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Michele Saba in una foto del quotidiano La Nuova Sardegna


 

Speciale "Michele Saba (1891-1957)"

Pubblichiamo quattro interventi tratti dal quotidiano sassarese La Nuova Sardegna, del 26 ottobre 1967, preceduti dal titolo: "Ricordando Michele Saba a dieci anni dalla morte. L’Uomo, il giornalista, l’avvocato, l’amico generoso".

 


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Giuseppe Melis Bassu --  Nella storia politica dell’isola. Fino all’ultimo giorno della vita credette fermamente nella forza delle idee.

Quando scomparve Michele Saba. dieci anni or sono, gli intimi della sua generazione — uno stuolo di uomini politici e di cultura, fra i quali egli contava molte amicizie — lo ricordarono, in due pagine a lui dedicate, su questo quotidiano; che era stato, per tanti anni, il luogo della sua attività di giornalista e pubblicista. E fu come doveva essere: una commemorazione velata di sincero rimpianto, un doveroso omaggio alla sua memoria.

Qualche settimana dopo comparve, sulla rivista «Ichnusa», un breve saggio a lui dedicato da Antonio Pigliaru. E fu qualcosa di diverso, e di nuovo. Quello scritto coglieva la figura di Michele Saba, secondo la sua esemplarità, nel tessuto della società sarda (e sassarese, in particolare) del suo tempo; e ne proponeva la rimeditazione — al di là del ricordo e del rimpianto — in una precisa prospettiva storica.

Era un discorso fatto da un uomo della generazione educata dal fascismo, per un uomo della generazione dei padri, che era stato avversario del fascismo. Un discorso fatto da un intellettuale della generazione dell'«impegno», per un combattente d'idee che si ricollegava alla ormai effimera e compromessa tradizione radicale e repubblicana sassarese: due generazioni, due tipi di impegno culturale e politico che, generalmente considerati, non avevano trovato — e non trovarono poi mai — il luogo d'un discorso unitario e comune, al di sopra del ventennio.

Per questi motivi, lo scritto di Pigliaru indusse alcuni a stupire; e questo si spiega. «In una provincia morbida e cinica come la nostra, senza passioni, spesso anzi accomodante sino al peggio»; e in una Sassari nella quale, già prima del fascismo, il radicalismo s'era deteriorato a pretesto di potere personale, doveva apparire (come appare anche oggi) inconcepibile ed incomprensibile, una continuità ideale fra generazioni. In una città avvilita da un clientelismo clericale e qualunquista, che doveva costituire (e costituì) la ragione principale della sua attuale paralisi, la gente non poteva credere in altro che non fosse la santa continuità delle «famiglie», e del mondo di ieri. È ben per questo Pigliaru, in quel suo saggio, rimarcava l'esemplarità del Saba soprattutto nella sua «inattualità»: nell'aver accettato, in una città come la nostra, il ruolo del piccolissimo partito d'opinione, della sorte politica senza speranze elettorali, dell'attivismo culturale apparentemente fine a sé stesso, dell'entusiasmo, per gli ideali e per la nuova letteratura politica; che vale a dire, il ruolo dell’uomo che paga di persona e che crede — massimo fra tutti i suoi peccati — nel vitale rapporto fra cultura e politica.

Atteggiamenti, questi, che durante tutti questi anni i «benpensanti» (ed anche parte della stampa locale, obbedendo consapevolmente, od inconsapevolmente, al preciso disegno politico di bene individuabili resistenze con-servatrici e reazionarie) han fatto oggetto d'una sapida ironia.

Con l'effetto di operare — per ciò soltanto — una scelta altrettanto precisa (se non negli intenti, almeno nei risultati) in un mondo come quello odierno, nel quale i valori entrano in crisi anche in provincia, dove non è più agevole l'alibi della doppia verità, della furberia ipocrita, del compromesso. Gli effetti di questa filosofia da «benpensanti», del resto, li abbiamo oggi sotto gli occhi: una comunità depressa, in cui le dirigenze politiche progressivamente peggiorano, in cui non s'è formata una classe imprenditoriale degna di questo nome, ed in cui essa comunque ha mancato l'incontro (necessario ed essenziale, in una città moderna) con le categorie intellettuali, con le migliori qualificazioni professionali. Una città che non crede in nulla, e che aspetta tutto dal di fuori, niente da se stessa.

Ecco, dunque, l'inattualità del Saba; nella prospettiva di questi dieci anni trascorsi, essa va significando, accanto al valore morale proprio d'un atteggiamento d'intransigenza ideale, un sempre pili nitido contorno sociologico. Pigliaru lo aveva intuito. «Più la memoria si allontanerà nel tempo — concludeva nel suo saggio — più e meglio forse intenderemo e apprezzeremo quello che è stato il ruolo giocato da Michele Saba come personaggio, persino molto pittoresco, per la nostra piccola storia: di questa breve. e quotidiana e non facile storia del nostro piccolo mondo, antico e moderno. Più passerà il tempo sulla memoria, più forse ci renderemo conto della necessità di trasformare, un po' per volta, questa prosa da necrologio (la gran brutta parola!), in un vero e proprio profilo storico: cogliere Michele Saba come personaggio, puntualmente situarlo al centro del suo mondo per vederlo vivere in una prospettiva esatta, in una luce quanto più possibile autentica. Vogliamo scommettere che un profilo organico, completo, intelligente, di Michele Saba, potrebbe risultare uno dei documenti pili interessanti ed importanti sulla classe dirigente meridionale. sulla classe dirigente sarda della prima « levata » del secolo?».

Son pochi lustri, ma sembra ieri: quando pareva che nell'urto dei due grandi blocchi di forze, all'interno, e nel mondo, si riassumesse tutto il nostro avvenire; quando pareva che il domani nient'altro potesse riserbarci se non un paterno e sorridente regime clericale; e che i «partitini» fossero condannati alla morte per inedia, irrisi con fastidio, incapaci di persuadere l'elettore con la loro idee «astratte»; quando pareva che nel mondo politico la forza dovesse definitivamente contare più delle idee, Michele Saba — ecco la sua esemplarità — fu tra i pochissimi che, nella nostra sorda provincia, continuarono a credere nella forza delle idee, e nel valore delle minoranze disposte a portarla avanti.

Oggi è facile dire che hanno avuto ragione quelli che la pensavano come lui: lo dicono in molti, considerando, oggi, quella che è stata l'influenza decisiva dell'opinione minoritaria della sinistra democratica sull'evoluzione del socialismo italiano, sul superamento del blocco clericale, sulla fattiva impostazione del rapporto cultura-politica. Ma bisognava saperci credere allora; e prima di allora, durante venti anni di fascismo; Michele Saba ci ha creduto, ha continuato a crederci, fino all'ultimo giorno della sua vita, da uomo d'idee, e da galantuomo.

Credere nelle idee, vivere da galantuomo: lo si dice, in fondo, con poche parole. Eppure, è tutto.

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