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Michele Saba in una foto del quotidiano La Nuova Sardegna
[indietro all'indice dello speciale "Michele Saba"] Giuseppe Melis Bassu -- Nella storia politica dell’isola. Fino all’ultimo giorno della vita credette fermamente nella forza delle idee. Quando
scomparve Michele Saba. dieci anni or sono, gli intimi della sua
generazione — uno stuolo di uomini politici e di cultura, fra i quali
egli contava molte amicizie — lo ricordarono, in due pagine a lui
dedicate, su questo quotidiano; che era stato, per tanti anni, il luogo
della sua attività di giornalista e pubblicista. E fu come doveva essere: una
commemorazione velata di sincero rimpianto, un doveroso omaggio alla sua
memoria. Qualche
settimana dopo comparve, sulla rivista «Ichnusa», un breve saggio a lui
dedicato da Antonio Pigliaru. E fu qualcosa di diverso, e di nuovo. Quello
scritto coglieva la figura di Michele Saba, secondo la sua esemplarità,
nel tessuto della società sarda (e sassarese, in particolare) del suo
tempo; e ne proponeva la rimeditazione — al di là del ricordo e del
rimpianto — in una precisa prospettiva storica. Era
un discorso fatto da un uomo della generazione educata dal fascismo, per
un uomo della generazione dei padri, che era stato avversario del
fascismo. Un discorso fatto da un intellettuale della generazione dell'«impegno»,
per un combattente d'idee che si ricollegava alla ormai effimera e
compromessa tradizione radicale e repubblicana sassarese: due generazioni,
due tipi di impegno culturale e politico che, generalmente considerati,
non avevano trovato — e non trovarono poi mai — il luogo d'un discorso
unitario e comune, al di sopra del ventennio. Per
questi motivi, lo scritto di Pigliaru indusse alcuni a stupire; e questo
si spiega. «In una provincia
morbida e cinica come la nostra, senza passioni, spesso anzi accomodante
sino al peggio»; e in una Sassari nella quale, già prima del
fascismo, il radicalismo s'era deteriorato a pretesto di potere personale,
doveva apparire (come appare anche oggi) inconcepibile ed incomprensibile,
una continuità ideale fra generazioni. In una città avvilita da un
clientelismo clericale e qualunquista, che doveva costituire (e costituì)
la ragione principale della sua attuale paralisi, la gente non poteva
credere in altro che non fosse la santa continuità delle «famiglie», e
del mondo di ieri. È ben per questo Pigliaru, in quel suo saggio,
rimarcava l'esemplarità del Saba soprattutto nella sua «inattualità»: nell'aver accettato, in una città come la nostra,
il ruolo del piccolissimo partito d'opinione, della sorte politica senza
speranze elettorali, dell'attivismo culturale apparentemente fine a sé
stesso, dell'entusiasmo, per gli ideali e per la nuova letteratura
politica; che vale a dire, il ruolo dell’uomo che paga di persona e che
crede — massimo fra tutti i suoi peccati — nel vitale rapporto fra
cultura e politica. Atteggiamenti,
questi, che durante tutti questi anni i «benpensanti» (ed anche parte
della stampa locale, obbedendo consapevolmente, od inconsapevolmente, al
preciso disegno politico di bene individuabili resistenze con-servatrici e
reazionarie) han fatto oggetto d'una sapida ironia. Con
l'effetto di operare — per ciò soltanto — una scelta altrettanto
precisa (se non negli intenti, almeno nei risultati) in un mondo come
quello odierno, nel quale i valori entrano in crisi anche in provincia,
dove non è più agevole l'alibi della doppia verità, della furberia
ipocrita, del compromesso. Gli effetti di questa filosofia da «benpensanti»,
del resto, li abbiamo oggi sotto gli occhi: una comunità depressa, in cui
le dirigenze politiche progressivamente peggiorano, in cui non s'è
formata una classe imprenditoriale degna di questo nome, ed in cui essa
comunque ha mancato l'incontro (necessario ed essenziale, in una città
moderna) con le categorie intellettuali, con le migliori qualificazioni
professionali. Una città che non crede in nulla, e che aspetta tutto dal
di fuori, niente da se stessa. Ecco,
dunque, l'inattualità del Saba; nella prospettiva di questi dieci anni
trascorsi, essa va significando, accanto al valore morale proprio d'un
atteggiamento d'intransigenza ideale, un sempre pili nitido contorno
sociologico. Pigliaru lo aveva intuito. «Più
la memoria si allontanerà nel tempo — concludeva nel suo saggio —
più e meglio forse intenderemo e
apprezzeremo quello che è stato il ruolo giocato da Michele Saba come
personaggio, persino molto pittoresco, per la nostra piccola storia: di
questa breve. e quotidiana e non facile storia del nostro piccolo mondo,
antico e moderno. Più passerà il tempo sulla memoria, più forse ci
renderemo conto della necessità di trasformare, un po' per volta, questa
prosa da necrologio (la gran brutta parola!), in un vero e proprio profilo
storico: cogliere Michele Saba come personaggio, puntualmente situarlo al
centro del suo mondo per vederlo vivere in una prospettiva esatta, in una
luce quanto più possibile autentica. Vogliamo scommettere che un profilo
organico, completo, intelligente, di Michele Saba, potrebbe risultare uno
dei documenti pili interessanti ed importanti sulla classe dirigente
meridionale. sulla classe dirigente sarda della prima « levata » del
secolo?». Son
pochi lustri, ma sembra ieri: quando pareva che nell'urto dei due grandi
blocchi di forze, all'interno, e nel mondo, si riassumesse tutto il nostro
avvenire; quando pareva che il domani nient'altro potesse riserbarci se
non un paterno e sorridente regime clericale; e che i «partitini»
fossero condannati alla morte per inedia, irrisi con fastidio, incapaci di
persuadere l'elettore con la loro idee «astratte»; quando pareva che nel
mondo politico la forza dovesse definitivamente contare più delle idee,
Michele Saba — ecco la sua esemplarità — fu tra i pochissimi che,
nella nostra sorda provincia, continuarono a credere nella forza delle
idee, e nel valore delle minoranze disposte a portarla avanti. Oggi
è facile dire che hanno avuto ragione quelli che la pensavano come lui:
lo dicono in molti, considerando, oggi, quella che è stata l'influenza
decisiva dell'opinione minoritaria della sinistra democratica
sull'evoluzione del socialismo italiano, sul superamento del blocco
clericale, sulla fattiva impostazione del rapporto cultura-politica. Ma
bisognava saperci credere allora; e prima di allora, durante venti anni di
fascismo; Michele Saba ci ha creduto, ha continuato a crederci, fino
all'ultimo giorno della sua vita, da uomo d'idee, e da galantuomo. |
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