mare verso le acque interne e verso le terre emerse segnato da infinite tappe intermedie ancora oggi in parte rintracciabili non solo in forme evolute come gli anfibi ma anche negli stadi larvali e nelle fasi di accrescimento di moltissime specie, dalle più primitive alle più evolute (Tab. 1.2).

I primi vertebrati marini fecero la loro comparsa 500 milioni di anni fa, seguiti a distanza di un centinaio di milioni di anni dalle prime piante terrestri che consentirono lo sviluppo di grandi foreste. L’ambiente così modificato e reso più favorevole alla vita vide l’evoluzione degli organismi animali verso la terraferma. Gli anfibi furono i primi vertebrati a condurre alcune fasi del loro ciclo vitale sulle terre emerse; rettili e uccelli, grazie alla capacità di riprodursi per mezzo di uova protette da un guscio, si separarono definitivamente dal mezzo acquatico. I primi resti di scimmie antropomorfe risalgono a circa 30 milioni di anni fa; gli ominidi si sarebbero distaccati da questa linea evolutiva circa 5 milioni di anni fa. Il grande sviluppo del cervello degli ominidi ha comportato lo sviluppo di un’evoluzione culturale, responsabile di cambiamenti molto più rapidi di quelli avutisi con la sola evoluzione biologica.

L’evoluzione non compie mai percorsi lineari ma è sempre caratterizzata da "diramazioni", "percorsi paralleli" ed "inversioni di tendenza". Il caso più eclatante è dato dai mammiferi marini che, grazie a notevoli adattamenti secondari, sono tornati dalla terra al mare e pur conservando le caratteristiche peculiari del gruppo di appartenenza, come il tipo di riproduzione e respirazione, mostrano oggi forme esteriori simili a quelle dei pesci.

La filogenesi è il percorso evolutivo attraverso il quale si è formata una determinata specie (Fig. 2.1).

 

2.1.3 La selezione naturale

Quando, il 24 novembre 1859, Charles Darwin1 pubblicò The Origin of Species by Means of Natural Selection la maggior parte degli studiosi si entusiasmò all’idea che la vita, e quindi anche l’uomo, fosse soggetta a continui mutamenti e che la selezione naturale scegliesse nel tempo i più adatti ai diversi ambienti. L’idea prevalente in quel periodo, conforme a quanto scritto nella Genesi della Bibbia, era che tutte le specie fossero state create immutabili da Dio.

La teoria dell’evoluzione delle forme viventi non era del tutto nuova. Lamarck2, ad esempio, riteneva che questa traesse origine dai mutamenti funzionali che gli organismi subiscono nel corso della loro vita, come ad esempio lo sviluppo di un muscolo maggiormente utilizzato o l’atrofizzazione di un arto inutile e così via, ma non fu mai in grado di dimostrare che queste modificazioni potessero trasmettersi di generazione in generazione.

Al contrario Darwin (in seguito alle osservazioni compiute alle Isole Galapagos a bordo del brigantino Beagle dal 1831 al 1836) e Alfred Wallace (in seguito agli studi condotti nell’arcipelago malese) furono i primi a sostenere che l’evoluzione potesse avvenire per selezione naturale: in ogni generazione, solo gli individui che presentano le caratteristiche migliori (sono cioè meglio adattati), in relazione all’ambiente in cui vivono, sopravvivono e, soprattutto, si riproducono. Solo i caratteri di questi ultimi quindi passano alle generazioni future.

Ma la domanda alla quale si doveva cercare di rispondere era: da dove proviene o perché esiste tutta questa variabilità tra individui di una stessa specie, perché alcuni sono migliori di altri? Solo nel 1900, con la riscoperta delle leggi mendeliane del 1866, si arrivò a parlare di fenomeni di mutazione: un processo casuale che cambia, molto lentamente, la composizione genetica di una popolazione. È questo il processo che sta alla base della variazione. Esso è provocato da errori che avvengono nella copia del messaggio genetico da una generazione all’altra ed è quindi ereditario. Spesso le mutazioni sono dannose e vengono quindi eliminate dalla selezione naturale. Talvolta, se la popolazione si trova in un ambiente al quale è poco adattata, esse possono risultare vantaggiose. Recentemente alcuni dati sembrano supportare l’idea che l’ambiente sia in grado di indurre specifiche mutazioni idonee per quell’ambiente.

Con la scoperta dell’universalità del codice genetico, avvenuta verso la fine degli anni cinquanta, si è fornita la prova migliore della comune discendenza di tutti gli esseri viventi sulla Terra.

Le testimonianze fossili, l’anatomia comparata, l’embriologia e la biochimica, sono tutte discipline che supportano la teoria dell’evoluzione indicando che il numero delle specie vissute nel passato è decisamente superiore a quello attuale; estinzioni di massa si sono prodotte almeno cinque volte negli ultimi 500 milioni di anni.


1 Charles Robert Darwin (1809-1882). Naturalista inglese, padre della moderna teoria della selezione naturale.

2 Jean Baptiste Pierre Antoine de Monet Lamarck (1744-1829). Naturalista francese, considerato l’ideatore delle "Chiavi dicotomiche" per il riconoscimento e la classificazione delle specie. Fra le sue opere più famose troviamo Histoire naturelle des animaux sans vertèbres (1815-1822) e Philosophie zoologique (1809).

 

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