.

 

 

 

 

       

 

 

 

 

 

 

 

 


CI PRESENTIAMO: Perché un Circolo «Giustizia e Libertà» a Sassari?

Sassari è città che un tempo ha avuto solide tradizioni laiche, seppure tendenti in genere ad identificarsi con posizioni conservatrici. Con l'avvento del fascismo e il passaggio massiccio dei ceti borghesi dalla parte della reazione, la sinistra laica sassarese mantenne fede ai suoi ideali attraverso le iniziative -- presto soffocate dal regime mussoliniano -- di pochi indomiti personaggi, collegati alla rete clandestina di Giustizia e Libertà, provenienti dalle fila socialiste, repubblicane e sardiste.

La liberazione avvenuta per mano degli Alleati, destino comune a tutte le regioni meridionali, impedì che il "vento del nord" della lotta partigiana soffiasse dalle nostre parti, spazzando via almeno le incrostazioni più evidenti lasciate dalla dittatura fascista. Invece una continuità sostanziale, al di là dei cambiamenti nominali, sancì il trapasso fra il regime monarchico-fascista e quello democratico-repubblicano.

Tale continuità si incarnò nella Democrazia Cristiana, che nell'immediato dopoguerra assunse a Sassari, così come nel resto della Sardegna, il ruolo di raccolta delle istanze moderate e conservatrici, con la benedizione delle gerarchie cattoliche. I cosiddetti partiti laici (PRI, PLI, PSDI e il PSDA) furono di fatto il puntello del regime democristiano, mentre PCI e PSI seguivano il faro sovietico (finché il PSI non scelse la via autonomista dopo il '56). Nel frattempo la sinistra laica, liberalsocialista e federalista aveva perso ogni punto di riferimento con la scomparsa del Partito d'Azione, nel quale era confluita l'esperienza di GL.

Sassari, non diversamente dal resto d'Italia, si avviava ad essere terreno fertile per il radicamento del notabilato democristiano, di cui è stato un fulgido esempio la rete clientelare abilmente tessuta da Antonio Segni. Certo, non mancavano voci laiche e libere, come quella di Michele Saba, già inserito nella organizzazione clandestina di GL, oppure della rivista "Ichnusa" e in particolare dell'avv. Giuseppe Melis Bassu, partecipe fra l'altro della breve stagione del Partito Radicale (fondato dal gruppo di intellettuali del "Mondo").

Gli anni '70 sono stati, in città, il periodo di più consistente crescita elettorale del PCI, che però, affacciandosi nella stanza dei bottoni, ha fatto proprie alcune logiche tipiche della gestione democristiana del potere (il "consociativismo" trasmetterà a lungo le proprie tossine). Deboli in città le forze libertarie ed ecologiste (il nuovo Partito Radicale; i Verdi); perse per strada le forze vitali che -- pur indirizzate in modo errato -- si erano espresse nei movimenti di estrema sinistra; ormai definitivamente votati allo sfruttamento in chiave di accesso ai posti di potere del proprio consenso -- il PSI, i sardisti e i cosiddetti partiti laici; Sassari ha vissuto sino agli anni '90 un decadimento della politica molto grave e forse irrecuperabile (lo affermiano anche alla luce delle esperienze più recenti).

Nemmeno la stagione di "mani pulite" si è tradotta, qui a Sassari, in un'azione della magistratura capace di sanzionare (nel vuoto lasciato dalla politica) le più evidenti distorsioni dei partiti e delle pubbliche amministrazioni, e non perché -- beninteso -- Sassari avesse una classe di politici e amministratori più virtuosa della media italiana. Come hanno sempre ricordato i magistrati milanesi e i loro colleghi impegnati nelle procure meridionali, poste in prima linea nella lotta contro la mafia, quando manca il sostegno e il consenso della popolazione, se cioè innanzitutto in ciascun cittadino non si è determinata la rottura con un certo sistema di gestione del potere, in ragione della quale viene a cessare ogni collusione e complicità, il lavoro della magistratura risulta molto difficile e pressoché vano. Sempre che la magistratura voglia compiere il proprio dovere.

Il recente fiorire di nuovi partiti e movimenti non ha inciso sulla struttura dell'agire politico cittadino, anzi ha forse reso più torbido, meno immediatamente evidente, il quadro delle responsabilità politiche, nonostante la salutare suddivisione grosso modo in due poli dello scenario che abbiamo di fronte. La pratica del trasformismo trova una nuova sfrenata applicazione nella decisione di tanti politici di portare con sé da un polo all'altro, da una formazione all'altra, spezzoni di clientele, previa contrattazione di cariche e prebende, un fenomeno che ha punte di particolare acutezza alla vigilia delle elezioni.

La politica cittadina (con i suoi gruppi, movimenti, frazioni di partito) è in misura ampia o latitante o complice, anche se esistono a sinistra alcune interessanti realtà non omologate, capaci di elaborare una politica attenta a quanto si muove nella società sarda, seppure non ancora in grado di raggiungere una massa critica tale da rappresentare una possibile alternativa al sistema vigente.

Inoltre, la giunta guidata da Renato Soru in circa tre anni di governo della Sardegna ha ridefinito le coordinate del fare politica a livello regionale, con effetti che devono ancora essere valutati nel loro complesso, sia sul piano della diffusione della partecipazione democratica, in relazione all'esercizio dei poteri conferiti dalla legge al presidente della giunta; sia sul terreno della conquista di alcuni obiettivi storici della sinistra sarda, anche di quella di matrice sardista e nazionalitaria (smantellamento delle basi militari, continuità territoriale, problema energetico, tutela delle coste e dell'ambiente, turismo non predatorio, lotta agli sprechi dell'amministrazione pubblica, adozione di un modello di sviluppo sostenibile non più centrato sull'industria pesante, rivendicazione di nuovi spazi di sovranità nei confronti dello stato).

Il blocco del ricambio politico e del rinnovamento delle classi dirigenti, le collusioni fra ampi settori del mondo politico, sociale ed economico (addensate intorno a forti rapporti di dipendenza neocoloniale), sono tutti aspetti importantissimi della complessiva crisi politica che investe la nostra città (e l'intera regione), il cui peso non si è certamente alleggerito negli ultimi anni (nonostante la "cura" Soru).

Il tentativo di costruire delle soluzioni improntate ai principi di giustizia sociale, libertà, solidarietà e autogoverno richiede di moltiplicare le sedi di approfondimento e discussione: ed è appunto questa sfida che noi raccogliamo con la creazione del Circolo a Sassari.

I sardi che si riconoscono nella tradizione ideale e politica del movimento Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione, che fanno proprio il pensiero e l'esempio, fra gli altri, di Salvemini, Gobetti, Rosselli, Lussu, Ernesto Rossi, che ricordano il sacrificio dei martiri antifascisti e dei partigiani delle formazioni GL, hanno ora un proprio punto di riferimento nel Circolo «Giustizia e Libertà» di Sassari (che per il momento è un "luogo" di riunione e dibattito soltanto virtuale).

Questo Circolo GL (collegandosi alla più vasta federazione italiana dei circoli GL) rappresenta un contributo che diamo all'affrancamento della buona politica da quella cattiva, perché crediamo sia possibile che la politica recuperi la sua capacità di analisi, elaborazione progettuale ed intervento concreto, nell'interesse della collettività e, in particolare, delle classi svantaggiate, contro gli interessi particolaristici, palesi e occulti.

E' certo un compito molto difficile, che richiede, in primo luogo, una riflessione sulla situazione di crisi in cui versa la nostra città e la nostra regione (senza trascurare comunque le novità che pur ci sono). Ma è anche un compito che necessita -- per dimostrare di essere credibile -- di fondare l'analisi, la ricostruzione delle cause, l'individuazione degli effetti, la formulazione delle soluzioni e la loro realizzazione, su un patrimonio culturale e di conoscenze innovativo, per quanto saldamente ancorato alla tradizione di pensiero liberalsocialista, socialista libertario, laico e federalista -- l'unica, a nostro avviso, che abbia superato la prova delle vicende storiche lontane e recenti.

In un momento particolare nella congiuntura politica in cui si fa a gara per dichiararsi moderati (e in alcuni casi, senza sprezzo del ridicolo, "nuovi"), in un'affannosa corsa verso un centro tanto indefinito nei programmi quanto ambiguo negli obiettivi (e il Partito Democratico in via di formazione non sembra sfuggire a questa logica), affermiamo ragionevolmente e con orgoglio di stare a sinistra. Per noi le categorie di destra e sinistra sono ancora molto attuali, sono una bussola a cui non intendiamo rinunciare.

Il compito che nell'immediato vogliamo perseguire è di natura culturale, non solo semplicemente politica. Ci rendiamo conto che alcuni fondamenti dell'agire politico sfuggono alla più parte dei cittadini; c'è insomma una gran confusione e -- diciamolo pure -- quando si ragiona di politica, il riferimento immediato sono le categorie politiche, gli slogan, gli scampoli ideologici di una farsesca Guerra Fredda, propinati dai cosiddetti leader attraverso la TV (in questo campo il berlusconismo ha fatto scuola anche a sinistra).

Con i nostri mezzi relativamente scarsi vogliamo essere una piccola luce in grado di rischiarare alcuni meccanismi di questa politica malata (propria di una democrazia che è a sua volta malata, e qui le riflessioni di Bobbio sul suo futuro sono più che mai attuali). Vogliamo essere un centro di diffusione della cultura socialista liberale e socialista libertaria, laica, federalista, che mostri non solo l'attualità del pensiero di alcuni fra i personaggi più importanti della storia politica di questo paese (spesso dimenticati o manipolati), ma consenta anche di avviare le nuove generazioni alla conoscenza (e alla pratica) degli ideali fondamentali di libertà, giustizia, democrazia (finalità che trova nel web un mezzo ottimale di realizzazione).

L'orizzonte che ci diamo è a tutta evidenza il lungo periodo (nonostante l'ammonimento sarcastico di Keynes che "nel lungo periodo saremo tutti morti"): è necessariamente il lungo periodo. Anzi, oggi stiamo seminando un raccolto che vedremo germogliare solo in parte, o forse mai, in futuro.

Nel dopoguerra, di fronte ad una sinistra stretta nella morsa di due totalitarismi, quello comunista e quello clericale, Salvemini ricordava ai reduci dell'avventura azionista che per riportare la sinistra nell'alveo della libertà, della laicità, della democrazia sarebbero occorsi almeno dieci anni di lotte, da condursi nella società, fra i cittadini, ma a distanza dal potere, senza l'assillo delle elezioni, degli schieramenti, delle alleanze.

Constatandone l'estrema attualità, facciamo nostro il saggio consiglio di Salvemini. Oggi un libro, un opuscolo, una conferenza, una pagina web, una discussione politica, e chissà, forse un giorno, una piccola biblioteca o libreria tematica, una rivista, un centro di aggregazione, valgono più del tempo dedicato alle alchimie di questi partiti sempre più persi nella ricerca del potere fine a sé stesso. In questo modo contiamo di dare il nostro piccolo ma significativo contributo al rinnovamento della sinistra, dei suoi movimenti e, anche, dei suoi partiti (infatti, continuiamo a ritenere che lo strumento-partito, rettamente inteso, sia indispensabile per la democrazia).

Siamo pronti ad accogliere come compagni di lotta tutti coloro che hanno lo stesso obiettivo, e vogliono utilizzare gli stessi mezzi, non solo a Sassari e in Sardegna, ma anche nel resto d'Italia.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Questo sito e il blog collegato sono pubblicati sotto una Licenza Creative Commons