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Michele Saba in una foto del quotidiano La Nuova Sardegna


 

Speciale "Michele Saba (1891-1957)"

Pubblichiamo quattro interventi tratti dal quotidiano sassarese La Nuova Sardegna, del 26 ottobre 1967, preceduti dal titolo: "Ricordando Michele Saba a dieci anni dalla morte. L’Uomo, il giornalista, l’avvocato, l’amico generoso".

 


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Gonario Pinna -- Le grandi passioni della sua esistenza

Lo conobbi quando, sedicenne, andai a Sassari per frequentare la prima liceale ed egli, laureando in legge, dirigeva il Circolo Repubblicano al quale mi inscrissi. Nonostante la differenza di età che allora pesava più di oggi e stabiliva un distacco netto fra liceali e universitari e nonostante il suo carattere angoloso e scontroso che non era fatto davvero per conquistare proseliti, legammo abbastanza presto. Ma era difficile poter fare qualche cosa che gli andasse veramente a genio perché a tutto pensava lui, avvisi di convocazione, riunioni, manifesti, volantini, numeri unici etc.

Quei tratti che io colsi da subito — carattere sincero fino ad essere talvolta urtante e attaccamento quasi esclusivistico al suo lavoro — lo accompagnarono per tutta la vita che fu, come è stato giustamente osservato, la vita non di un solitario ma di un isolato.

Dopo la lunga pausa della guerra, io ripresi gli studi universitari a Roma. Rincontrai Michele Saba in casa del comune maestro di fede repubblicana Giovanni Conti, un giorno che vi ero andato per raccontargli la mia prima disavventura nell'attività propagandistica contro la Monarchia.

Facevo allora, con Oronzo Reale — oggi Ministro della Giustizia — i primi comizi e una sera, a Cisterna, finii in gattabuia per certe espressioni che al brigadiere dei carabinieri sembrarono eccessive e che per la loro temperanza fecero ridere di cuore Giovanni Conti.

Uscii insieme con Michele, che aveva un appuntamento con Mario Mossa De Murtas, pittore estroso e artista di grande talento, che in quel tempo scriveva pezzi gustosissimi sul Giornale d'Italia firmandoli «Il Sardo in frac» e andammo tutt'e tre a mangiare in una trattoria di via Piave, famosa per le grosse bistecche e perciò frequentata da molti studenti sardi. Ma Mario Mossa, insospettito per le enormi dimensioni della bistecca, giurò che era carne di cavallo e sollevò un'iraddiddio, indignato e offeso soprattutto dal comportamento soddisfatto dei due amici; ai quali da allora, e vita natural durante, rinfacciò una tal quale predilezione morbosa per la carne di cavallo, giungendo al punto che da Rio de Janeiro — dove poi si trasferì — ci mandò un argutissimo disegno che raffigurava un cavallo morente tra atroci sofferenze; e in un canto, avvolti in mantello nero, due carbonari (Michele ed io) che spiavano l'agonia della bestia per piombarle addosso e spolparla.

Risposi inviando le bellissime terzine di un poemetto di Salvatore Rubeddu — uno dei più vigorosi poeti dialettali nuoresi — «La Resurrezione di Bobore Bardile», un insaziabile mangiatore di carne, posto sotto accusa nella valle di Josafat da cavalli e asini di cui aveva spolpato coscienziosamente le carcasse; e Michele Saba mi scrisse subito una di quelle sue cartoline fitte fitte invitandomi a pubblicare quel poemetto e a scrivere un saggio sui poeti dialettali nuoresi (e chissà che un giorno non mi decida a farlo).

Ho voluto raccontare questo episodio perché esso mi consente di ricordare qui altri due aspetti particolari della personalità di Michele Saba: la passione per la cultura e la passione per le cose belle della nostra Sardegna.

La passione per la cultura lo rendeva informatissimo di ciò che si pubblicava nel mondo delle lettere ma specialmente nel mondo della politica, legato com'era di amicizia con i migliori giornalisti e i maggiori uomini politici del tempo, con i quali intratteneva intensa corrispondenza epistolare. Della passione per le cose belle della Sardegna lasciò testimonianza con un'edizione, da lui curata, delle poesie di Pompeo Calvia, e una raccolta delle liriche di Giannetto Masala, anch'essa da lui affettuosamente curata.

Ma non basterebbero due pagine del giornale per dire ciò che fece con articoli, numeri unici, iniziative varie, per celebrare l'arte di Grazia Deledda e di Salvatore Farina, per onorare la memoria di Sebastiano Satta, per ricordare storici come Ettore Pais, giuristi come Giampietro Chironi, Carlo Fadda, Renzo Mossa, poeti come Salvator Ruju, Antonio Scano e Francesco Cucca, scrittori come Enrico Costa, Pietro Casu, Giovanni Antonio Mura, Filippo Addis e Giuseppe Dessì, filosofi come Antioco Zucca, critici come Luigi Falchi, artisti come Francesco Ciusa, Francesco Paglietti, Antonio Ballero, Mario Delitala, Antonio Pirari, Carmelo Floris e specialmente il suo grande amico Peppino Biasi, al quale dedicò una monografia.

Possiamo ben dire che gli scritti di Michele Saba costituiscono una ricca ed interessante galleria di quadri politici, artistici e letterali e una rappresentazione vivacissima di quella che fu la vita sarda, e specialmente sassarese, dal 1910 al 1957.

Fra le sue grandi passioni, due però prevalsero su tutte: il giornalismo, che lo vide giovanissimo sulla breccia come direttore del settimanale «II Repubblicano» (1913) e poi impegnato in una attività che non conobbe riposo e si svolse su giornali come «Il giornale d'Italia» — del quale curava la pagina sarda — «La Tribuna», «II Resto del Carlino», «II Lavoro», «Il Mattino», «L'Unione Sarda», «Riscossa» di cui fu condirettore con Francesco Spano Satta nel 1944-1945, «La Nuova Sardegna» — sulla quale tenne per sei anni (1949-1955) la preziosa rubrica «Seguendo la Sardegna e i sardi» — e riviste come «Il Ponte», «II Nuraghe», «La Toga», «Oratoria», «L'illustrazione Italiana» ecc. E nel giornalismo versò il suo impeto polemico, venato talvolta di acrimonia ma sempre generosamente dettato da ragioni di pubblico interesse.

L'altra grande passione di Michele Saba fu la politica, ma forse sarebbe meglio dire la fede politica che trovava radici e alimento nella conoscenza delle opere di Mazzini, Cattaneo, Ferrari, Pisacane, nel culto particolare di Alberto Mario — che volle esprimere dandone il nome al suo primogenito — e che non ammetteva dubbi o esitanze, con una intransigenza che a taluno poteva sembrare caparbietà ma che era invece il riflesso fedele di una interiore, categorica, inflessibile certezza. E la fede politica diventò poi imperativo morale nella lotta contro il fascismo, lotta che lo vide ancora una volta combattere in prima linea e pagare duramente di persona.

Si racconta che taluno, il giorno della proclamazione della Repubblica gli abbia domandato ironicamente: e ora che abbiamo fatto la Repubblica non ti sembrerà, Miche, di essere disoccupato? Cosa diavolo farai? Michele Saba rispose a quella domanda in un discorso celebrativo del 2 giugno, che concluse riecheggiando una parafrasi celebre e le altre parole di Piero Calamandrei : «il grande impegno repubblicano comincia proprio ora, perché bisogna fare i repubblicani».

L'impegno è valido ancor oggi perché il traguardo non sembra vicino ; e il ricordo di un combattente strenuo e appassionato come Michele Saba ci persuade a rinnovarlo e a mantenerlo.

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