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Ercole Pignatelli, "L’albero della libertà!"
 [opera della mostra "Utopia e Libertà": http://www.provincia.potenza.it/]

 


PAOLO BAGNOLI - Federazione GL

(Relazione presentata all'incontro di Roma, 30 aprile 2005)

Qualche giorno fa un amico che aveva ricevuto l’invito per l’iniziativa di oggi mi ha chiesto cosa, alla fin fine, questa iniziativa si ripromettesse; insomma, quale ne fosse lo scopo. Non ho avuto esitazione a rispondere che esso era politico; politico nel senso più pieno del termine. Al suo esordio sulla scena nazionale, la Federazione nazionale dei Circoli di Giustizia e Libertà, non vuole solo battere un colpo che testimoni come una certa cultura politica, per quanto minoritaria e ridotta, forse, ai limiti della testimonianza, non solo – nonostante tutto – ci sia, ma come essa ritenga giunto il momento di rientrare ufficialmente in campo in una stagione di forte e preoccupante crisi politica che è anche crisi della politica.

L’azionismo lo assumiamo come paradigma di un ragionamento generale non rivolto al passato, ai rammarichi, alle tante occasioni perdute, a quanto non ha permesso alla rivoluzione liberale ed a quella democratica di potersi affermare in Italia. Lo assumiamo guardando al presente ed al futuro per contribuire alla definizione di un’idea dell’Italia che non si realizzi solo per la sua contrapposizione a quella del berlusconismo e della destra. Noi ci vogliamo sforzare, rispetto alle insufficienze ed ai troppo esasperati politicismi del presente, di individuare un’idea dell’Italia all’altezza delle grandi sfide che ci sono davanti, per occupare un futuro che va costruito con nuove categorie politiche e pure con nuove consapevolezze ideali e certezze morali.

Non siamo quindi qui solo per ricordare un passato di glorie e di speranze che, purtroppo, non seppe farsi futuro, ma per far sentire il valore di un grande messaggio, immetterlo nel confronto politico in un passaggio storico nel quale – e lo diciamo con dolore, ma non con rassegnazione – la cultura politica laico-democratica, repubblicana,liberale, socialista liberale non sembra avere molto spazio, riconosciuta attenzione e doverosa intrerlocuzione. Sembra quasi, infatti, che nell’incontro, se pur variegato e ramificato, tra postcomunismi e postdemocristiani, si possa recintare tutto lo spazio di un’opposizione che ci auguriamo -- e noi vi vogliamo contribuire naturalmente -- diventi alle prossime elezioni politiche maggioranza di governo di questo nostro Paese; di un Paese da ricostruire dopo la decoazione civile, politica, morale, economica e culturale provocata dai governi di centro-destra.

A fronte di anni che sono trascorsi nel segno della divisione e del prevalere arrogante degli interessi particolari; di anni nei quali si è contrabbandato la dimensione aziendalistica come la via di soluzione alla crisi della politica che era, poi, la crisi del Paese, noi alziamo la voce nella consapevolezza degli interessi unitari di una democrazia repubblicana da costruire e da rafforzare nella sua integrità geografica, istituzionale ed economica.

Una democrazia repubblicana il cui avvenire – lo voglio sottolineare – non può essere disgiunto dall’avvenire del Mezzogiorno che non può essere considerato un problema solo perché in quelle zone la destra prende, ma dopo le recenti elezioni regionali è meglio dire prendeva, tanti voti; tanti voti che non hanno portato a niente, che non sono serviti a liberare il Mezzogiorno dalla cappa pressante delle organizzazioni malavitose ed in speranze sempre andate deluse.

La democrazia italiana non ha nulla da guadagnare, ma tutto da perdere con la demagogia ed il populismo. Purtroppo, la demagogia ed il populismo sono morbi che possono anche contaminare anche confini fisiologici della democrazia, ma sono morbi che possono essere debellati reinventando i portati di una politica democratica e liberando questa scombinata Seconda Repubblica dall’incistamento che la caratterizza. La politica democratica deve essere reinventata a partire dalla consapevolezza della differente complessità della stessa diversa natura dei problemi che devono essere affrontati per poter governare democraticamente una società post-industriale, quanto meno per il sistema di valori che vogliamo sia alla base della nostra società.

L’acquisizione di valori quali il mercato, la positività del conflitto, il merito, un più effettivo funzionamento dello Stato, un sistema reale di operanti solidarietà costituiscono i tanti capitoli che devono essere scritti per rendere governabile questo Paese; si tratta, certo, di obbiettivi ambiziosi che debbono essere anche ricondotti ad un moderno senso dello Stato, del significato riguardante il suo ruolo, della libertà e dell’ autonomia del cittadino, delle necessarie sfere di giustizia e degli strumenti che servono per poter garantire il tutto.

Ecco perché ci rifacciamo all’azionismo, alla idealità ed alla moralità della politica che lo contraddistingue.

A fronte del tanto devastante dilettantismo che ha segnato, e continua a segnare la nostra vita pubblica, all’aziendalismo che ci spiega come i valori siano solo nel mercato e nei suoi profitti – ma il mercato movimenta merci e non sempre il movimento delle merci è un valore in sé e comunque esso non crea, di per sé, quella solidarietà che è fattore di un civico ed esteso bene comune -- noi rivendichiamo la capacità e la volontà di ognuno di difendere la propria autonomia senza pretendere privilegi, dispezziamo il dilettantismo e rivendichiamo il gusto che abbiamo per il lavoro ben fatto, il senso anche individuale della imprenditorialità, per dirla con Piero Gobetti; e, su tutto, la consapevolezza laica di non sentirci mai portatori di verità. Per questo rivendichiamo il rispetto per l’ opinione degli altri – la politica vera, infatti, è quella che compete non quella che si basa sulla mutua delegittimazione – per il dissenso, per l’eresia, sì anche per l’eresia, ossia per tutti quei valori che sono alla base del liberalismo e del socialismo occidentali.

Bandiera GL nel Circolo di Roma

Mi posso immaginare le osservazioni rispetto a quanto detto. E sulle ragioni per cui in Italia, a ben vedere, tutti questi valori non hanno stabilmente attecchito vi sono pagine e pagine di interpretazioni ideologiche storiche e non solo. E  va detto, per rispetto della verità, che i laici hanno, di par loro, anche contribuito in gran parte all’insuccesso, perseguendo ciascuno un proprio disegno e finendo, grazie alle proprie debolezze ed alle proprie divisioni, ad essere magari subalterni, in passato, all’uno od all’ altro dei due partiti maggiori portatori, talora, di posizioni dogmatiche e populistiche.

In Italia vi è stata una lunga occupazione del potere cui ha corrisposto una piena mancanza di senso dello Stato. La Seconda Repubblica non ha risolto il problema; anzi, per alcuni aspetti, lo ha aggravato anche per la mancanza di forze politiche strutturate legittimanti l’identità e l’appartenenza alla democrazia della Repubblica.

Occorre reinventare la politica; la politica democratica. Ma reinventare la politica significa porsi anche la questione di come ricomporre una società che ci sembra più "società frantumata" che "società civile" per la caratterizzazione, che si è aggravata in questi anni convulsi, di concorrenti centri di interesse e di corporazioni ognuno alla ricerca di privilegi ai danni degli altri; lo Stato si è ulteriormente snaturato e la società, invece di liberalizzarsi, si è trovata avvolta in una asfissiante calotta che ne ha impedito una reale democratizzazione.

Dobbiamo, cioè, affrontare una emergenza civile che richiede chiarezza di obbiettivi e fermi principi culturali e politici; dobbiamo, in altre parole, affrontare un qualcosa che richiede intransigenza politica e laica moralità; un qualcosa, cioè, che non è mai stato troppo popolare in Italia e che, a fronte della società della comunicazione e dell’efficientismo aziendalistico, ossia di un prevalente profilo gestionale dell’azione politica, rischia di apparire pure patetico

Questi valori sono, però, i nostri valori e se avranno modo di valere e di essere riconosciuti la ripresa morale, sociale e politica del nostro Paese dipenderà in buona parte dalla loro affermazione.

La crisi della politica, della dimensione laica della sua cultura, segnano anche la crisi della nostra modernità; nel vuoto prendono campo dannunzianesimi – il gusto preponderante per il gesto – e fanatismi; occorre, perciò, recuperare la "maturità del coraggio" e la ricostruzione etica ed ideologica della lotta politica, strumento essenziale per mantenere una società libera ed anche per renderla più giusta.

Da anni, oramai, la Destra è all’attacco in tutto il mondo; ed è all’attacco anche in Italia pur nelle forme primitive e rozze che conosciamo ed è all’attacco sul tema centrale della libertà. Si rivendica, infatti, una libertà negativa senza limiti. Da tale impostazione deriva una moltitudine di singolarità comprese in un moto collettivo di distacco dalle forme di appartenenza democratica – e ciò ha come conseguenza la progressiva rottura di ogni vincolo solidaristico – sperimentando, così, una specifica dissociazione tra interesse ed identità politica ed avanza la richiesta radicale di un diritto di autodeterminazione che può anche spingersi fino alla richiesta di un "diritto di recinzione" il cui esito è, poi, la costruzione di veri e propri "spazi sociali di interdizione".

L’idea di libertà generata da questi presupposti si fonda su una netta separazione tra etica e politica ed, in secondo luogo, su una forte svalutazione del ruolo delle istituzioni, dei processi democratici e della libertà intesa nella sua accezione positiva. La libertà viene, da un lato, connessa in modo stringente con la capacità di acquistare e possedere; dall’altro essa è identificata dalla possibilità di esprimere le proprie esigenze a prescindere da vincoli e regole pubbliche e da qualsiasi nozione di bene comune. Ossia, una libertà isolata e tendenzialmente senza limiti, senza confini, una libertà unidimensionale che si coniuga perfettamente con le strategie del cosiddetto pensiero unico.

La sfida del pensiero laico-progressista, del pensiero socialista liberale oggi consiste nel rimettere in discussione e contestare questa idea ristretta di libertà anche se per molti essa appare molto attraente nell’epoca di crisi dello Stato nazionale, ovvero nell’epoca della globalizzazione.

Come allora prospettare un’alternativa che sappia radicarsi a livello culturale proponendo un’idea diversa della libertà e sappia tradursi in prassi politica? Lo sforzo di chi non si rassegna ad un orizzonte chiuso della libertà, tutto incentrato sulla logica di mercato e sulla proprietà, consiste nel tentativo di coniugare l’individualismo con l’ interesse collettivo contrastando quella posizione che vede nella libertà assoluta dell’individuo di prosperare l’unica strada per raggiungere l’interesse della collettività, e che, in effetti, produce solo libertà per pochi e subordinazione per molti.

Il problema è quello di far sì che i benefici prodotti dal mercato vengano estesi secondo criteri di giustizia – e quindi partendo da principi etici -- della società ed il raggiungimento di tale equità non è, né deve, essere considerato alternativo all’individualismo, semmai deve essere considerato una sua piena realizzazione. In questa prospettiva il tema delle istituzioni e dei processi democratici riveste un ruolo assolutamente centrale evidenziando, d’altra parte, il fatto che lo Stato non è più l’unica sfera istituzionale che regola e promuove la libertà degli individui.

E’ da qui, crediamo, che occorre ripartire per reinventare la politica, che sia anche per chi è quello che tutti noi siamo, una politica di governo per l’Italia. Da qui, dal rivendicare l’integralità di contenuto del valore della libertà.

Noi facciamo un ragionamento politico quando richiediamo che il diritto soggettivo comprenda la nozione di esercizio concreto e si riconnetta al valore di una vita degna per il soggetto.

La libertà ridefinita come il diritto eguale di ogni essere umano a partecipare delle condizioni che rendono possibile il benessere di tutti e di ciasuno. I diritti di libertà e quelli di giustizia si saldano, così, in maniera armonica e le istituzioni giocano un ruolo di primo piano in questo processo di saldatura.

Reinventare, quindi, la politica ponendosi l’obbiettivo di aumentare le capacità umane considerate come parte importante della libertà individuale. L’eguaglianza è regolata da principi di giustizia e ciò implica un’effettiva capacità di esercitare in modo pieno le facoltà connesse a tale libertà nel quadro di un complesso di regole – e quindi istituzioni pubbliche – che garantiscano la convivenza pacifica degli individui, salvaguardando la loro peculiarità e la loro assoluta eguale dignità.

Reinventare la politica, quindi, riaffermando uno spazio pubblico che deve essere riformato profondamente se vogliamo interagire col salto di qualità che l’economia e la società del sapere ci propongono.

Di fronte al ruolo decisivo che scienza e cultura stanno sempre più assumendo nella produzione di valore economico e sociale forte è la tentazione, per chi produce sapere, di ritirarsi in spazi collaudati nei quali, quasi sempre, l’autonomia coincide con l’autoreferenzialità. Lo permetteva la vecchia società; lo permetteva la divisione del lavoro che caratterizzava la ricerca di base dalle sue applicazioni tecnologiche e industriali; la scuola per chi è destinato a pensare da quella di chi è destinato a eseguire; la rigida distinzione e gerarchia tra saperi e discipline.

Non è più così, sia per la ricerca, sia per la scuola: non è più così che deve rapportarsi la politica alla scienza in generale. Infatti, è proprio il peso crescente che il sapere ha nello sviluppo dei paesi e dei continenti, nella vita delle persone che mette in discussione l’autonomia come autoreferenzialità, che impone strumenti nuovi di governo del sistema pena l’essere risucchiati nella pura logica del mercato e dell’ individualismo competitivo. Così, la progettazione di un nuovo spazio pubblico per la ricerca diviene un fattore importante nel lavoro di ripensare la politica; esso non può prescindere dal confrontarsi col fatto che tutta la ricerca, oggi, ha una vicinanza molto maggiore ai contesti applicativi, che è caratterizzata da una marcata interdisciplinarietà, da una crescente eterogeneità degli attori e delle istituzioni coinvolte ed, infine, da un livello crescente di riflessività e di responsabilità sociale.

E’ qui, dentro questo contesto, che collochiamo un passaggio sul problema della scuola e sulla perversa politica della destra e della signora che la esprime nel suo governo.

Per la signora Moratti la questione formativa non conta. Non è proprio una mancanza da poco: l’idea di una rottura della rigida distinzione della fasi della vita – l’età dello studio, poi quella del lavoro ed infine quella della pensione --; l’idea di una formazione che accompagni l’intera esistenza delle persone non solo per esigenze connesse ai cambiamenti di lavoro, ma anche per il gusto di crescere, per il gusto di rendere più bella, libera e piena di senso la vita, deve ridefinire il complesso dei processi formativi.

La scuola, la formazione professionale, l’Università non possono più pretendere di fornire al lavoro ed alla vita prodotti finiti culturalmente e professionalmente, ma persone che abbiano acquisito nella scuola il gusto per l’apprendere nonché le conoscenze culturalie professionali per farlo.

E poiché quello della scuola rappresenta un problema vitale per una società moderna e civile, perché esso è fondamentale per ricostruire lo spazio pubblico di cui dicevamo, diciamo un "no" grosso come una casa alla canalizzazione precoce e classista del progetto Moratti, al duale rigido tra istruzione e formazione professionale; diciamo "no" ad un disegno che mira ad impoverire le possibilità delle persone ed a limitare la loro libertà di cambiare e scegliere, non solo nei percorsi formativi, ma per tutta la vita.

Tanto altro ci sarebbe da dire. Per esempio di politica internazionale. Noi siamo con l’Europa e nella logica dell’Occidente ci siamo, ma ci vogliamo stare non subalterni a nessuno, in virtù della ragione che discende dai valori e delle opzioni della politica, nella lealtà delle alleanze, ma nella pari dignità e sempre nell’ottica di un avvenire di pace, libertà, democrazia; non sempre, infatti, la bontà delle idee richiede la coazione della forza.

Tanto altro ci sarebbe da dire. Per esempio a proposito della Costituzione, della nostra Costituzione, ma su ciò il nostro pensiero e semplice e fermo. Chi, in questi anni, ha cercato ostinatamente di bonificare la ricorrenza del 25 aprile dal suo specifico storico – la vittoria dell’Italia della democrazia, della pace e della libertà contro la barbarie del nazifascismo – è lo stesso che vuole stravolgere la carta costituzionale che è la scrittura della Liberazione. Sulla Costituzione il nostro pensiero è semplice e fermo: ci opporremo allo stravolgimento della carta costituzionale; ci opporremo e si sappia che esiste ancora quel "popolo serrato" declamato da Piero Calamandrei.

Mi fermo qui ritenendo l’azionismo un vero e proprio ritorno al futuro. Forse chi si aspettava da me un profilo storico sarà rimasto deluso, ma oggi il messaggio e l’ esempio dei nostri maggiori – la lista sarebbe assai lunga – credo si onori con un impegno di cultura politica e di politica; contro la destra, tenendo sempre alta la bandiera dell’antifascismo, i valori della Costituzione, dentro il centro-sinistra ed in difesa ed il rilancio di una cultura che fino ad oggi è stata troppo marginalizzata.

Ce la faremo? Dipenderà da noi, in primo luogo, dalla nostra capacità ed ostinatezza nel "non mollare".

Mi permetto una citazione. E’ un pensiero di Riccardo Bauer, un azionista, un grande italiano. Ha detto Bauer: "Ogni attività politica, se sincera, è radicata in un serio meditato pensiero critico, non può non portare con sé un operante momento morale e di intransigenza. Se questo momento si fa moralismo e assoluta irrinunciabilità di posizioni, ovviamente ogni positiva possibilità di costruzione politica diventa vana e l’azione politica si risolve in un fatto di forza in cui non prevale la ragione ma la bestialità…"

Un qualcosa di simile l’abbiamo visto; noi rivendichiamo i valori della ragione e dell’insopprimibile fondamento morale della politica; affermarlo e praticarlo lo sentiamo come una consegna che viene da lontano, da quell’Italia laica, civile, magari eretica di cui talora sembra esserci dimenticati; noi siamo qui per ricordare e testimoniare che quell’Italia c’è ancora e che faremo di tutto per farla valere.

Ed infine. Sul "Corriere della Sera" il 25 aprile Enzo Biagi ha scritto:" Il nostro era un grande nome ‘Giustizia e Libertà’, un nome che si dice col cuore e che allora faceva sognare giorni migliori."

Per noi il sogno continua; ad esso non possiamo né vogliamo rinunciare.

[Fonte: http://www.circologiustiziaeliberta.it/]

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
   
 
 
 

 

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