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Francisco Goya, "La fucilazione del 3 maggio 1808" (part.), 1814 Guido Albertelli - Presentazione del libro "Pilo Albertelli" Museo della Liberazione di Via Tasso, Roma, 23 marzo 2007 Se si
dovesse sinteticamente definire Pilo Albertelli scegliendo tra gli aspetti
della sua vita breve ed intensa perché finì a 37 anni: antifascista
ventenne, 21enne in cella
a Milano con Ugo La Malfa, condannato al confino e poi a
sorvegliato speciale per 15 anni,
professore di liceo, filosofo autore di opere ancora oggi studiate, capo
partigiano, martire medaglia d’oro, io direi professore. Perché
nella scuola si può essere educatore
di coscienze e questo lui è stato, come ricordano tutti i suoi alunni del
tempo. Il riconoscimento di questa dedizione ai giovani è dato dal fatto
che a suo nome sono state
titolati i luoghi dove ha insegnato: tre scuole, a Parma, a Livorno e a
Roma e la biblioteca del liceo di Formia,
dove Pietro Ingrao,
suo alunno, lo ricorda come formatore
di pensiero anche politico. Se
pensiamo che le autorità del dopoguerra, in un dopoguerra votato alla
pacificazione, pensarono di togliere al liceo Umberto, il primo liceo
pubblico fondato nella capitale dopo l’unità d’Italia, il nome di un
re per sostituirlo con quello di mio padre, si può comprendere
l’ammirazione del tempo per una figura non comune. La
scuola è l’esperienza più significativa nella vita di ognuno. I
ricordi di classe, i nomi dei professori avuti, dei compagni di banco,
i risultati degli esami rimangono dentro di noi vivi fino a quando
siamo vecchi. Alla
scuola Albertelli di Parma, dove mio padre era meno conosciuto che
a Roma, è nata la volontà di dare ad un nome anche un volto, una storia,
un significato che ha spinto il preside e i professori ad aprire con gli
alunni una ricerca che ha creato il libro. Più
la ricerca andava avanti più gli alunni si affezionavano al protagonista.
Più grandi erano le azioni di cui venivano a conoscenza più l’umanità
dell’uomo si delineava. E così ne è venuto fuori un racconto semplice
e commovente. La giovinezza non conosce la retorica ma ha vive le
sensazioni della vita vera. Puoi
diventare un buon cittadino se sei educato in famiglia ad esserlo. Puoi
essere un buon insegnante se sei convincente e credibile. Puoi parlare di
libertà e giustizia se fuori della scuola nei fatti ti impegni per esse. Mio
padre non esitò a vivere la sua esperienza di combattente della
Resistenza nelle file delle formazioni Giustizia e Libertà del Partito
d’Azione delle quali era diventato il comandante sostituendo Gianni
Ricci. Con lui c’erano centinaia di partigiani. Ricordo Errico
Mancini,Armando Bussi, i fratelli Nassi, Aldo Eluisi, Cencio Baldazzi,
Fernando Norma, Tommaso Carini, Ugo Baglivo e molti altri, alcuni dei
quali hanno oggi qui i loro
parenti. Mio
padre non era uomo di guerra ma si identificò nel ruolo di capo a Roma
della resistenza del Partito d’Azione con una determinazione legata al
principio laico del dovere e del sacrificio. Lo studioso, il mite
intellettuale sparò a Porta San Paolo, trasportò armi, gettò bombe
nelle sedi tedesche, fu
compagno fraterno di popolani in armi, educatore di giovani studenti alla
lotta al nazifascismo, esempio di coraggio anche sotto le torture. Durante
i 20 giorni di sofferta prigionia nella “Pensione” di Via Principe
Amedeo fu stoico ma ebbe due momenti di debolezza. Avvennero quando gli
aguzzini gli dissero che se non parlava sarebbero andati a prendere la
moglie e i figli. Allora tentò per due volte di togliersi la vita. Questa
figura autorevole e semplice ad un tempo, pessimista e affascinante,
democratica e inflessibile, fu temuta dagli avversari che lo braccarono
senza tregua e lo afferrarono solo col tradimento. Contribuì
a dare al Partito d’Azione a Roma il ruolo di coprotagonista, con il
partito comunista, di una Resistenza popolare vissuta con onore fino alla
morte di molti dei suoi iscritti, fedeli agli ideali di Gobetti, Amendola,
Rosselli, Calogero, La Malfa e Lussu. Negli
otto mesi dell’occupazione di Roma noi figli non sapemmo niente di
quello che faceva. Cambiavamo spesso
casa ed i trasferimenti senza cose si facevano quasi sempre a piedi
poco prima del coprifuoco. Con nostra madre, mai con lui. A noi figli l’impressione di essere fuggiaschi e un po’ impauriti e niente più. Solo il giorno che venne preso, il 1° marzo ’44, e non venne a casa e arrivarono invece a tarda sera i fascisti della banda Kock vocianti e con le rivoltelle in pugno, fu quel giorno che iniziammo a capire qualcosa, ma mai a pensare che saremmo stati orfani di un padre straordinario. Il suo esempio ci ha accompagnato sempre, inserito nel ricordo di un compianto tempo degli ideali e del coraggio, comune a mille e mille partigiani di fede diversa, periodo di vita così nobile da essere considerato il migliore da chi è sopravissuto. Il libro recensito è intitolato Pilo Albertelli. Una vita per la libertà, da Parma alle Fosse Ardeatine, MG68, Parma; è stato realizzato dall'Istituto comprensivo Albertelli-Newton di Parma con la collaborazione del Museo di Via Tasso. [Ringraziamo l'autore, figlio di Pilo e membro del Circolo Giustizia e Libertà di Roma, per la sua cortese disponibilità. Di seguito riportiamo alcuni approfondimenti sulla figura di Pilo Albertelli] Breve nota biografica. Albertelli
fu tra i più convinti propugnatori della fondazione del Partito
d’Azione e, dopo l’8 settembre del 1943, fu a Roma tra i più audaci
organizzatori della Resistenza e delle formazioni "Giustizia e Libertà". Pilo Albertelli lasciò scritto: "Un uomo senza ideali non è un uomo ed è doveroso sacrificare, quand’è necessario, ogni cosa per questi ideali". Tra le opere filosofiche di Albertelli: "Gli Eleati, testimonianze e frammenti", Bari, 1939; "Il problema morale nella filosofia di Platone", Roma, 1939. [Fonte: Anpi, con piccole modifiche] Guido Albertelli - "Mio padre Pilo Albertelli" Pilo Albertelli nacque a Panna nel 1907, figlio dell'onorevole socialista Guido, eletto per più legislature negli anni tra il 1900 e il 1920, rappresentante delle attese operaie della Bassa Parmense, avversato dai fascisti e costretto a lasciare la sua città nel 1925, dopo che le squadre fasciste gli incendiarono lo studio. In questa atmosfera familiare, impregnata dal culto del Risorgimento e di Giuseppe Mazzini egli si formò ed aprì la mente ad alti ideali ed alla concezione che la vita va vissuta come una missione. Si laureò a Roma nel 1930 in filosofia, dopo avere avuto in Guido Calogero uno dei suoi maestri e successivamente suo compagno di lotta nella Resistenza. Iniziò l'insegnamento al Liceo di Formia, poi al "Tasso" dì Roma e quindi al Liceo di Livorno; nel 1935 fu trasferito al Liceo "Umberto I"' di Roma dove insegnò fino al 1941. Qui svolse un insegnamento che assunse sempre più l'aspetto di un vero apostolato. Il regime, nel pieno trionfo delle sue idee malsane (siamo alla vigilia dell'Impero), fa presa su quelle coscienze di adolescenti soffocando le loro personalità e con queste le loro fresche energie. Anche a Roma gli studenti hanno per lui grande affetto e ammirazione e attendono le sue lezioni; finita l'ora, i giovani gli si accalcano intorno. Quante volte la sua voce suonava dalla cattedra ammonitrice contro le false idealità del fascismo, ma non uno tra centinaia di giovani che lo ebbero come maestro osò accusare il professore antifascista tanto egli sapeva entrare nei loro cuori. Testimoniano dei suoi allievi Mario Del Viscovo scrivendo: "Durante tre anni, stringendoci intorno a lui quasi materialmente, salutandolo mentre entrava e lasciandolo quasi a malincuore, noi sentivamo che aveva fiducia in noi, che non eravamo qualcosa che trattasse con freddezza e disinteresse, ma il centro della sua vita: pareva che per noi egli studiasse e vivesse, a noi pensasse tutta quanta la sua giornata". La lotta al fascismo era cominciata presto nella vita di Pilo Albertelli. Nel 1928 fu uno degli organizzatori della rivista "Pietre" che avrebbe dovuto essere un organo di diffusione della concezione liberal-socialista. L'iniziativa lo portò ben presto in carcere, nell'aprile del '28, (allora aveva appena più di 20 anni) con i suoi amici. Tra essi Ugo La Malfa, Lelio Basso, Gino Luzzatto, Mario Vinciguerra, Urnberto Segre e altri. Fu condannato a 5 anni di confino, poi tramutati in 3 anni di sorveglianza speciale. Nel 1941 lasciò il Liceo Umberto e iniziò la sua collaborazione all'Istituto di Studi Filosofici, dopo aver pubblicato due importanti lavori: "Problema morale nella filosofia di Platone" e il volume degli "Eleati" nella collana dei filosofi antichi di Laterza. Intanto si era entrati in guerra. Fu uno tra i fondatori del Partito d'Azione nel 1942, insieme al suo grande antico Ugo La Malfa e ad altri. Collaborò al giornale clandestino "L'Italia Libera" ed è suo il corsivo del 25 luglio 1943. Egli iniziò ad operare nell'organizzazione militare clandestina del Partito d'Azione della quale assunse il comando a Roma. L'8 settembre 1943, con l'abbandono della Capitale da parte della Corona, con lo sfacelo dell'Esercito tradito dai capi, si apre l'ultimo atto della tragedia nazionale, atto del quale doveva farsi protagonista quella parte più generosa del popolo italiano, in cui il senso della libertà non fu mai spento, il popolo dei patrioti, dei partigiani, dei non collaborazionisti, dei cospiratori contro i nazi-fascisti. Pilo Albertelli è con questo popolo in armi che, accanto a sparute unità dell'Esercito, salvava a S. Giovanni e a S. Paolo, contro i tedeschi, l'onore della Città Eterna. E comincia per lui, infaticabile, l'opera quotidiana di raccolta e di trasporto d'armi e di munizioni, di organizzazione minuta e paziente di squadre armate; cominciano le cure ben lontane da quelle che sempre furono le sue: depositi clandestini, ricoveri di fortuna, documenti falsi, riunioni volanti e le prime operazioni belliche sulle vie di comunicazioni nemiche. Si dedicava alla lotta e all'organizzazione cospirativa e come dice il prof. Vittorio Ezio Alfieri, suo amico fraterno: "suscita ammirazione e reverenza vedere questo professore, questo uomo di altissima cultura mettere da parte ciò che era stato l'oggetto principale della sua vita, i libri e le disquisizioni teoriche, e mostrare con i fatti che la filosofia non è filosofia vera se non è vissuta". Il 1° marzo 1944, dietro denuncia di un delatore, fu arrestato e portato alla Pensione Oltremare, covo della Banda Kock, dove cominciarono le torture nel vano tentativo di farlo parlare. Due volte tentò di togliersi la vita. Martoriato, con tre costole rotte, non parlò. Il 20 marzo lo trasferirono a Regina Coeli. Poi fu fucilato nell'eccidio delle Fosse Ardeatine alla periferia di Roma, nella terra contrassegnata dalla presenza di molti martiri cristiani e dalle catacombe più importanti. Nasce qui il monumento simbolo del martirio della Resistenza del popolo romano. Militari e sacerdoti, insegnanti e artigiani, ebrei e cattolici, sono insieme, sotto la stessa pietra tombale che affratella tutte le religioni e tutti gli ideali. Il 16 aprile 1944 la scuola romana, con coraggio, in pieno regime fascista, fa celebrare una messa nella Basilica di S. Maria Maggiore in suffragio dei professori Pilo Albertelli, Salvatore Canalis e Gioacchino Gesmundo. Sono presenti molti giovani studenti, ai quali rivolge un appello all'incitamento alla lotta antitedesca il Prof. Vincenzo Lapiccirella. Ricordo di mio padre ciò che scrisse Benedetto Croce: "Quel purissimo Pilo Albertelli il quale, atroce ricordo che in noi non mai si cancellerà, fu nel 1944 in Roma martoriato e trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine". In Pilo Albertelli il Paese ha riconosciuto, oltre all'uomo di azione, le straordinarie qualità morali e le capacità di trasmetterle ai suoi allievi, facendogli l'onore di intestare al suo nome tre scuole e tre strade, a Parma, a Livorno e a Roma. lo credo fermamente alla validità attuale degli esempi di vita che ci furono dati durante il ventennio fascista da uomini coraggiosi di tutti gli strati sociali. Questi principi sono profondi dentro di noi e sono sicuro anche dentro coloro che oggi non sanno o non ricordano. In questa crisi italiana, dove sventolano troppe bandiere e si gridano troppe tesi, c'è sicuramente chi, nei posti di lavoro, resta sereno e forte nel continuare a trasmettere con semplicità e obiettività le idee e le storie di democrazia. Considerata l'affinità ideale tra i presenti a questo incontro permettetemi di concludere cosi: la melanconia non deve essere una nostra debolezza. Il ricordo di un tempo non dovrà essere il nostro rimpianto. Il nostro impegno morale deve andare alla scuola, ad una scuola che torni degna dei suoi nobili professori morti un tempo, ma che sento vivi oggi qui tra noi. [Fonte: Storia e Memoria] Motivazione della Medaglia d'oro Lasciati gli studi prediletti per guidare nella battaglia della libertà, anche con l’esempio, gli allievi, prodigatosi nella difesa di Roma contro l'invasore tedesco, fu tra i primi organizzatori e animatori della lotta della Resistenza. Al comando di tutte le forze armate cittadine insurrezionali del Partito d'azione, sprezzante di ogni pericolo, arditissimo in eroiche imprese, fu luminoso esempio di coraggio e di abnegazione. Arrestato e torturato con selvaggio accanimento, oppose ai carnefici supremo disprezzo e superba volontà di sacrificio, tentando stoicamente per due volte di togliersi la vita, pur di non parlare. Con le costole infrante, il corpo maciullato, conservò intatta fino all'ultimo la sua serena superiorità d'animo. Cadde barbaramente trucidato alle Fosse Ardeatine. (Roma, 8 settembre 1943-marzo 1944). [Fonte: 8settembre.it] Epigrafe in memoria di Pilo Albertelli nella sua casa romana
[Fonte: 8settembre.it]
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