LA FIGURA ED IL NULLA
Di
fronte all’affermazione ripresa da Heidegger che : “Un segno noi siamo che
nulla indica”; di fronte a certo pensiero dell’epistemologia scientifica
contemporanea che annulla la capacità del pensiero di comprendere il reale
assumendo il punto di vista dell’osservatore quale elemento costitutivo ed
intrinseco della realtà, giungendo ad entificare non l’oggetto da conoscere
(l’essere nella metafisica classica), ma la situazione epistemica che si è
venuta creando; di fronte alla figura della comunicazione illimitata
e della complessità, che porterebbero alla morte dell’uomo se non
venissero considerate astratte finzioni, si apre l’originalità del pensiero
di Benvenuto: l’aver intuito l’importanza di quegli ostacoli e di quei
limiti, che egli chiama via negationis.
La
persona, afferma Edoardo, non si realizza nel momento in cui essa diventi
assoluta trasparenza comunicativa, ma proprio al contrario, nel momento in cui
essa incontra il limite e la negazione della mezza via: solo
la persona perviene alla propria terminale perfezione, testimoniando la
sua definitiva identità. In quel momento, laddove la sfera del possibile è
delineata in virtù del mio ritrarmi e negarmi, il mondo e gli altri si
disvelano come datità insuperabile di una situazione epistemica imperfetta, e i
connotati di questa imperfezione soggettiva sono precisamente la perfezione dei
loro connotati oggettivi. L’uomo per identificarsi si deve concedere alla
finitudine con la quale riesce a vincere la prepotenza dell’immensità
spazio-temporali e delle complessità relazionali che tenderebbero ad
inghiottirlo come un punto.
E
qui torniamo ad Heidegger sul problema della temporalità dell’essere. Se il
presente è uno iato tra memoria ed attesa, per superare l’accidia è
necessario volgere il pur sempre del concetto e il “già” del progetto in
prova di quella imperfezione epistemica che segna il nostro incontro con la
realtà. Il giudizio si deve convertire in confessione e l’operare in
testimonianza.
E’
la via anche del nichilismo e del pensiero ebraico del dopo Aushwitz, al
contrario invece della svolta antropologica di K. Rahner o della ecclesiologia
sociologica dove il tutto è rinchiuso nella mera fattualità umana; a quelle
teologie, insomma, dove il tutto dell’uomo è detto divino.
Per
Benvenuto invece Bisogna rinunciare alla figura epistemologica perfetta, sia
essa proveniente dalla filosofia, come dalla sociologia o da qualsiasi altra
scienza umana, ma assumere invece un altro tipo di figura epistemologica, quella
che mette in luce non i contorni netti, ma l’aspetto iconico della realtà.
E
qui ci viene incontro la Rivelazione cristiana, in cui appare chiaro che è Dio
che infonde alla realtà la dimensione figurale come sua intima essenza. Il
pensiero teologico non si può in effetti sciogliere dalla figura rivelata,
perchè l’intelligenza della fede cresce nel riconoscere la dimensione
figurale della storia santa: la figura, pertanto, non è ciò di cui
l’annuncio cristiano deve render ragione, al contrario, essa è ciò che rende
ragione all’annuncio cristiano, incorporandolo nella storia della salvezza.
Proprio
partendo dal campo dell’ermeneutica biblica, Edoardo osserva come la Scrittura
usi un linguaggio aperto, simbolico globale di tipo metaforico che fa entrare in
contatto diversi orizzonti semantici, rappresentati dai diversi termini
all’interno dell’enunciato, nel quadro di una realtà unitaria la quale
organizza da se stessa la funzione rispettiva, e quindi la diversa importanza,
di tutti gli elementi che con la loro convergenza
danno luogo alla figura rivelata.
E’
la Parola di Dio che
disvelandosi in figura si fa annuncio nell’evento della sua
autorealizzazione, determinando la possibilità della percezione anche razionale
della verità.
E’
questo uno degli snodi più importanti di queste riflessioni di Edoardo: la
determinazione dell’importanza della figura epistemica imperfetta a partire
dall’ambito ermeneutico biblico sino ad approdare a quello linguistico e
filosofico, dando luce al processo dell’intelligenza mediante la dinamica
della fede.
Lo
sviluppo di questa tesi dà nuova luce ai problemi della grazia,
dell’antropologia teologica, dell’escatologia, della sacramentaria, della
teodicea, della dottrina sociale della Chiesa.
Il
fallimento del pensiero umano e di ogni suo progetto, laico o teologico,
politico o sociale, individuale o collettivo, fattuale o virtuale, il dolore che
si abbatte sulla vita individuale, la morte in cui tutto sembra perdere senso,
sono in verità, luogo teologico per eccellenza, dove misteriosamente si
manifesta il disegno di quel Dio che ha scelto ciò che nel mondo è debole e
stolto, ignobile e disprezzato, e ciò che è nulla, perchè nulla sia estraneo
(1Cor 1,27-29), e infine sia lui, solo lui, tutte le cose in ognuna di esse(1Cor
15,28).
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Cfr le due figure asintotiche di K. Rahner: L’orizzonte della nostra
inabbracciabile esperienza è ciò che noi chiamiamo Dio in Benvenuto,
Sacrificio e martirio, Bailamme
3(1988)11, e di E. Schillebeeckx, che cerca di interpretare il concetto
filosofico di trascendenza divina, quale espressione ormai spuntata per indicare
il futuro dell’uomo, in Benvenuto, Grazia e Sacramenti, Bailamme
9(1991)28ss, dove egli li considera come itinerari a Babele.
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Benvenuto, Sacrificio e martirio, Bailamme
3 (1988)15.
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Benvenuto, Sacrificio e martirio, Bailamme
3 (1988)17.
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Benvenuto, Sacrificio e martirio, Bailamme
3 (1988) 20.
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Benvenuto, Sacrificio e martirio, Bailamme
3 (1988)22-23.
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M. D. Chenu, La Theologie comme science au XIII siècle, Paris 1969, 19,
in Benvenuto, Figura, Bailamme
2 (1987) 32.
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Benvenuto, Figura, Bailamme
2(1987)31-34.