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(Da sinistra) Fausto Nitti, Carlo Rosselli, Emilio Lussu

veleggiano verso la libertà dopo l'evasione dal confino di Lipari.

 


Andrea Cabassi - I profeti disarmati, Lussu, la Terza Forza.

Premessa.

Questo scritto non ha un impianto storiografico ( non sono uno storico), ma interseca storia, politica ed esperienza personale.

Lo spunto per queste riflessioni nasce dalla lettura di due libri recentemente pubblicati, “I profeti disarmati”di Mirella Serri edito da Corbaccio e “Storia dei laici” di Massimo Teodori edito da Marsilio e si incrocia con i miei percorsi autobiografici.

I profeti disarmati.

Provengo da una famiglia comunista sia per parte materna sia per parte paterna. Quello è l’humus culturale e politico in cui sono nato. Non sono mai stato anticomunista. E’ un termine che, nella mia esperienza, ho visto utilizzare dai conservatori, dalla destra, dai fascisti per ben altri scopi che non quelli della difesa delle libertà civili in Italia.

Malgrado la provenienza familiare credo di non essere mai stato comunista anche se ho condiviso molte battaglie del PCI ed ho sempre pensato che la sinistra non poteva fare a meno di esso. Nel 1990 sono stato candidato come indipendente per quel partito alle elezioni per il Comune di Collecchio in provincia di Parma. Sono sempre stato, comunque, antisovietico e antitogliattiano ed ho apprezzato tutte le minoranze che hanno favorito un diverso e nuovo approdo teorico.

Questa premessa era necessaria per dire quale è stata la sensazione immediata che ho avuto quando mi sono avvicinato al primo testo citato più sopra. Esso narra del duro scontro che contrappose il quotidiano “Risorgimento Liberale” al PCI di Togliatti dal 45 al 48 con una netta presa di posizione a favore del primo da parte dell’autrice.

La mia prima reazione nello scorrere la bibliografia e l’illustrazione dei temi affrontati è stata di fastidio e impulsiva. Ero preoccupato di trovarmi di fronte all’ennesimo esempio di revisionismo storico dove l’attacco alla politica del PCI era solo un pretesto, essendo il vero bersaglio la Resistenza e il ruolo avuto dai comunisti in essa. “Si vuole far strame dell’antifascismo, si vogliono cancellare le radici della nostra Costituzione, si vuole porre sullo stesso piano, su un piano di equivalenza, le due parti che si combatterono in modo da confondere chi aveva ragione e chi torto. Delegittimare il PCI. è delegittimare la Resistenza e la Costituzione”,mi sono detto.

Ma i libri vanno letti e non solo sfogliati. Sarebbe fare un torto e banalizzarne il pensiero a collocare Mirella Serri nella variegata schiera dei revisionisti storici. Anche se il suo libro apre ferite che possono far male.

Risorgimento Liberale” fu considerato uno dei migliori quotidiani del dopoguerra. Il suo fondatore e direttore fino al 1948 fu Mario Pannunzio che, in seguito, diede vita al prestigioso “Il Mondo”. Tra i suoi collaboratori poteva contare su Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Fu un quotidiano per nulla conservatore, tanto meno reazionario. La maggior parte di coloro che vi scrissero costituirono la Sinistra Liberale. Erano anticomunisti e rigorosamente antifascisti. Molti di loro avevano combattuto contro i fascisti nella Resistenza fianco a fianco con i comunisti. Ma alla fine dell’esperienza dei CLN i nodi vennero al petto. Il quotidiano denunciò senza nessuna reticenza le vendette, le rese dei conti, gli ingiustificabili omicidi che vennero commessi nel convulso periodo del dopoguerra. Denunciò il fatto che si trattò di una strategia ben coordinata di cui, non solo Togliatti non era all’oscuro, ma il regista occulto.

La Serri parla correttamente di due sinistre che si scontrarono senza esclusione di colpi, di due sinistre che stavano trasformando lo scontro in una guerra civile nella guerra civile. Non a caso la ricercatrice fa riferimento alla Guerra di Spagna e a quella guerra civile nella guerra civile che, soprattutto nel Maggio 37 a Barcellona, contrappose sanguinosamente comunisti stalinisti ad anarchici, libertari, comunisti non stalinisti come i militanti del P. O. U. M.. In quella tragica guerra civile fu assassinato dagli stalinisti, tra gli altri, l’anarchico Camillo Berneri che era stato allievo di Gaetano Salvemini.

Profeti disarmati i Rossi, i Salvemini, i Pannunzio perché dalla parte della ragione, ma minoritari. Anticomunisti, ma indisponibili a confondere il loro anticomunismo con quello della destra. Uomini che cercavano di costruire una sinistra non marxista e non comunista. Uomini che furono i precursori o si attivarono per la creazione di una terza forza.

Ed allora questa lettura approfondita e meditata mi ha riportato alla mente altre ricerche, altri percorsi autobiografici.

Come ho scritto prima non ho mai amato o condiviso Togliatti. Ciò mi ha spinto a cercare al di là del PCI una forza che mi rappresentasse. Sono stato simpatizzante della sinistra PSIUP , del PDUP, spesso mi sono trovato ad essere un cane sciolto. Le mie scelte non coincidevano mai con quello che avrei realmente desiderato. C’era costantemente uno scarto che non riuscivo a colmare. Si aprivano continuamente fessure, paradossi, contraddizioni. Ricordo che provavo una profonda attrazione e curiosità per la sinistra liberale, i repubblicani di sinistra, i socialisti libertari e liberali, per i radicali dei primi anni settanta che pubblicavano la rivista teorica “Prova Radicale”, poi un quotidiano che si chiamava “Liberazione”. Orfano di un partito che rappresentasse realmente le mie idee andavo, come un segugio, sulle tracce di queste forze minoritarie, di una sinistra che fosse la “mia” sinistra. Anni di ricerche e studi “matti e disperatissimi” che mi portarono ad appassionarmi alla storia del movimento di “Giustizia e Libertà” e del Partito d’Azione. Con la recondita speranza di scovarne gli eredi, ma, come dirò dopo, gli eredi si erano dispersi in una diaspora infinita e ognuno portava la sua storia qua e là. Come biografia e non come patrimonio politico-culturale condiviso.

Cosa cercavano i profeti disarmati? Cosa cercavo io con un piccolo gruppo di coetanei? Cosa nascondeva questa inquietudine, questo cercare una risposta senza essere in grado di trovarla? Od avere la risposta e trovarsi nella impossibilità di praticarla?

Storia dei laici.

A questo punto ci può soccorrere l’altro libro citato all’inizio: “Storia dei laici” di Massimo Teodori. Teodori è stato, per lungo tempo, deputato del Partito Radicale allontanandosene, poi, perché non condivideva la gestione personalistica del partito attuata da Pannella.

Il suo libro descrive la difficile collocazione dei laici in Italia, schiacciati tra DC e PCI e i loro tentativi abortiti di crearsi uno spazio autonomo. Vari i tentativi e tutti destinati al fallimento. Il libro li ripercorre e li analizza. Anche Teodori cita “Risorgimento Liberale”, l’esperienza della Sinistra Liberale, l’inizio e la fine del Partito Radicale (1955-61), la nascita del nuovo Partito Radicale grazie a Sinistra Radicale nel 1962, i tentativi di radicali e repubblicani di presentarsi alle elezioni con liste comuni. Infine pone il problema della terza forza in Italia.

L’inizio del libro è dedicato al Partito d’Azione e alla sua scissione. Al suo interno si era posto il problema della terza forza. Le risposte radicalmente diverse date a tale problema furono una delle cause più importanti della scissione. Non a caso quando il Partito d’Azione deflagrò le sue membra sparse investirono un ampio spettro di partiti: la concentrazione Repubblicana, i liberali, i socialisti. Non poteva essere diversamente poiché gli uomini che componevano il partito avevano formazioni culturali, spirituali, politiche molto diverse tra loro. Mille anime ed un patrimonio che si disperse in mille rivoli. Credo che abbia ragione Teodori quando sostiene che nessuno partito o movimento può considerarsene l’ erede. Ogni uomo che traslocava in altri luoghi portava un pezzo di patrimonio, ogni singolo lo poneva a disposizione. Nessun trasloco da un partito all’altro. E qui mi sovviene un altro ricordo personale.

Era una calda sera della primavera del 79. Piazza Garibaldi, a Parma, era gremita di gente. Sembrava di essere nel foyer del Teatro Regio alla prima di un’opera importante. Tutte le persone che contavano, tutta l’alta borghesia era presente all’evento. L’evento era il comizio di Marco Pannella. Il Partito Radicale non era più il partito dei primi anni settanta. In quel periodo era di moda e tutta la gente che riempiva la piazza pareva in attesa della rappresentazione di un attore più che quella di un comizio politico. All’evento non bisognava assolutamente mancare. Pannella sostenne, facendo un excursus storico in modo istrionesco, che il Partito Radicale era la continuazione del movimento di “Giustizia e Libertà” e del Partito d’Azione e che il precursore era Carlo Rosselli. Poi attaccò frontalmente il PCI. Questa non era una novità. Riproponeva l’annoso scontro tra la sinistra liberale e i comunisti. Quello che mi colpì e che mi lasciò perplesso fu l’affermazione di una continuità tra Rosselli e Pannella, tra “Giustizia e Libertà”, il Partito d’Azione e il Partito Radicale. Poteva esserci qualche frammento di verità, ma, per lo più, mi parve una appropriazione indebita. Anche perché in quella fase il Partito Radicale propendeva per una politica antipartitocratica che, spesso, sfiorava il qualunquismo e lo portava ad annacquare le differenze tra destra e sinistra. Indicativa, però, quella citazione storica. Pannella era alla ricerca di quarti di nobiltà politica che giustificasse le sue azioni e di qualche antenato illustre.

Sono convinto che Pannella avesse torto ed abbia ragione Teodori. Quegli excursus che, non a caso, ho citato erano un tentativo di ritagliarsi uno spazio politico tra DC PC e partiti intermedi. Una ricerca, anche affannosa, che necessitava di trovare una radice lontana, una ragione di essere nel passato per sostenere con più forza il presente. Pur nell’agone elettorale era una spia di un necessario confronto con la Storia.

Nel suo libro Teodori cita anche Lussu. Lo fa in maniera sbrigativa. E’ implicito nel testo che Lussu non apparteneva a coloro che sentivano la necessità di costituire una terza forza. Come poteva averla se Lussu entrò nelle file dei socialisti, lui che già dagli anni di “Giustizia e Libertà”, si definiva socialista? Tuttavia molti sono i dubbi che mi assillano e mi domando se le cose stanno proprio così? Mi domando se ciò non sia una semplificazione, considerata la complessa biografia di Lussu. Mi domando se le mie inquietudini e le mie contraddizioni non fossero simili a quelle di Lussu. Non certo perché c’è in me il folle proposito di paragonarmi a lui, ma per la condivisione di una ricerca che può gettare luce su determinati percorsi e sulle mancanze della sinistra in Italia. Infine mi domando cosa debba intendersi per terza forza.

Emilio Lussu: terza forza o senzapartito.

Cosa significa terza forza? Significa costituire un raggruppamento che riempia lo spazio al centro dello schieramento politico? Oppure terza forza può essere considerato un raggruppamento di sinistra laica non marxista che si pone in una posizione autonoma laddove esistono forti partiti comunisti? E, storicamente, in Italia i socialisti sono stati terza forza nel primo o secondo significato? Oppure solo frontisti?

Questo convivere dei due significati è la contraddizione che percorre tutta la storia del terzaforzismo in Italia. Questa è la contraddizione che ha minato, alla base, l’unità del Partito d’Azione e che ha provocato più di una scissione tra i socialisti.

Credo che in Italia sia prevalsa, salvo le minoranze che citavo all’inizio, la prima interpretazione. E qui ancora un ricordo personale. Rammento il fastidio che provavo quando i partiti laici si definivano forze intermedie. Mi dava fastidio perché le forze intermedie erano schierate con la DC, appiattite su di essa. Non vedevo alcuno sforzo di elaborazione autonoma in esse se si fa eccezione per Ugo La Malfa E’ vero che si scontava il fatto che il mondo fosse diviso in due blocchi contrapposti, che si era costretti a stare o da una parte o dall’altra. Tuttavia mi sembrava che quelle forze intermedie non si ponessero neppure il problema di una elaborazione teorica autonoma. Mi faceva rabbia perché percepivo confusamente che stavano perdendo un’occasione storica per creare qualcosa di nuovo. Ed il discorso può essere allargato ai socialisti, oscillanti tra un appiattimento sulla DC o sul PCI, la cui tormentata storia è sfociata nel pentapartito e nel craxismo Probabilmente mi sbagliavo. Probabilmente le condizioni storiche erano quelle che erano. Il dubbio, comunque, mi resta ancora oggi.

Se si interpreta nella prima maniera il terzaforzismo allora non ci si deve neppure porre il problema del suo rapporto con Emilio Lussu. Io, però, credo che le cose vadano viste da un angolo visuale differente. E’ quello che mi accingo a fare ora.

Con Emilio Lussu bisogna cominciare dalla fine.

Quando, nel 1972, lo PSIUP, dopo la sconfitta elettorale, si scioglie e confluisce nel PCI, Lussu decide di non farlo, sostenendo che non è comunista e che non lo è mai stato. Dedicherà gli ultimi tre anni della sua vita allo studio. Sarà un senzapartito.

Questa scelta dovrebbe essere interpretata e dovrebbe far riflettere tutti coloro che lo hanno considerato soltanto un frontista, a volte un”carrista”, un uomo appiattito sulle posizioni del PCI. Anche perché il suo distacco dalle attività dello PSIUP era cominciata molto prima. Non va dimenticato che nel 1968 rifiutò la candidatura alle elezioni politiche e che il suo distacco coincise con un avvicinamento eccessivo del partito alla politica del PCI, avvicinamento che Lussu non condivideva. Egli affermava che senza il PCI non si poteva fare, ma auspicava una posizione autonoma del suo partito ed era, insieme a Vittorio Foa, molto lontano dalla componente filosovietica dello PSIUP.

Può essere considerato un senzapartito un uomo che ha militato e fondato diversi partiti e movimenti? Parrebbe una contraddizione in termini. Ed allora cosa si può dire?

C’è una inquietudine in Lussu che, spesso, è stata sottovalutata o poco analizzata. E’una inquietudine che nasconde una insoddisfazione profonda, che lo porta alla ricerca di nuovi modelli, esperienze nuove in un tentativo di far collimare l’ideale al reale.

Fu definito “un poeta della politica”, sottintendendo, forse, che era un ingenuo della politica, un uomo con idee confuse in testa, un pasticcione, anche dal punto di vista teorico. Il fatto è che a Lussu non piacevano le formule preconfezionate, le ricette già pronte, gli schematismi. Il poeta è uno che libera la fantasia, che crede negli ideali, che cerca, costantemente, strade nuove. Questo era Lussu e, in questo, molto simile ad un altro poeta della politica come Vittorio Foa. Per tale motivo ritengo che anche Lussu possa essere annoverato fra quei profeti disarmati di cui parla Mirella Serri anche se non appartenente alla Sinistra liberale, anche se socialista, anche se definito da Ernesto Rossi in una lettera a lui indirizzata “un vero rivoluzionario.”

Lussu il socialista, il rivoluzionario, colui che auspicava l’insurrezione armata contro il fascismo, un profeta disarmato? Ripercorriamo alcune tappe della sua vita politica.

Al ritorno dalla guerra, Lussu, con Camillo Bellieni, fonda il Partito Sardo d’Azione che acquisirà personalità giuridica nel 1921. Lo affiancheranno le “camicie grigie” che avranno la funzione di battersi contro i fascisti e che, per certi versi, assomiglieranno agli Arditi del Popolo che si costituiranno in altre parti d’Italia. Quando Mussolini invierà in Sardegna Asclepia Gandolfo con il compito di tentare la fusione tra Partito Sardo d’Azione e Partito Fascista, inizialmente, Lussu parteciperà alle trattative per abbandonarle poco dopo. Da quel momento sarà il leader di quella parte del partito che non ha accettato la fusione, sarà un antifascista intransigente e si schiererà all’ala sinistra del partito.

Poi il carcere, il confino, l’esilio a Parigi nel 29. Qui, insieme a Rosselli, Salvemini ed altri, costituirà il movimento di “Giustizia e Libertà”. Inizialmente la sua posizione potrebbe essere definita come quella di un repubblicano di sinistra, federalista. Nel vivo della battaglia e della lotta clandestina si sposterà su posizioni socialiste senza per questo evitare di essere duro, polemico, ironicamente sferzante con i Partiti Socialisti Italiani in esilio. Ancora una volta si troverà schierato nell’ala sinistra del movimento.

Lussu tornerà in Italia e in Sardegna solo nel 1943. Con la fusione tra “Giustizia e Libertà” e il Partito d’Azione, si troverà ad essere un dirigente di quest’ultimo. Ancora una volta si collocherà all’ala sinistra e da lì condurrà la sua battaglia contro l’ala moderata del partito. Lo scontro tra l’ala sinistra e quella moderata porterà alla scissione. Dopo la scissione Lussu entrerà nel PSI per schierarsi nella sua ala sinistra. Uscirà, dopo varie polemiche e difficoltà, anche dal Partito Sardo d’Azione, per costituire, nel 1948, il Partito Sardo d’Azione Socialista che avrà vita effimera e confluirà, anch’esso, nel PSI. Infine nel 1964 sarà uno dei fondatori dello PSIUP che raccoglierà la maggior parte degli uomini della sinistra socialista contrari all’entrata del PSI nel governo di centrosinistra. Degli ultimi anni si è già detto.

I passaggi sono vari, eppure non mettono in discussione la coerenza dell’uomo. Perché?

Lussu, nei suoi passaggi, non compie mai una sintesi dialettica perché non rinnega nulla delle scelte precedenti. Il sardista (lo sarà sempre rivendicando l’autonomia, ma non l’indipendenza dell’isola) convive con il repubblicano di sinistra e federalista che convivranno con il socialista: un patrimonio che porterà con sé fino agli ultimi giorni di vita.

C’è, poi, una costante: egli si pone sempre all’ala sinistra dei movimenti e dei partiti nei quali ha militato. Al di là dei partiti, oltre i partiti e i movimenti che ha fondato, di cui è stato dirigente, ai quali ha appartenuto, Emilio Lussu è stato un uomo di sinistra, una sinistra di cui percepiva i limiti, una sinistra che avrebbe dovuto coniugare la giustizia e la libertà, una sinistra che avrebbe dovuto essere fieramente repubblicana e federalista, una sinistra che, in Italia, è sempre stata minoritaria.

In una lettera inviata nel giugno del 57 ad un amico socialdemocratico descriveva molto bene cosa significava per lui essere a sinistra: “ … essere a sinistra presuppone in molti anche una particolare forma psicologica. In molti, non in tutti, evidentemente. Psicologicamente, io sono stato sempre a sinistra, certo per atavismo. Gente di montagna, i miei avi non pagarono mai i diritti feudali; e non già in grazia ad uno speciale privilegio, ma perché sopprimevano gli esattori baronali, regolarmente, nei passaggi obbligati. Ne è derivato che, in me, la rivolta per quanto non è dovuto è istintiva; il primo impulso è quello, e poi la ragione lo conferma”. (Emilio Lussu: “Essere a sinistra” Mazzotta. 1975, pag. 239) E più oltre: “Per uno di sinistra, il potere è solo un posto di responsabilità e di lotta, psicologicamente identico al posto che differenti momenti politici impongono si occupi in carcere, al confino, in esilio o fra i partigiani… Essere a sinistra consiste nel basare la lotta politica e ogni conquista della classe operaia e dei lavoratori nella lotta autonoma, sindacale, sociale e politica; essere sempre presenti nella lotta delle masse; realizzare la democrazia verso il socialismo con continue conquiste e difenderle, con la lotta”. (Ibidem, pag. 240). Inoltre: “Tu che sei a destra, chiedi a me, che sono a sinistra, se accetto il metodo democratico e la libertà come mezzo e fine. Ed io ti rispondo, senza riserve mentali che li accetto. Ma tu li accetti nella forma, io nella forma e nella sostanza. Ho cioè coscienza che non c’è né democrazia né libertà politica se non preceduta e accompagnata dalla liberazione del cittadino dall’oppressione e dal bisogno”. (Ibidem, pag. 241).

Non vi è sintesi migliore di queste parole per descrivere quello che avrebbe dovuto essere “Giustizia e Libertà” secondo Lussu e quello che significava per lui essere a sinistra anche dal punto di vista psicologico e antropologico.

Lussu un senzapartito, un terzaforzista, un profeta disarmato, proprio lui che aveva scritto un manuale sulla insurrezione e che auspicava una insurrezione armata contro il fascismo dove il primo fuoco avrebbe dovuto accendersi in Sardegna?

Credo che molti siano stati sviati dalle affermazioni di Lussu sul PCI. Pur non essendo mai stato comunista, pur avendo avuto tantissime polemiche con il PCI egli lo riteneva indispensabile per una lotta comune delle sinistre. Credo che molti siano stati sviati dall’altra affermazione di Lussu per cui o si era alleati della DC o si era contro e tertium non datur. Come si può pensare a Lussu profeta disarmato o arruolato in coloro che erano alla ricerca di uno spazio per la costruzione di una terza forza? Se per terza forza si intende un raggruppamento equidistante dalla DC e dal PCI e che si pone in una posizione di centro, Lussu non ha nulla a che fare con tutto ciò. Ma se per terza forza si intende la costruzione di un partito di sinistra, laico, libertario, federalista, autonomo dal PCI, allora Lussu ha molto a che fare con tutto ciò. Gran parte della sua esistenza è stata votata ai tentativi di fondare, costruire o ricostruire un tale partito. La sua inquietudine teorica, la sua insoddisfazione, il suo isolamento finale, che fanno pensare ad un senzapartito, ne sono una lampante testimonianza. E sotto questa ottica andrebbero riletti alcuni dei suoi scritti, molte delle sue scelte. E non lasciamoci ingannare dalle apparenze: fu profeta disarmato anch’egli, come Rossi, Salvemini, Pannunzio, Calamandrei. Profeti disarmati di grande attualità.

In piccolo l’esperienza di Lussu, la sua inquietudine, la sua infinita ricerca e insoddisfazione, mi fanno ricordare i miei percorsi autobiografici: non trovare mai una completa rappresentanza in un partito, seguire percorsi eterodossi, tentare di inventarsi strade nuove sapendo che l’unica coerenza possibile, l’unica costante psicologica e antropologica era quella di essere a sinistra. Allora come oggi. Quando il partito auspicato da Lussu, socialista, laico, libertario e federalista, in Italia, non è ancora nato. E, forse, mai nascerà.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
   
 
 
 

 

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