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Testata della rivista Ichnusa, fondata da Antonio Pigliaru [oruneday.it]


 

Speciale "Michele Saba (1891-1957)"

 


Ichnusa (Antonio Pigliaru) -- Michele Saba

L'articolo non firmato è senz'altro da attribuirsi ad Antonio Pigliaru, intellettuale e giurista, fra le figure più importanti della cultura democratica sarda, che della rivista "Ichnusa" fu il principale animatore. Lo pubblichiamo con la gentile autorizzazione della prof.ssa Rina Fancellu Pigliaru, che desideriamo ringraziare.

Con Michele Saba (nato ad Ossi il 14 luglio 1892: morto a Sassari il 3 ottobre 1957), è venuta a mancare una delle figure più caratteristiche ed esemplari del mondo politico sardo, del giornalismo politico sardo, e si può dire, con coraggio, della cultura politica sarda.

Uomo di una remota formazione radicale non scevra tuttavia da ingenuità e da molte approssimazioni, era cresciuto alla scuola di un uomo e di un temperamento come quello di Gaetano Salvemini, del quale nel paesaggio provinciale sardo, ripeteva molti modi ed atteggiamenti in misura estremamente visibile. Pertanto, Michele Saba, gli si facciano tutti gli addebiti che si vuole, ha rappresentato nel paesaggio politico sassarese in particolare e sardo in genere, un impegno d'avanguardia radicale e repubblicana assai notevole: ed è stato certamente uno dei caratteri più lineari e della nostra breve politica. Il suo radicalismo, il suo repubblicanesimo, il suo antifascismo indicano temi di una interiore fedeltà politica di grande rigore e, bisogna dirlo, nel mondo delle politiche provinciali, cosi spesso morbidamente corrotto e senza ispirazioni effettive, cosi spesso accomodante e di facile contentatura, temi di un impegno tutt'altro che comune.

In questo senso sopratutto - in questa fondamentale dimensione di un carattere - ci pare appunto che si possa anzi si debba parlare di una esemplarità di Michele Saba, anche se in definitiva, l'azione, politica da lui svolta non [sembra] mai forse abbia avuto successi adeguati alla intensità e alla estrema passionalità da cui era animata. Né bisogna dimenticare che se uno vuol guardare a fondo nella sua personalità - stravaganze comprese, se ci si consente l'espressione che non vuole per nulla in questa sede apparire, non che essere, comunque irriguardosa - nella personalità appunto di Michele Saba. il segno visibilissimo dell'inattualità è uno dei tratti essenziali, uno dei segni più costanti di tutta la sua biografia. Inattuale per temperamento, inattuale per vocazione - ma proprio nel senso in cui è stato per tutta la vita inattuale anche, un Salvemini - la sua politica restava, era destinata a restare, ben per ciò, una politica sentimentale, una politica dominata più forse da ragioni del cuore che da quelle più fredde e lucide dell'intelligenza: e per questo anche, la sua capacità a pensare politicamente non andava oltre i termini immediati e più apparenti e visibili delle questioni «quotidiane», nel che nuovamente si può incontrare uno dei suoi limiti fondamentali, ma insieme una delle più forti ragioni del suo fascino. Affascinante in modo estremo, Egli era proprio per la sua fedeltà repubblicana: e per la sua fedeltà alla tradizione di quel Partito repubblicano italiano in cui militò con attaccamento quasi disperato, fedeltà cui consapevolmente sacrificò ogni interesse ed ogni ambizione personale, tranquillamente accettando ogni ironia che una città «divertita» quale Sassari, poteva esercitare su di lui e sulle effettive proporzioni locali del suo partito. Il quale, poi, era tutt'uno con lui, indiscutibilmente, al punto che fu, per quel che potè essere, quel qualcosa appunto che riuscì ad essere nella misura in cui Michele Saba riuscì a farlo esistere, giorno per giorno. Ed anche in questo dunque Michele Saba seppe essere a modo suo un personaggio, vero politico inattuale, proprio, e sopratutto anzi per questa sua rigorosa, ferma, assoluta fedeltà non solo al suo ideale repubblicano, ma addirittura alla quotidiana vicenda di un partito politico che ebbe la ventura di rappresentare, nel paese, il partito politico più piccolo. Anche in questo suo rifiuto delle suggestioni esercitate su tante coscienze dalla visibile efficenza dei grossi partiti moderni, Egli celebrava un fatto di temperamento e, coerentemente. un fatto di cultura: quel non aver paura di apparir sorpassato dal ritmo intenso (e quanto!) della lotta politica moderna, quell'accettare anzi il rischio di esser facilmente sorpassato, pur di continuare a rappresentare in modo diretto se stesso, il proprio bene ed il proprio male, ma si può dire, senza mediazioni esteriori, e quindi proprio di persona: oggi che tutto lo schieramento politico italiano par sentire così viva e profonda la nostalgia di quei piccoli partiti che esso medesimo ha così spietatamente travolti, la facile ironia sassarese (ed italiana) di qualche anno fa. rischierebbe forse di parere essa, piuttosto inattuale: e piace dover prender atto dell'apparente empietà di un destino, che ha troppo crudamente tolto ad un uomo appassionato come Michele Saba di vedere, nel nuovo ruolo che il nuovo corso della politica italiana assegna oggi ai cosiddetti partiti minori, come tutto sommato le ragioni effettive fossero più dalla sua parte che dalla parte delle nostre ironie troppo facili.

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A considerare la figura di Michele Saba a livello puramente intellettuale, i suoi limiti appariranno gli stessi della sua politica, nel senso che in Lui, ad un attivismo culturale estremamente intenso, non faceva supporto un rigore filologico adeguato. Così la sua azione intellettuale finiva spesso nell'aneddotica, compiacendosi oltre il lecito di giocare ai margini delle cose, in superficie. Per dire un caso subito visibile, la prospettiva naturale, essenziale di Michele Saba su su di un fatto storiograficamente complesso come Carlo Alberto non poteva che restare Brofferio (il « suo » Brofferio), e s'intende, piuttosto Brofferio che Omodeo. che pure era un nome fuor di sospetto. Era del resto «salveminiano» anche in questo, ed era in fine, ed anche in questo, estremamente coerente: se lo trovavi, pertanto, pronto a giurare sulla parola di Brofferio come in verba magistri, guai, però a veder in ciò solo una fondamentale mancanza di prospettiva storiografica (c'era, ma non è questo che conta), e a non capire che in definitiva quel suo appagarsi di Brofferio era il portato naturale del fatto che al modulo dalla sua azione culturale non occorreva altro.

Il fatto è che la sua cultura era tutt'altro che disinteressata, tutt'altro che rigorosa, ma non era per ciò meno efficiente, a vederla operare s’intende nella direzione in cui Michele Saba voleva farla valere e agire. Così, anche come intellettuale. Michele Saba ebbe limiti che furono tuttavia di generazione: ma ebbe in proprio una dote, una qualità che pochi intellettuali in Sardegna ebbero in misura egualmente sviluppata, di mai aver avuto paura dell'abbraccio il più caloroso, tra cultura e politica, tra operazione intellettuale e impegno politico: e il coraggio di rischiare su una cultura fortemente politicizzala, il proprio destino di intellettuale. Pochi intellettuali sardi in effetti hanno come lui sentito il bisogno di pensare politicamente, di vedere ogni cosa, la più quotidiana e facile, in termini politici, di costume politico, ed anche se codesto atteggiamento (codesto atteggiamento intellettuale, che era in lui anche un fatto di costume, un fatto si può dire, di stile), ed anche dicevamo se codesto atteggiamento lo portava talvolta a compiere gesti che potevano sembrare (ma non diciamo altro che «sembrare») di intransigenza forte ma ingenua, di un'originaria chiusa faziosità, tuttavia si dovrà ammettere, pur da chi più volesse insistere sulle apparenze negative degli atteggiamenti che gli erano abituali, che in quel modo, apparentemente così fazioso e quasi personalmente risentito di comportarsi, c'era un altro tratto dei più positivi e quasi dei più commoventi, del suo tipo umano, del suo temperamento, del suo stile intellettuale-politico. Michele Saba aveva in effetti una volontà di partecipazione totale, assoluta, un desiderio addirittura bruciante di essere vivo, di vivere intensamente ogni fatto che in qualche modo potesse interessare la «sua» politica.

In una «provincia» morbida e cinica come la nostra, senza passioni, spesso anzi accomodante sino al peggio, Egli rappresentava, questo è il punto, un'isola di entusiasmo che ben era, rispetto alla regola, un'autentica eccezione — e dispiace, a ripensarci, che così di frequente gli aspetti meno positivi del suo temperamento ci abbiano fatto perder di vista quello che, al fondo delle cose, era il significato autenticamente positivo non solo dei suoi pregi, sì anche, che è quel che conta di più, sì anche dei suoi limiti; e quindi, per esempio, di aver così di frequente perduto di vista, noi cioè proprio i suoi critici di generazione, che di fronte alle recensioni che pubblicava sui nostri giornali, era ingiusto che ci premesse più rilevarne gli eventuali limiti di cultura che intendere il valore dell'impegno che quelle recensioni significavano. (Quelle recensioni, considerate in tutto il loro arco di svolgimento, significavano, infatti anch'esse, un impegno assai fattivo e positivo, il tentativo costante, di divulgare in Sardegna un certo tipo di letteratura politica che altrimenti sarebbe passata inosservata, o di cui. ad eccezione degli specialisti, non si sarebbe avuta notizia. Anche qui, obbediva solo ai suoi gusti, alle sue simpatie, cosa piuttosto naturale: vogliamo vedere che se dovessimo cercare un solo argomento per rimproverargli «scientificamente» un tale «settarismo». non ne troveremmo neppure uno che però sia davvero persuasivo?). La sua politica, in effetti, la sua cultura, la sua umanità, il suo essere come era, non gli imponevano, in modo alcuno un dovere di distaccato obiettività, tutto ciò che Egli era gli imponeva di essere, in ogni suo gesto, unicamente fedele alla sua politica, alla sua cultura, alla sua umanità, di essere, per quanto è appunto umanamente possibile, appunto una intelligenza unilaterale: e anche questa sua vocazione alla unilateralità, che ad altri livelli ed in altri rapporti può essere una vocazione al peggio, in Michele Saba era ancora una volta un segno assai positivo, era un segno di vita, il portato logico e conseguente di un proposito che va sottolineato: il proposito di non far valere il pretesto della obiettività come un alibi per tutti i successivi accomodamenti che la vita di una «provincia» cinica e stanca e stancante come la nostra, getta ogni giorno tra i piedi di tutti.

Se non sbagliamo, per cominciare a valutare il significato di tutto ciò che Michele Saba fu. è necessario proprio partire da questo punto: non si capisce un uomo, un temperamento, una cultura, una politica come Michele Saba, se anzitutto non si capisce che cosa può essere. può significare, in determinati rapporti concreti, una sistematica e coerente vocazione all'unilateralità, purché sofferta altresì e pagata sempre in prima persona come, in ultima analisi, sapeva soffrirla e quotidianamente pagarla Michele Saba.

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Allora, più la memoria si allontanerà nel tempo, più e meglio forse intenderemo ed apprezzeremo quello che è stato il ruolo giocato da Michele Saba come personaggio, persino molto pittoresco, della nostra piccola storia: di questa breve quotidiana e non facile storia del nostro piccolo mondo, antico e moderno. Più passerà il tempo sulla memoria, più forse ci renderemo conto della necessità di trasformare. un po' per volta, questa prosa «da» necrologio (la gran brutta parola!), in un vero e proprio profilo storico: cogliere Michele Saba come personaggio, puntualmente situarlo al centro del suo mondo per vederlo vivere in una prospettiva esatta, in una luce quanto più possibile autentica. Vogliamo scommettere che un profilo organico, completo. intelligente, di Michele Saba, potrebbe risultare uno dei documenti più interessanti e importanti sulla classe dirigente meridionale, sulla classe dirigente sarda della prima «levata» del secolo?

Chi sa quanto a lungo Michele Saba è stato presente alla scena politica sarda, e la parte che su tale scena Egli ha intensamente vissuto, sa che cosa vogliamo dire, con l'ultimo interrogativo, che del resto non ha in sé alcunché di sottinteso. Per questo, fermiamoci su questo punto, che ci pare il migliore per interrompere il discorso e confermare, come in un estremo saluto, il nostro compianto, se questo è quel che conta, assai al di là di ciò che un gesto può, in apparenza, limitarsi a significare.

Fonte: Ichnusa, a. V, fsc. V, n. 20, pp. 47-50, rubrica "Rassegne" (le parti in grassetto sono del curatore dello speciale).

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
   
 
 
 

 

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