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Tessera giornalistica di Michele Saba (La Nuova Sardegna, 3.11.1957)
[Ritorna all'indice dello Speciale "Michele Saba] Michele Saba -- La giustizia e la legge (Amnistia per i sardi). Una pagina del 1945 Questo
scritto di Michele Saba apparve di fondo sul numero dell'8 ottobre 1945 di
«Riscossa». Prendeva l'avvio da un tema contingente. Ma, a rileggerlo
oggi, si è colpiti dall’esemplarità del discorso, dalla vigoria
dell'impostazione, che liberano gli argomenti da ogni carattere
provvisorio e li portano su un piano più generale e duraturo, ne fanno
una valida lezione morale, che dopo più di vent'anni conserva ancora
tutto il suo significato ed induce a riflettere. Ed è anche una
bellissima lezione di giornalismo. Il
Presidente del Consiglio, prof. Parri, nei giorni scorsi, ha smentito le
voci diffuse da giornali ed agenzie dell'imminenza di un decreto di
amnistia: per quanto non si possa escludere che un'amnistia possa essere
concessa, nessun progetto preciso è stato preparato. Ed è un male, perché
l'amnistia è necessaria: necessaria
nelle altre regioni d'Italia per superare le differenze di giudizio e di
sanzioni che si sono verificate fra le affrettate esecuzioni sommarie dei
primi periodi della liberazione, i giudizi delle Corti d'Assise
straordinarie (con i quali troppo di frequente la Corte di Cassazione è
intervenuta a ricordare che la legge deve essere interpretata ed attuata
con equità ferma) e i procedimenti dell'Alta Corte di Giustizia e dei
Tribunali Militari, diversi contrastanti, disuguali. Tra
i trent'anni della sentenza di Cornelia Tanzi, che avrebbe dovuto tradire
l'Italia nel caldo di un'alcova, e i trent'anni fissati per Ermanno
Amicucci, che dirigeva le ultime edizioni del «Corriere della Sera»; fra
la pena per il governatore della Banca d'Italia, Azzolini o quella per i
generali Pentimalli e Del Tetto e le assoluzioni per il generale Negro o
per il senatore Bevione non è facile orientarsi. È
un fatto che il pubblico non riesce a comprendere i motivi di certe pene
alte e la longanimità di altri giudicati di assoluzione; questo per i
giudizi penali. Perché se si volesse tentare di comprendere qualche cosa
dell’epurazione che sacrifica l'applicato della segreteria comunale di
Osilo o il fontaniere dell'acquedotto di Ploaghe e consente che i
giudicati siano adottati in nome del Luogotenente che doveva essere il
primo ad essere epurato ed accantonato, e invece fornisce il suo nome e la
sua autorità per i provvedimenti di epurazione, la mentalità di un
qualsiasi cittadino, per non invocare il metro dell'uomo qualsivoglia, si
smarrirebbe. Ma
è ancor più necessaria l'amnistia in Sardegna. Le
leggi sono applicate, è tempo di dirlo chiaramente, con esagerata
disciplina, in Sardegna. Quando lo Stato ha fissato delle gravi sanzioni
penali per chi non rispetta le norme annonarie ha il dovere di assicurare
ad ogni cittadino il minimo consentito per la vita: se lo Stato viene meno
al proprio dovere costringe così il cittadino a violare la norma per non
morire di fame. D'altra
parte quanti devono applicare le sanzioni fissate in periodo fascista (le
leggi annonarie vigenti sono in gran parte dell'aprile 1943) sono portati
poi dalle esigenze della vita a violarle, compiendo i medesimi atti, con
maggiore furberia e con più fortunata abilità, che quotidianamente
devono punire negli altri. Di qui la generale evasione della legge, colla
punizione sola dei più deboli o dei meno fortunati. Quanti
hanno avuto la possibilità di recarsi nel continente e particolarmente
nella capitale, ritornano in Sardegna colle impressioni di una vita
comoda, nella quale solo il portafoglio gonfio può consentire di
emergere. Fettuccine, pane al lievito di birra, paste, pasticcini, gelati,
caffè con zucchero, in ogni esercizio pubblico, senza limitazioni e
restrizioni, olio e burro, sigari e sigarette pubblicamente esitati, nelle
vie più centrali, pubblicamente offerti e venduti, rivelano una vita
annonaria eccezionale, ma clamorosamente vissuta senza intervento di
guardie e carabinieri. Roma, capitale, può meritare queste attenzioni di
privilegio e non dobbiamo discutere, se cosi dovesse essere. Ma noi
vogliamo rilevare che contro questi usi romani, al di fuori di ogni
limitazione, senza alcun tesseramento, senza alcun controllo, sta la
rigida applicazione della legge nella nostra isola, e stanno, soprattutto,
le decine e decine di anni di reclusione, che, per pochi chili di grano o
per pochi litri di olio, sono stabiliti dai Tribunali sardi e dalla Corte
d'appello. I
magistrati sono onesti esecutori delle leggi e non possono allontanarsi
dalle disposizioni emanate; agenti e guardie, anche in piccolo numero
eseguiscono senza entusiasmo il loro dovere e le carceri cosi si riempiono
di disgraziati ospiti occasionali, imponendo sacrifici alle famiglie e
oneri allo stato, spaventando colle multe enormi e, celatamente, poi,
consigliando istanze di grazia e interventi
miracolistici. Da
questa situazione, che è anormale, come è anormale la legge, mentre le
semine si avvicinano, mentre gli agricoltori devono essere incitati a
produrre di più, quando la reazione contro gli ammassi si generalizza e
si diffonde in ogni paese, bisogna uscire. Il
rigore della legge può solo suggerire astuzie più raffinate e ben pochi
si arrestano per il timore della sanzione minacciata, e il rimedio, per la
tutela degli interessi generali, deve essere trovato. Il
regime fascista emanava frequenti decreti di amnistia: il sistema si
poteva deplorare. Purtroppo applicando ancora le leggi fasciste, bisogna
pensare al rimedio fascista. I condannati devono scontare sentenze create
da leggi annonarie fasciste; duole pensare all'adozione del rimedio
fascista, ma l'ipocrisia del provvedimento, la disuguaglianza delle
sanzioni, la diversità del trattamento fra regione e regione, gli abusi
di certe città e il rigore di intere regioni, non può essere sanato
mantenendo in vita un disagio e una iniquità deplorevoli. Qualche
settimana addietro tutti i partiti sardi si sono trovati di buon accordo
nel richiedere eccezionali provvedimenti per i sardi trattenuti alle armi
e per evitare che essi fossero costretti a prestare la loro opera in
servizi di pubblica sicurezza. Oggi di fronte alle esigenze di una folla
di detenuti e di condannati per reati annonari, si deve chiedere una
provvida amnistia larga e generosa. I condannati non hanno affamato la popolazione: in molti casi hanno difeso il loro lavoro, hanno difeso le loro famiglie. L'intervento del governo con la amnistia non potrà avere che ripercussioni benefiche e gioverà alla pacificazione ed alla ripresa del lavoro. La legge potrà rimanere nella sua forza correttiva, ma si sarà tenuto conto delle esigenze dell'ora. Si contribuirà a restituire lo Stato ai cittadini, prima necessità per una seria ripresa. Fonte: La Nuova Sardegna del 26 ottobre 1967 |
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