LUIGI STURZO, CONTRO LA PROPORZIONALE, (A CURA DI Luciana Dalu) RUBETTINO, Soveria Mannelli, 1998

 

PROPORZIONALE O MAGGIORITARIO? LE RIFLESSIONI DI LUIGI STURZO

 

Il Volume della casa editrice Rubettino,  Luigi Sturzo, Contro la proporzionale, curato da Luciana Dalu non ha forse ricevuto tutta l’attenzione che meritava nel dibattito prolisso, farraginoso, per molti versi inutile di questi anni sulla riforma della legge elettorale. L’entrata in campo dei politologi,  degli “ingegneri” delle istituzioni, ha soffocato e non promosso una riflessione che doveva essere eminentemente politica. E’ questa riflessione, invece,  limpida e caustica, che emerge dalle pagine di Sturzo. Come è noto, Sturzo, acceso proporzionalista, si “converte”  a partire almeno dal 1952 all’ipotesi maggioritaria. La cosa è tanto  più sorprendente se si considera che il prete calatino era stato uno dei più lucidi sostenitori del sistema proporzionale. L’introduzione al volume di Luciana Dalu traccia il profilo di questo percorso che è inutile qui ripetere.

Perché Sturzo è un acceso proporzionalista nel 1919  e poi fino agii inizi degli anni ’50? C’è un rapporto strettissimo tra sistema elettorale proporzionale e l’affacciarsi sulla scena politica dei nuovi partiti di massa, in primis il Partito Popolare Italiano. Nel rapporto originario tra partiti di massa e Stato  il sistema proporzionale gioca un ruolo decisivo. Si assiste, da questo punto di vista, a una autentica rottura rivoluzionaria: finisce il notabilato liberale. Il suffragio universale  e la crescita organizzata della società spingono ad uscire dai confini dello Stato liberale per approdare allo Stato Democratico. Al centro di questo passaggio il partito politico moderno:  aggregazione organica, con un programma, un progetto di società, un articolato radicalmente sociale. Ciò cambia radicalmente il senso e la natura della competizione politica.

Ma tutto questo non è valido anche per il secondo dopoguerra? Non è proprio nel secondo dopoguerra che la funzione dei partiti ha modo finalmente di esercitarsi in tutta la sua vitalità? E’ proprio così, non a caso Sturzo di batterà appena tornato dall’esilio per il ritorno al proporzionale, e questo fino agli inizi degli anni cinquanta. Cosa succede allora di così sconvolgente da fare orientare in senso opposto un personaggio come Sturzo? La risposta non può che trovarsi che nella storia drammatica di quegli anni, in particolare quella che si apre dopo la clamorosa vittoria del 18 aprile del 1948. Ed è una risposta politica, eminentemente politica. Proprio mentre la Democrazia Cristiana aveva raggiunto il suo massimo di consenso, si evidenziano i limiti della sua iniziativa e di quel sistema di alleanze che, in qualche modo, avevano consentito la vittoria. La Democrazia Cristiana si presenta come un partito “assediato”  dai suoi stessi alleati di governo. La vittoria del 18 aprile provoca, paradossalmente, più timori tra gli alleati che nell’ormai rassegnato fronte delle sinistre. La “coalizione” diventava una camicia di forza dell’iniziativa democristiana. La storia  del Partito Liberale, del Partito Socialdemocratico, quello di Saragat e quello di Romita in quegli anni è una storia non solo “minore”, ma “minima”. Risentimento, tentativi di riunificazione, paura di non esistere. Sono queste le forze più accanitamente proporzionaliste, esse vivono nel terrore di essere inglobate nella DC e di essere insignificanti nella scena politica. Sospiro di sollievo per la vittoria raggiunta sulle sinistre e  risentimento verso la DC che  di quella vittoria era stata l’artefice prima e indiscussa.

Dopo il III Congresso nazionale della DC nel 1949, il Congresso del “terzo tempo sociale”, si era avviata una timida iniziativa riformatrice, ancora una volta contrastata, oltre che da forze potenti interne allo scudo crociato,  dagli alleati riottosi e permalosi, incapaci di esprimere una strategia di governo dei grandi processi di trasformazione ormai in corso. Le elezioni amministrative del 1951 erano state un campanello di allarme: i trionfi del 18 aprile si ridimensionavano, tenevano le sinistre, aumentavano le destre. Gli “apparentamenti” sperimentati in quella occasione già preludevano alla proposta di riforma elettorale avanzata (e bocciata) dal De Gasperi nel 1953. Fu una trappola per De Gasperi. La posizione di Sturzo era stata chiara: nettamente contrario, essa stravolgeva le regole della competizione democratica. Ma questa era solo una prima osservazione. Ce ne è un’altra non meno importante: De Gasperi  faceva un uso “tattico” dello strumento  della legge elettorale. Per salvare una precaria coalizione di governo escogitava un premio di maggioranza che ne avrebbe esasperato le già esasperanti contraddizioni. C’è nella parole di Sturzo una ironia sottile, una soddisfazione postuma: i feroci antiproporzionalisti di ieri, erano diventati i supplici della proporzionale.

L’analisi sturziana è perfettamente disperata: ha dinanzi a sé un sistema politico ingessato, incapace di muoversi. Lo spettro comunista raggela qualsiasi dinamismo politico in una logica di coalizioni contrapposte che soffoca l’originalità dei partiti, o almeno, chi, tra loro, una originalità può averla, come la Democrazia Cristiana. La prospettiva di Sturzo non si muove nel “contingentismo” degasperiano: si trattava  per lui di liberare la Democrazia Cristiana dal peso soffocante degli alleati, di favorire un terzo polo, finalmente autonomo, finalmente capace di stare in piedi da solo, che potesse essere un alternativa democratica reale alla stessa DC. Solo un’altra ipotesi era all’altezza di questa in quelle contingenza della storia italiana, la si trova in un articolo splendido di Dossetti, Tattica elettorale, apparso su Cronache Sociali nel maggio del 1951.

Se questo era il quadro, la proposta di De Gasperi appariva  inadeguata e confusa. Un equivoco. Puntare piuttosto su un sistema uninominale maggioritario con ballottaggio.

Tra le posizione del 1919 e queste ultime c’è una divergenza sostanziale, ma anche una profonda continuità: si trattava  di rilanciare il primato della politica, del conflitto organizzato, del Partito rispetto agli ingessamenti degli interessi e delle convenienze alla mera sussistenza. Creare, insomma, le condizioni per una competizione vera.

Ma era possibile tutto ciò agli inizi degli anni cinquanta? Sappiamo  che nella estenuante e lunghissima crisi del centrismo una delle implorazioni ossessive degli alleati fu quella del ritorno alla proporzionale pura. Oramai tutto si sarebbe giocato dal governo, attraverso quella identificazione complessa tra Democrazia Cristiana e  Stato che caratterizzeranno i decenni successivi. A tale esito contribuirono in modo determinante gli alleati. La questione comunista divenne una “convenienza” del sistema politico, un suo modo d’essere, e la DC un sistema satellitare. L’ingessamento del sistema politico avrebbe creato modalità di movimento diverse. La strada indicata da Sturzo era esattamente opposta a quella che si sarebbe poi realizzata. Il legame tra  strumento della legge elettorale e sistema dei partiti non si giocava più nell’orizzonte del proporzionale. Ci voleva una spallata per varare una forza autonoma dalla DC e permettesse a questa di essere se stessa, o meglio, quello che Sturzo pensava dovesse essere la DC, l’erede, in un contesto  nuovo, della grande lezione popolare.