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Emilio Lussu - "Sardegna, Ebrei e «razza italiana»"

Giustizia e Libertà, 21 ottobre 1938

Le Journal des Débats pubblica, tra il serio ed il faceto, uno scritto in cui si attribuisce a Mussolini il proposito di relegare in Sardegna tutti gli ebrei italiani. Con i tempi che corrono, queste cose vanno prese sempre sul serio. Come sardo, nato in Sardegna e rappresentante di sardi, io mi considero direttamente interessato.

Il decalogo della razza bandisce non solo gli ebrei, ma anche i sardi dalla « razza italiana ». È quindi logico che il regime abbini la nostra sorte.

Il comandamento IV del decalogo dice: « La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra Penisola ». Siccome la Sardegna non fa parte della Penisola ma è un'isola, l'affermazione suesposta non tocca i sardi né punto né poco.

Nel comandamento V è detto: « Per l'Italia nelle sue grandi linee la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa». Che s'intende qui per Italia? Italia peninsulare, come afferma il comandamento IV, oppure Italia in generale e quindi anche insulare? Nel primo caso, ogni discussione è oziosa. Nel secondo caso, la Sardegna è rimasta razzialmente quella che era mille anni fa: non ariana.

Secondo il decalogo, pertanto, i sardi non sono mai stati e non sono di razza ariana.

 

 

 

Propaganda nazista: 

"I Giudei sono la nostra calamità!"

Questa conclusione, che è la conclusione logica ricavata dal manifesto razzistico, deve essere giudicata offensiva da quei pionieri della scienza antropologica ed etnografica che, essendo sardi di pura e incontaminata razza sarda, hanno redatto o firmato il documento, scientificamente convinti di appartenere alla razza ariana. È il caso del prof. L. Busincu, firmatario del manifesto, e dei dottori Zonchello, Cao, Pintus, Maxia e Pirodda, i quali hanno dato pubblica adesione al manifesto, attraverso la lettera che il prof. Castaldi, direttore dell'Istituto di Anatomia Umana Normale presso l'Università di Cagliari, ha inviata al ministro della Cultura Popolare. E, se non faccio involontario errore, sono portato a ritenere che lo stesso professor Castaldi abbia nelle vene tre quarti di sangue sardo e solo un quarto di sangue ariano.

Vero è che il comandamento IX del decalogo introduce e, nello stesso tempo, elimina un dubbio, quando dice: « Dei semiti, che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della Patria nulla in generale è rimasto ».

Come sarebbe a dire? E la Sardegna che è? E i sardi che sono? Una volta posta la questione della razza, noi sardi vogliamo andare fino in fondo. Noi non l'avremmo posta per primi, ma tant'è: poiché ci siamo, ci vogliamo stare. È tempo che anche noi sardi ci proclamiamo francamente razzisti.

Dei semiti, in Sardegna è rimasto parecchio, e in generale e in particolare. Noi ci teniamo e non molliamo d'un millimetro, dovessimo tutti farci misurare l'indice cefalico da una commissione speciale della Società delle Nazioni.

Noi abbiamo il diritto di chiamarci semitici, allo stesso modo con cui gli italiani della Penisola si dichiarano ariani. Che fa il prof. Taramelli [1], diventato senatore del regno per meriti scientifici e fascisti? Non parla? E che ha egli mai fatto, in quarant'anni, se non rigirarci, noi sardi, da tutte le parti e ritrovarci tutti semitici? E che eravamo noi fino alla seconda guerra punica? L'eroe nazionale sardo della resistenza a Roma, Amsicora, era un sardo-cartaginese, semitico al cento per cento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Hitler e Mussolini, 

il "patto d'acciaio" delle leggi razziali

Roma repubblicana e imperiale ci ha fatto a pezzi, proprio come fa adesso Roma fascista, ma noi restiamo sempre quello che siamo: semitici. Noi ci riconosciamo tutti fra di noi, in qualunque parte del mondo ci troviamo: a Roma, a Parigi o a New York. Purché, beninteso, non vi siano arabi o ebrei. Noi non conosciamo la noia, il cui nome non esiste neppure nella nostra lingua, talmente c'è rimasto profondo il ricordo del deserto, il cui orizzonte appaga pienamente lo sguardo e i sogni d'un solitario in Arabia o in Africa. E basta una melopea cantata in Logudoro, a Bengasi o a Aden perché ci sentiamo tutti incantati e legati alla primitiva vita degli avi comuni.

E le migliaia di nuraghe, monumenti di una gran civiltà sarda preistorica, che coronano ancora i punti strategici dell'isola, nemmeno il decalogo razzista potrebbe attribuirle ad ariani. Chi erano i loro costruttori? Invasori scandinavi o guerrieri del Sud mediterraneo?

Civiltà ariana passi (anche gli ebrei italiani sono a civiltà ariana), ma non razza ariana. Ohibò! il solo nome ci irrita e può trascinarci ai più gravi eccessi.

Sulle nostre terre non sono passati né cimbri né teutoni, né germani né celti, né goti o visigoti, né longobardi né franchi, né normanni né tedeschi né austriaci. Neppure greci, se non quelli dell'Impero bizantino, e solo burocrati che non avevano sufficiente fortuna per comprarsi una carica a Bisanzio. E i Vandali vi han fatto un'apparizione fugace, senza neppure aver avuto il tempo di consumarvi un paio di sandali.

Pisani e genovesi, che hanno scorrazzato per la Corsica in lungo e in largo, in Sardegna non hanno mai avuto fissa dimora, paghi di vendere le loro mercanzie sulla costa, senza confondersi con gli abitanti. I pochi castelli pisani sembra fossero stati appositamente preparati da furieri di alloggio aragonesi. Aragonesi e spagnoli vi hanno vissuto da feudatari, con pochi armati, sempre paventando agguati e imboscate, importando tutto dalla madre-patria, uomini e spose. In due secoli di vita comune con il Piemonte e con l'Italia ariani, sono stati celebrati in Sardegna matrimoni misti meno di quanto se ne possano combinare in un anno a Torino o a Genova.

Noi siamo rimasti semitici.

Basta un nonnulla per commuoverci, semiticamente, e a far parlare in noi la voce del sangue. Il racconto della distruzione di Cartagine ci stringe il cuore come la notizia di un disastro familiare recente. E non v'è un sardo dabbene che, leggendo Virgilio, non si intenerisca per la dolce bontà con cui la nostra Didone, semitica, accolse ospitale quel furfante e vagabondo di Enea, ariano. E non senta odio per l'avventuriero fedifrago che, abbandonata la generosa regina, ebbe dagli dèi non pene ma premi. I figli di Enea compensano bene i doni della pia regina...

Noi reclamiamo rispetto per i nostri padri e per il nostro sangue.

Fino al decalogo razzistico del luglio scorso, di scienziati che abbiano messo in dubbio la nostra origine semitica ve ne è stato uno solo: il prof. Lidio Cipriani, docente di Antropologia all'Università di Firenze. Egli ha sostenuto la nostra origine mongolica. I sardi altro non sarebbero che i resti di un popolo mongolico, disperso da invasori implacabili, e di cui non si trovano tracce, oltre che in Sardegna, che in una parte staccata del Giappone del Nord. La distanza è un po' forte, come ognuno può controllare sulla carta geografica.

Speravamo che il prof. Cipriani correggesse le sue congetture e ci imparentasse con i cinesi, che di giapponesi non vogliamo sentire parlare; ma quando lo abbiamo visto, improvvisamente, in testa ai firmatari del decalogo razzistico, ci son sorti nuovi dubbi sull'essenza della sua autorità scientifica.

Possiamo pertanto considerare chiuso il breve incidente mongolico e ritenerci ancora semitici puri.

Così stando le cose, è troppo giusto che gli ebrei italiani vengano a finire in Sardegna: essi sono i nostri più prossimi congiunti. Per conto nostro, noi non sentiamo che pura gioia. Essi saranno accolti da fratelli. La famiglia semitica uscirà rafforzata da questa nuova fusione. Semitici con semitici, ariani con ariani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Propaganda fascista antiebraica, da una copertina del periodico 

La difesa della Razza

Mussolini va lodato per tale iniziativa. Anche perché rivela, verso noi sardi, un mutato atteggiamento.

Nel 1930, davanti a un giornalista e uomo politico francese che gli aveva fatto visita, pronunziò parole e propositi ostili contro l'isola fascisticamente malfida, e affermò che avrebbe distrutto la nostra razza, colonizzandoci con migliaia di famiglie importate da altre regioni d'Italia. Egli mantenne la parola e popolò le bonifiche sarde di migliaia di romagnoli e di emiliani.

Ma, a difesa della razza sarda, vigilavano impavide le zanzare, di pura razza semitica. L'immigrazione ariana è stata devastata dalla malaria e ora non ne rimane in piedi che qualche raro esemplare superstite.

Con gli ebrei, sarà un'altra questione. Essi saranno i benvenuti per noi e per le zanzare fedeli, le quali saranno, con loro, miti e discrete come lo sono con noi.

Sardi ed ebrei c'intenderemo in un attimo. Come ci eravamo intesi con gli ebrei che l'imperatore Tiberio aveva relegato nell'isola e che Filippo II di Spagna scacciò in massa. Quello fu un gran lutto per noi.

Ben vengano ora, aumentati di numero. Che razza magnifica uscirà dall'incrocio dei due rami!

Per quanto federalista e autonomista, io sono per la fusione dei sardi e degli ebrei. In Sardegna, niente patti federali. I matrimoni misti si faranno spontanei e la Sardegna sarà messa in comune. E quando saremo ben cementati, chiederemo che ci sia concesso il diritto di disporre della nostra sorte. L'Europa non vorrà negare a noi quanto è stato accordato ai Sudeti. Una Repubblica Sarda indipendente sarà la consacrazione di questo nuovo stato di fatto. Il presidente, almeno il primo, mi pare giusto debba essere un sardo, ma il vice-presidente dovrà essere un ebreo. Modigliani può contare sul nostro appoggio che gli sarà dato lealmente. Penso che dovremmo respingere la garanzia delle grandi potenze mediterranee e svilupparci e difenderci da noi stessi. Se gli ebrei d'Europa e d'America vorranno accordarci la decima parte di quanto hanno speso in Palestina, è certo che la Sardegna diventerà, in cinquant'anni, una delle regioni più ricche e deliziose del mondo, la cui cultura non avrà riscontro che in poche nazioni avanzate.

Ciò non toglie che i nostri rapporti non possano essere buoni, inizialmente, anche con l'Italia ariana; ma, da pari a pari. Vi sarà uno scambio di prodotti, e noi potremo, data la ricchezza delle nostre saline, rifornire l'Italia ariana, specie di sale, che ne ha tanto bisogno.

Naturalmente, non accoglieremo tutti gli ebrei italiani. Ve ne sono parecchi che, per noi, valgono gli ariani autentici. Il prof. Del Vecchio [2], per esempio, noi non lo vogliamo. E vi saranno parecchi ariani di razza italica che noi terremo a fare semitici onorari. Problemi tutti che risolveremo presto e facilmente.

V’è la questione del re-imperatore che, come si sa, ha fatto la sua fortuna come re di Sardegna. Si ha l'impressione che il decalogo razzistico sia stato compilato anche per lui. Non esiste infatti nessuna famiglia, in Italia, meno italiana della famiglia reale: essa non appartiene più alla razza italica pura. Di origine gallica, i matrimoni misti l'hanno corrotta a tal punto che il sangue straniero vi è in predominio palese. E il principe ereditario, figlio di una montenegrina, è sposato con una belga-tedesca; una principessa con un tedesco, e un'altra con uno slavo-bulgaro. Ariani ma non italiani. La futura repubblica sarda sarà magnanima anche col re di Sardegna. Lo accolse l'isola, fuggiasco dall'invasione giacobina, lo accoglierà ancora una volta, profugo dal dominio ariano-italico. L'isola dell'Asinara gli sarà concessa in usufrutto fino all'ultimo dei suoi discendenti. E potrà tenervi corte, liberamente, a suo piacere.

 

 

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Scritte razziste ai nostri giorni

Ci sia concesso ora dare uno sguardo all'avvenire, sì ricco di promesse, in mezzo a tanti disastri presenti. Noi vediamo già gli ebreo-sardi dominare il Mediterraneo: una talassocrazia di scelta razza semitica, sui solchi delle vele fenicee. Dopo Mosè, Giosuè e i Maccabei, gli ebrei non conobbero glorie militari. Ma la Sardegna è una stirpe guerriera. Dalla fusione, scaturirà un popolo scientificamente audace, che non avrà nulla da invidiare ai figli di Romolo e ai granatieri di Pomerania. Sarà l'ora dei Vichinghi del Sud. Sarà l'ora dell'arrembaggio. E verrà la resa dei conti. La razza ariana-italica avrà parecchie gatte da pelare con noi. Dalla Sardegna, partirà la crociata per la riconquista dell'Italia perduta.

E sarà una crociata con la croce. Cristo era ebreo, e la critica storica non da per certo che fossero ebrei i suoi persecutori. Giuda pare fosse un levantino, ariano dunque, fuggito in Palestina per debiti. Chi trascinò Cristo al patibolo non fu re Erode, semitico, ma il proconsole romano, ariano. Erode comandava in Galilea, come oggi il bey comanda a Tunisi. Il destino pose fino da allora l'antagonismo, che è universale, fra Cesare ariano e Cristo semitico. Questo è il senso dell'opposizione fra razza ariana e razza semitica. Nel conflitto, chiusi gli occhi su inezie e quisquilie, noi siamo per Cristo.

Crociata con la croce dunque. Croce solida e dritta, non ritorta come lo scorpione della croce gammata. Croce, impugnata come una spada. E giù botte da orbo.

Note:

[1] 1 L'archeologo Antonio Taramelli; (n. Udine, 1868), dal 1903 al 1935 direttore dell'Ufficio delle Antichità in Sardegna, fu nella prima metà del '900 autore di scoperte fondamentali per la conoscenza della Sardegna preistorica, nuragica e fenicio-punica.

[2] «Giorgio Del Vecchio, juif converti, avait obtenu la piace de " recteur magnifique " de l'Université de Rome pour avoir été le seul professeur inscrit au Fascio avant la marche sur Rome», La tribu universitaire, in « GL », 16 settembre 1938. Su di lui, cfr. anche R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, prefazione di D. Cantimori, 1972, p. 97.

Il testo è tratto da: 

Emilio Lussu, Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di «Giustizia e Libertà», a cura di Manlio Brigaglia, Sassari, Editrice Libreria Dessì, 1979.

Per approfondire:

Mauro Perani, "Le testimonianze archeologiche sugli ebrei in Sardegna", su morashà.it -- il portale dell'ebraismo italiano in rete.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 

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