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Partigiani [comunecantiano.eu]


Schede

BORROTZU Piero

Ufficiale di Artiglieria in SPE. All’indomani dell’8 settembre si oppone all’invasione tedesca. Raccoglie successivamente materiale bellico abbandonato in Brianza. Sopraffatti i primi nuclei di ribelli locali dalla reazione tedesca, si trasferisce a Vezzano Ligure (SP), paese d’origine della madre.

Qui organizza i primi nuclei partigiani della provincia, mettendo insieme giovani sbandati e vecchi antifascisti, cercando di coinvolgere anche gli ex colleghi ufficiali, fra i quali Franco Coni (cfr.).

Insieme fondano ai primi di gennaio 1944 il battaglione «Val di Vara», assumendo il comando delle due compagnie. Dopo una serie di azioni, che ne consolidano il prestigio nell’ambiente partigiano, Piero Borrotzu è tanto temuto dai fascisti che una sua foto viene esposta, per indicarlo come traditore, nelle vetrine di una libreria di La Spezia.

Nel febbraio 1944 in alta Val di Vara (zona di Zignago e Chiusola ) nasce la «Brigata d'assalto Lunigiana», di cui Borrotzu e Coni sono i capi militari.

Catturato il 5 aprile 1944, a Chiusola, affronta la morte a viso aperto, dimostrando il profondo disprezzo che sempre aveva dichiarato nei confronti dell'ignavia tedesca e fascista. La «Brigata d'assalto Lunigiana» dopo la sua morte diventa una divisione delle formazioni Matteotti con il nome di «Colonna Giustizia e Libertà» e una brigata assume il nome di Borrotzu.

La bandiera del reparto, con il nome di Piero Borrotzu, è la prima delle bandiere partigiane a giungere a Genova nei giorni della liberazione della città".

[Riduzione da POR, p.75, 130-138; SEC, pp.148, 153-155, 181]

BUSINCO Armando

Membro attivo del movimento dei combattenti nel primo dopoguerra.

Direttore dell’Istituto di anatomia patologica dell’università di Bologna. Membro di GL, il 18/8/44 fu catturato dai nazisti ed accusato di aver contribuito ad impedire la totale rapina della dotazione di radium dell’Istituto di radiologia. Poi internato a Fossoli (Carpi - MO), a Peschiera del Garda (VR) e quindi inviato a Brescia dove, con l’aiuto di alcuni amici, trovò rifugio fino all’1/5/45. Riconosciuto partigiano nell’8a brg Masia GL dal 9/9/43 alla Liberazione. Ha pubblicato: Il tributo di sangue per la Liberazione /dell’Istituto di Anatomia Patologica di Bologna, in "Umanità", 28 luglio 1945.

APBO

CAVALLERA Giuseppe

Nato a Carloforte nel 1900; il padre – ed omonimo, medico socialista di origine piemontese  - si trovava in carcere a Cagliari per incitamento all’odio di classe, avendo capeggiato in quanto capo sindacale uno sciopero dei battellieri addetti al trasporto del minerale estratto dai cantieri dell’Iglesiente alle navi ormeggiate nella rada di Carloforte. Vive a Carloforte negli anni degli studi primari, quindi a Genova e a Roma, dopo che nel 1913 il padre viene eletto alla Camera dei Deputati nel collegio di Iglesias, primo parlamentare socialista della Sardegna.

 

Durante il fascismo si trasferisce a Saluzzo, dove insegna ed è preside. Laureato in Economia e Commercio, esercita la professione di Commercialista. È inoltre un apprezzato pittore. Il fratello Vindice, processato due volte dal Tribunale Speciale per appartenenza a Giustizia e Libertà, condannato nel 1935 a otto anni di carcere, è un dirigente del Partito d’Azione clandestino e partecipa alla Resistenza romana. Giuseppe Cavallera prende parte alla Resistenza prima nelle formazioni GL poi nella 104. Brigata Garibaldi, della quale è commissario politico. Muore a Saluzzo nel 1989.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Ricordi partigiani di “Kopeko” a cura di Anna Cavallera, “Il presente e la storia”. Rivista dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea di Cuneo, n. 70, dicembre 2006, pp. 195-292 (si tratta di un numero interamente dedicato a Giuseppe, Vindice e Giuseppe “Kopeko” Cavallera);

  • Giuseppe Cavallera Copeco. Saluzzo, Museo civico casa Cavassa, 20 ottobre-2 dicembre 1990  a cura di Guido Costa. Contributi di Paolo Levi, Alessandro Midulla. Savigliano, 1990 (Catalogo della Mostra tenuta a Saluzzo nel 1990)

Entrambi i volumi sono in possesso della Biblioteca dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia - Sassari

CONI Franco

Motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare:

"Fin dall’inizio partecipava attivamente alla lotta di liberazione contribuendo attivamente all’organizzazione delle prime formazioni armate della zona. Comandante dapprima alla testa di questi reparti, si segnalava per coraggio, ardimento, capacità di comando in numerose e difficili azioni riscuotendo sempre l’ammirazione dei suoi dipendenti ed il plauso dei suoi superiori. Alta Valle Vara – Lunigiana, settembre 1943 – 25 aprile 1945".

[SEC, pp. 147, 154; POR, p. 75]

COSSU Fausto

Avvocato, vincitore di un concorso per ufficiali nell'Arma dei Carabinieri, è mandato nel 1941 sul fronte dei Balcani. Dopo l’8 settembre non ha dubbi nella scelta della lotta armata, ma viene fatto prigioniero dai tedeschi e rinchiuso nel campo di concentramento di Kaiserstaeinbruch, in Austria, riesce a fuggirne nel novembre con un altro carabiniere e a rientrare in Italia dove, nel Piacentino, entra in contatto con gruppi di carabinieri non disposti a collaborare con i tedeschi e la RSI. Cossu organizza nel febbraio 1944 la diserzione in massa dei carabinieri delle stazioni delle valli Trebbia e Tidone, che formano la compagnia «Carabinieri patrioti».

"Giuseppe Berti, storico della Resistenza nel Piacentino, nel ricostruirne la biografia dice che al fondo della sua personalità «c'è il primato di valori spirituali, praticati con fedeltà ed intransigenza verso se stesso, tale da far apparire il Cossu un 'duro', inesorabile espressione di una coscienza rigida, chiusa nel proprio imperativo. In realtà egli vuole essere chiamato alla coscienza dei suoi uomini i quali gli chiedono una guida sicura, intuita attraverso la paziente presenza, 'incitando, richiamando, educando' e pur rispettosa della altrui libertà. Chi lo avvicina rimane colpito dall'intensità di 'sincera fede', che ne fa un fedele assertore dell'ossequio della legge, anche se pesante»".

Cossu organizza la formazione sullo schema dell'esercito regolare, con una severa disciplina che giustifica con il carattere volontario dell'arruolamento e la necessità di salvare l'onore della Patria anche attraverso un comportamento esemplare, capace di richiamare la solidarietà e l'attenzione delle popolazioni. L’efficacia dell’azione militare costringe i tedeschi e le formazioni RSI ad abbandonare le valli del Picentino. Nel giugno 1944 la Compagnia carabinieri patrioti diventa, su proposta di un gruppo di ufficiali, Brigata Giustizia e Libertà. "La nuova denominazione non ha origine da un rapporto e da un riferimento preciso con l'omonimo movimento e con le formazioni partigiane cui esso ha dato origine. Agli uomini della brigata e a Fausto i due valori di «giustizia» e «libertà» paiono i più significativi in quel momento e si propongono come idee-forza su cui orientare lo spirito della formazione. La brigata «Giustizia e libertà», che diventa in pochi mesi divisione, si caratterizza per tutto il periodo della Resistenza per la sua intransigente apoliticità, pur nella garanzia continuamente affermata della massima libertà di pensiero. Il che provoca a più riprese momenti di contrasto e di diffidenza con le altre formazioni di carattere politico definito che agiscono nella zona". Sulla stampa della formazione GL scrivono comunque militanti azionisti come Bianca Ceva.

Il 7 luglio 1944 la formazione comandata da Cossu e partigiani della divisione «Cichero» fanno il loro ingresso in Bobbio liberata. Si forma una amministrazione civica retta da una giunta popolare e Bobbio diventa il primo nucleo di un territorio partigiano che si estende in Appennino fra Emilia, Lombardia e Liguria, la cosiddetta «Repubblica di Torriglia».

Gli interventi del CLN di Piacenza e del CLNAI non attenuano il contrasto tra le formazioni; ne risulta una delicata situazione di equilibrio fra le diverse formazioni partigiane che, soprattutto nei momenti in cui la pressione nazifascista si fa incalzante, devono trovare momenti di collaborazione e di accordo al di sopra dei contrasti politici. Cossu "è attento a salvaguardare l'autonomia politica e la libertà d'iniziativa della divisione «Giustizia e Libertà», scontrandosi in questo con le formazioni comuniste provenienti dalla Liguria ma anche con quelle dell'Oltrepò pavese che agiscono in territori che si intrecciano nella confluenza delle valli. I contrasti non saranno mai completamente sopiti, malgrado la costituzione di un Comando unico e il rapporto stretto con il Comando militare dell'Alta Italia. Gli uomini della divisione «Giustizia e Libertà» sono urtati in particolare dalla scalata dei comunisti, anche stranieri, ai posti di comando, che si ritiene non giustificata da reali capacità".

"Nel settembre del 1944 le forze al comando di Fausto sono composte da oltre quattromila uomini, e la zona d'influenza si estende notevolmente. Si formano due divisioni GL; Fausto comanda la divisione «Piacenza» e ha il ruolo di ispettore generale di tutte le forze GL dell'Oltrepò pavese . Ma al superamento dei contrasti politici si arriverà solo nel febbraio successivo, con la costituzione di un comando unico sotto la giurisdizione del Comando militare della Lombardia".

Dopo cinquanta giorni, i tedeschi riescono a riconquistare Bobbio alla fine di agosto. Le formazioni GL e garibaldine si trasferiscono nella zona di Bettola. Bobbio è ripresa dai partigiani alla fine di settembre e ancora riconquistata dai tedeschi nel novembre, fino alla definitiva liberazione nel marzo del 1945. La figura di Fausto Cossu è di importanza centrale nella storia della Resistenza piacentina. Sebbene discusso o criticato a più riprese, gli sono stati riconosciuti indubbi meriti e capacità. Dopo la Liberazione è stato questore di Piacenza nominato dal CLN".

[Riduzione da SEC, pp. 157-162; POR, pp. 113-116]

DE LUNA Gavino

Combattente e invalido della prima guerra mondiale, impiegato delle Poste a Cagliari, trasferito a L’Aquila perché antifascista, si distingue nei soccorsi dopo il terremoto del 1933. A Roma, dopo l’8 settembre 1943 è costretto ad arruolarsi come ufficiale nel Battaglione Volontari Sardi G.M.Angioy (formazione collaborazionista della RSI), ma entra in contatto con il Partito d’Azione collaborando all’attività di Resistenza. Scoperto ed arrestato, viene ucciso il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.

 

È stato uno dei più famosi e validi cantadores a chitarra, secondo le modalità tradizionali del Logudoro, ed ha inciso fra i primi, in dischi a 78 giri, le sue esecuzioni musicali, ora raccolto in CD a cura dell’amministrazione comunale di Padria.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Martino Contu, Gavino De Lunas ("Rusignolu 'e Padria"). Vita di un cantante, ufficiale postelegrafonico, martire delle Fosse Ardeatine, Villacidro, Centro Studi SEA, 2005.

SITOGRAFIA: www.cantosardoachitarra.it

ERRIU Pasquale

Motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare:

"Arruolatosi dopo l’armistizio nelle formazioni partigiane, si dimostrava organizzatore capace e di larghe esperienze. Animatore e trascinatore, guidava i suoi uomini in numerose e difficili operazioni di guerra fornendo sicure prove di perizia e di coraggio. Valle Varaita-Langhe, giugno 1944-aprile 1945".

[POR, pp. 151-152]

FANCELLO Francesco

BIBLIOGRAFIA:

  • Francesco Fancello, Il fascismo in Sardegna, “Il Ponte”, 1951, n. 9-10 (numero speciale sulla Sardegna), pp. 1090-1103; 

  • Omaggio a Francesco Fancello: politico, giornalista, scrittore. Atti del Convegno, Cala Gonone-Dorgali, 26-27 maggio 2000  a cura di Nunzia Secci. - Cagliari : Condaghes, 2001.

 

GIUA Michele

BIBLIOGRAFIA:

  • Michele GIUA, Ricordi di un ex-detenuto politico. 1935-1943,  Torino, Chiantore, 1945

MADAU Pietrino

Motivazione della promozione a vicebrigadiere per meriti di guerra:

"Partigiano di eccezionale coraggio, nel periodo clandestino, in difficili condizioni d tempo e luogo esplicava efficace ed intensa opera di polizia contro elementi nazifascismi e provvedeva a rifornire le formazioni partigiane di armi e munizioni trasportandole audacemente attraverso posti di blocco controllati dal nemico. Nel periodo insurrezionale partecipava, quale comandante di distaccamento, ai combattimenti per la liberazione di Torino, distinguendosi per valore, capacitò di comando e sprezzo del pericolo. Torino, gennaio 1944-aprile 1945".

[POR, p. 151]

MASIA Massenzio

Motivazione della Medaglia d’Oro al Valore Militare:

"Fiero e sprezzante del pericolo, si adoperava in tenace e feconda opera di reclutamento di partigiani, e mediante brillanti colpi di mano procurava loro abbondanza di armi, munizioni e vettovaglie sottratte all’avversario. Scoperto, catturato e sottoposto a gravi sevizie, si rifiutava di svelare qualunque notizia che potesse tradire i commilitoni. Condannato a morte, rifiutava di chiedere la grazia ed affrontava con sereno stoicismo il plotone d’esecuzione. Bologna, 23 settembre 1944".

[POR, pp. 108-109]

BIBLIOGRAFIA:

  • Massenzio Masia nel ricordo degli amici della Resistenza a cura dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 1961.

MELONI Bartolomeo

Nato a Cagliari nel 1900 da una ricca famiglia di Santulussurgiu, nobile per meriti agrari, laureato in ingegneria al Politecnico di Torino, dal 1926 ingegnere ferroviario, è ispettore generale delle Ferrovie dello Stato a Venezia dove risiede continuativamente eccetto due anni in cui è trasferito a Milano per sovrintendere alla costruzione della nuova stazione ferroviaria .

Armando Gavagnin, fra i fondatori del Partito d'Azione e sindaco di Venezia dopo la Liberazione, ricorda, nel suo libro di memorie Vent'anni di resistenza al fascismo, di averlo conosciuto alla Siderocemento di Venezia, che fu nel periodo precedente e successivo ai quarantacinque giorni di Badoglio la sede dell'attività clandestina del PdA . Bartolomeo Meloni si iscrive al partito dopo alcune sue incertezze dovute al problema di conciliare la fede cattolica con l'impegno in un partito che si dichiarava laico e socialista .

Gavagnin scopre, nel conoscerlo meglio, una straordinaria figura umana: «Mi convinsi che Meloni era veramente il primo tra i ferrovieri, il primo per elezione spontanea, naturale, non discutibile, il primo perché il migliore». Si dà subito alla formazione di un'organizzazione ferroviaria antifascista che preveda il trapasso a una società democratica con l'epurazione delle persone più compromesse con il passato regime. D'accordo e su incarico di tutti i partiti forma una lista di persone che avrebbero dovuto ricoprire cariche importanti nel Compartimento ferroviario: «In quella lista, — ricorda Gavagnin —, che io stesso presentai ai dirigenti ferroviari il suo nome non c'era e invano feci insistenza perché figurasse. Egli non ne volle sapere. Era stato iscritto al partito fascista e questo stabiliva una incompatibilità, che secondo lui non poteva essere superata. Invano feci distinzioni, parlai di necessità e di esperienza. Fu irremovibile e volle che fra i nomi indicati figurassero in prima linea quelli di persone mai iscritte al partito» .

L'ascendente che acquista fra i suoi compagni di lavoro è enorme: dovuto non solo alle sue qualità professionali, che pure sono eccellenti, ma soprattutto «alla sua integrità morale, alla simpatia umana, alle capacità di guida» . È la stessa capacità di guida morale e anche politica che ha, nei mesi delle vacanze estive a Cagliari, su un gruppo di giovani che invitava intorno a sé a meditare, riflettere, a pensare: «Ci parlava dell'Italia con lo stesso entusiasmo, la stessa fede, lo stesso palpito con cui ci avrebbe parlato della sua prima unica donna. Di quotidiani contatti con uomini come lui avremmo avuto bisogno, noi giovani, per poter veramente intendere la perfidia dell'ombra che ci avvolgeva e giungere a strapparne il velo». Aveva un solo modo di parlare, tutto speciale. «Dopo lunghi silenzi, mentre ci ascoltava seduto tra noi ad un tavolino del caffè 'Caredda e Loi' di Piazza Martiri o lungo il solitario viale del terrapieno, interveniva con una inaspettata veemenza di parole, calde, convincenti, sincere. A forma di interrogativi continui, ai quali noi non potevamo rispondere se non convenendo con lui. E non si gloriava del trionfo, ma quasi compiangeva il nostro smarrimento spirituale e avrebbe voluto [...] che anche noi possedessimo la sua purezza di idee e la sua fede cristallina» .

Dopo l'8 settembre con Armando Gavagnin cerca di convincere i comandi militari alla resistenza contro il tedesco. I risultati negativi non lo abbattono. Si butta anima e corpo nell'azione diretta: con un largo gruppo di ferrovieri e di volontari che è riuscito a legare intorno a sé, e che daranno poi vita alle 10a e 11a brigate «Matteotti», operanti nel Veneto, organizza il sabotaggio delle tradotte militari su cui i tedeschi ammassano come bestiame soldati e marinai italiani per trasportarli in Germania. Organizza l'assalto ai treni per liberare i prigionieri, devia convogli verso il Friuli e la Jugoslavia dove la presenza partigiana è già forte, aiuta a fuggire verso i rifugi sicuri gli ebrei del Ghetto di Venezia .

La sua attività è instancabile. Tutta la sua intelligenza è riversata nell'organizzazione del sabotaggio della presenza tedesca; a lui si rivolgono i comandanti delle formazioni partigiane per avere indicazioni tecniche ma anche incitamento morale . Al suo contributo è dovuta la sopravvivenza dei gruppi partigiani in quei primi giorni di difficile resistenza: «Meloni cercò tutto, specialmente armi. Si diede a farne incetta ricorrendo ai suoi ferrovieri, ai parroci, alle popolazioni, ai soldati che avevano prestato servizio nelle polveriere e nei forti, e costituì depositi d'armi e di esplosivi, nei quali aggiungeva o prelevava secondo i bisogni» . Agostino Zanon Dal Bo («Gracco»), analizzando le azioni compiute fra settembre e ottobre e riportate nel «Notiziario storico» della seconda divisione partigiana «Matteotti», scrive: «La circostanza che desta maggior stupore è che tutti questi tipi d'azione vennero, non sappiamo se anche ideati (alcuni si imponevano da sé), certo iniziati e portati avanti dall'ing. Meloni in meno di due mesi d'attività, durante i quali trovò anche il tempo di partecipare a riunioni politiche del PdA, che talvolta ospitava in casa sua» , in Calle delle Erbe.

Fu arrestato il 4 novembre nel suo ufficio dalle SS tedesche, mentre i fascisti perquisivano e saccheggiavano il suo appartamento. L'arresto di Meloni «fece tremare molti cuori, ma soltanto per la sorte del fratello. Tutti sapevamo che egli non avrebbe parlato» .

Alla fine di settembre Bartolomeo Meloni era entrato in contatto con Silvio Trentin, l'anziano professore ed ex deputato antifascista emigrato in Francia nel 1925 per non sottostare nel suo incarico universitario alla dittatura fascista, e che, rientrato dall'esilio e ora rifugiato in una villa a Mira, stava gettando le basi politiche e militari della Resistenza veneta facendo fruttare l'esperienza maturata in Francia nel movimento di resistenza all'invasione tedesca «Libérer et Fédérer».

Gavagnin dice che dopo il primo incontro «quel che avvenne [...] ha dell'incredibile: Meloni subì il fascino di Trentin, che subito appariva a tutti personalità superiore» . Ma il fascino è probabilmente reciproco, e stupisce in un uomo di lunga battaglia antifascista come Silvio Trentin che in una lettera a Emilio Lussu, del 23 ottobre 1943, scrive: «Da lunedì mi trovo praticamente investito della direzione della resistenza in tutto il Veneto. Credo che potremo mettere in piedi qualcosa di grande e di bello. Ho per luogotenente un tuo concittadino: MAGNIFICO» . Il magnifico in tutto maiuscolo vuole indicare la profondità della simpatia umana che stava al fondo della collaborazione.

Dopo l'arresto Meloni è portato nel carcere di Santa Maria Maggiore, dove resta due mesi e mezzo, poi a Verona da dove è deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau.

Anche nei lunghi mesi della prigionia continua ad assumere su di sé il peso del dolore degli altri e a diffondere la fiducia in una società diversa e giusta in cui non sarà più possibile la barbarie nazista.

Il sacerdote don Giovanni Fortin, che gli è compagno di prigionia, ricorda il primo incontro: «C’incontrammo i primi giorni ed ivi scambiammo le nostre impressioni; e dico il vero, mai ho trovato un'anima così aperta, un'anima così profondamente conoscitrice delle umane miserie, un'anima che sentisse veramente il palpito di amore e di tenerezza fraterna per i sofferenti» .

La vita nel campo di concentramento è un inferno a cui solo fibre eccezionali hanno resistito: «Fummo spogliati delle nostre vesti, spogliati, depilati e disinfettati — dicevano loro — con petrolio, e all'aria aperta, a trenta gradi sotto zero, nudi, fummo costretti a correre sulla neve, fatti segno di obbrobrio e di ludibrio da parte della milizia tedesca» .

Da Dachau viene trasferito in un campo di concentramento in Cecoslovacchia dove è costretto a lavorare nei campi. Il cibo non è sufficiente a rigenerare l'organismo per la fatica del giorno dopo e i prigionieri deperiscono in poco tempo. Una sera Bartolomeo Meloni non si regge in piedi dopo il lavoro: «Tornato alla baracca si pose del suo giaciglio, prese sonno, e all'ora dell'appello non poté comparire sulla piazza. Si cercò il mancante e lo si trovò addormentato sopra il giaciglio. Montato in furia il capo della baracca, con un grosso nerbo di bue lo percosse a tale segno da farlo credere morto. Da quel giaciglio non si poté levare; e si giustificò allora l'assenza del colpito, l'assenza del battuto; soltanto allora fu giustificato all'appello»

Trasferito nuovamente a Dachau ancora in gravi condizioni, vi muore il 9 luglio 1944.

Per i compagni che, finita la guerra ne aspettavano il ritorno, l'annuncio della sua morte è un grave colpo. Vengono indette manifestazioni per ricordarlo. In particolare il Circolo artistico di Venezia, del quale Meloni era stato socio e animatore — perché anche per i suoi interessi e le sue conoscenze dell'arte s'era fatto apprezzare — fanno affiggere una lapide nella sala maggiore del Palazzo delle Prigioni che tuttora lo ricorda: «Martire per la Patria e la Libertà — Bartolomeo Meloni — coi primi patrioti veneziani qui — cospirò per la rivolta e la liberazione»

MAVM: "Ispettore principale delle ferrovie dello Stato, aderiva fin dall’inizio al movimento clandestino di liberazione mettendo al servizio della causa il suo ingegno, la sua capacitò tecnica e professionale. Raccoglieva armi, munizioni e materiale per distribuirlo alle formazioni partigiane combattenti, sabotava in modo irreparabile locomotive, carri ed impianti ferroviari, deviava l’istradamento di interi convogli avviandoli al confine jugoslavo per dare modo ai prigionieri alleati di unirsi ai partigiani slavi. Arrestato a Venezia per l’attività patriottica che non conosceva tregua nel pericolo, sopportava interrogatori, torture e sevizie senza nulla svelare, né valse la lusinga di aver salva la vita a smuoverlo dal fiero silenzio, Deportato a Dachau, non reggeva alle sofferenze e alla fame, e consunto dal fiero morbo contratto moriva da eroe purissimo offrendo alla Patria l’olocausto della vita. Il suo cadavere non ebbe la pace della sepoltura e le sue ceneri, dopo la cremazione, furono disperse nel vento. Venezia, 8 settembre 1944 – Dachau, 10 luglio 1944".

PORCHEDDU1997, pp. 178-179

SECHI1986, pp. 162-166

MULAS Bruno

Figlio di Eugenio Mulas, avvocato repubblicano di Lanusei più volte eletto consigliere provinciale di Cagliari. Dottore in chimica.

 

Nel 1927 lavora in una farmacia di Rapallo ed è schedato come comunista. Nel 1931 è fermato a Milano perchè sospettato di essere in relazione con Giustizia e Libertà; viene poi rilasciato. Vive poi a Sassuolo, dove nel 1935 lavora nella farmacia di un sospetto antifascista e a Sanremo (1939). Viene sorvegliato fino al 1940. E' intestato a suo nome un fascicolo presso il Casellario Politico Centrale.

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Dizionario biografico degli antifascisti sardi a cura di M.Brigaglia e M.T. Lella, in L'antifascismo in Sardegna, cit., vol. II, ad nomen

MUSU MARTINI Bastianina

BIBLIOGRAFIA: 

  • Giuseppina FOIS, Bastianina Musu Martini, una combattente “mazziniana”, in: L’antifascismo in Sardegna a cura di M.Brigaglia, et al., Cagliari, Edizioni della Torre, 1986, vol. II, 379-382;

  •  Marisa MUSU, La ragazza di Via Orazio. Vita di una comunista irrequieta a cura di Ennio Polito, Milano, Mursia, 1997 [memorie della figlia, gappista a Roma e in seguito  giornalista de “L’Unità”];

  • Bastianina, il sardoAzionismo. Saba, Berlinguer e Mastino a cura di Gianfranco Murtas, Cagliari, Eidos, 1991.

SIGLIENTI Stefano

Combattente nella prima guerra mondiale, aderisce al movimento dei reduci. Laureato in Giurisprudenza, impiegato del Credito Fondiario Sardo, nel 1925 si trasferisce a Roma, dove assume nel 1938 la carica di vicedirettore dell’istituto bancario. Nel 1929 aderisce a Giustizia e Libertà, alla quale collabora attivamente insieme alla moglie Ines Berlinguer, soprattutto nella difficile fase successiva agli arresti dell’autunno 1930. Arrestato nel novembre 1943, incarcerato a Regina Coeli e via Tasso, riesce a evadere. Ministro delle Finanze nel governo Bonomi, in rappresentanza del PDA, è più tardi tra i fondatori del Banco di Sardegna

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Gianfranco MURTAS, Ines Berlinguer, Stefano Siglienti, Cagliari 1998;

  • Stefano Siglienti a cura di Maria Grazia Cadoni, [Sassari], Banco di Sardegna, 2006.

SPANO Fernando

Motivazione MAVM: "partigiano combattente, uomo di sicura fede, partecipava a numerosi combattimenti distinguendosi sempre per valore e spirito di sacrificio al comando della squadra. Nel corso di una dura e complessa azione, essendo stato con il suo reparto costretto a ripiegare, volontariamente si offriva con un compagno per andare a ricuperare munizioni che erano state lasciate sulla primitiva posizione. Scontratosi con una pattuglia nemica e ferito una prima volta, insisteva nell’avanzata, finché circondato dopo accanita resistenza cadeva colpito a morte. Bella figura di combattente per la libertà. San Marco d’Urri-Neirone, settembre 1943-13 marzo 1945".

PORCHEDDU1997, p. 141

SECHI1986, p. 178

ZUDDAS Giuseppe

Motivazione della promozione per merito di guerra: "Dopo l’armistizio dell’8 settembre veniva catturato dai tedeschi in Dalmazia, ove era stato ricoverato per ferite riportate in combattimento. Trasportato in un vicino campo di concentramento, riusciva a evadere e a raggiungere il proprio comando di Trieste. Veniva preso in forza ed impiegato in servizio d’istituto; poco dopo disertava andando ad arruolarsi in una formazione partigiana che operava sulle Prealpi Carniche, nell’ambito della quale raggiungeva il grado di comandante di compagnia. Alla testa del suo reparto partecipava fino alla liberazione a numerosi ed accaniti combattimenti contro i nazifascismi, distinguendosi sempre per spirito organizzativo, alto senso del dovere, spirito di sacrificio e coraggio personale. Val Cellina, agosto 1944-aprile 1945"

PORCHEDDU1997, pp. 180-181

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