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Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli
 

 

Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 ICI Edizioni

 Istituto Italiano di Cultura di Napoli
Ente di rilievo della Regione Campania, riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali
via Bernardo Cavallino, 89; 80131 Napoli

in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura
dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli “Nuove Lettere”

Collane editoriali: Lo specchio oscuro (poesia), diretta da Roberto Pasanisi; Nugae (poesia in plaquette), diretta da Roberto Pasanisi; La bellezza (narrativa), già diretta da Giorgio Saviane; Lettere Italiane  (saggistica letteraria), già diretta da Franco Fortini

Comitato di lettura delle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli: Alberto Bevilacqua (scrittore), Constantin Frosin (professore, Lingua e Letteratura francese, Università “Danubius”, Galati; scrittore), Antonio Illiano (professore ordinario, Lingua e Letteratura italiana, University of North Carolina at Chapel Hill), Roberto Pasanisi (direttore, Istituto Italiano di Cultura di Napoli; direttore, “Nuove Lettere”; rettore, Libero Istituto Universitario Per Stranieri “Francesco De Sanctis”, LIUPS; scrittore), Maria Luisa Spaziani (già professore ordinario, Lingua e Letteratura francese, Università di Messina; scrittrice), Mario Susko (professore, Letteratura americana, State University of New York, Nassau; scrittore), Násos Vaghenás (professore ordinario, Teoria e critica letteraria, Università di Atene; scrittore), Nguyen Van Hoan (professore ordinario, Letteratura italiana e Letteratura vietnamita, Università di Hanoi)

 

 

 



L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere”, pubblica quattro collane editoriali: due di poesia (entrambe dirette da Roberto Pasanisi: una intitolata Lo specchio oscuro, l’altra — di plaquette — intitolata Nugae), una di narrativa (già diretta da Giorgio Saviane e intitolata La bellezza) ed una di saggistica letteraria (già diretta da Franco Fortini ed intitolata Lettere Italiane).


I testi, in qualunque lingua, proposti per la pubblicazione dovranno essere inviati, chiaramente dattiloscritti, in due copie ed accompagnàti da una dettagliata Nota bio-bibliografica sull’autore (completa di luogo, giorno, mese e anno di nascita), al seguente indirizzo:


Istituto Italiano di Cultura
via Bernardo Cavallino, 89
80131 Napoli (Italia)

Essi saranno vagliati da un Comitato di lettura costituito dai Redattori di “Nuove Lettere”: Alberto Bevilacqua, Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi, Maria Luisa Spaziani, Mario Susko, Násos Vaghenás e Nguyen Van Hoan.


L’Istituto Italiano di Cultura si impegna a fornire una risposta agli autori in tempi brevi.


La pubblicazione in volume del testo proposto, in caso di parere favorevole del Comitato di lettura, sarà a spese dell’Istituto, che si impegna altresì a sostenere l’opera con un’adeguata campagna pubblicitaria, a curarne la diffusione per posta fra gli ‘addetti ai lavori’ (critici, giornalisti, scrittori, ecc.) e fra i suoi soci (2.100 in tutto il mondo, fra cui molti artisti e letterati famosi), che lo riceveranno automaticamente in quanto compreso nella ‘quota associativa’; nonché a proporlo per una recensione alle principali riviste del settore. S’intende che uno dei canali a disposizione dell’Istituto sarà costituito da “Nuove Lettere”.


Il volume sarà edito in elegante veste editoriale e tirato in 3.000 copie.


L’autore potrà, a scelta, far precedere il suo testo da una Prefazione da lui stesso proposta o richiederne una all’Istituto, che provvederà ad affidarla ad uno dei componenti del Comitato di lettura.
Per ulteriori informazioni è possibile telefonare al numero 081 / 546 16 62 od inviare un fax al numero 081 / 220 30 22; oppure telefonare al numero 0339 / 285 82 43 od inviare un messaggio elettronico a
iciedizioni@istitalianodicultura.org.

 

 

 

                                                                        

 

                                          

 

Alcuni volumi pubblicati nelle collane delle Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

 

 


 

ITALIAN CULTURE INSTITUTE PUBLISHERS

ICI PUBLISHERS

Prominent Organization
in the Campania Region
recognized by the Ministry of Culture

NUOVE LETTERE

international review of poetry and literature

 

The ITALIAN INSTITUTE OF CULTURE IN NAPLES in collaboration with the international review of poetry and literature Nuove Lettere publishes four collections: two of poetry (both edited by Roberto Pasanisi: one entitled Lo specchio oscuro, the other one Nugae), one of fiction (formerly edited by Giorgio Saviane and entitled La bellezza) and one of literary essays (formerly edited by Franco Fortini and entitled Lettere Italiane).

The texts, in whichever language, suggested for the publication must be sent, clearly typewritten, in two copies and followed by a detailed bio-bibliographical sketch (complete with place, day, month and year of birth) to the following address:

Istituto Italiano di Cultura; via Bernardo Cavallino, 89; 80131, Naples (Italy). 

They will be examined by a reading Committee set up by the editors of Nuove Lettere: Alberto Bevilacqua, Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi, Maria Luisa Spaziani, Mario Susko, Násos Vaghenás and Nguyen Van Hoan.

The ITALIAN INSTITUTE OF CULTURE IN NAPLES undertakes to give an answer to the authors in short times.

The publication as volume of the suggested text, in case of favourable opinion of the reading Committee, will be at the expenses of the Institute, that, besides, undertakes to support the work through a proper advertising campaign, to run its diffusion by post among “those in the know” (critics, journalists, writers, etc…) and its members (2.100 all over the world, among them many famous artists and scholars), who will automatically get it as it is included in the ‘membership fee’; and to suggest for a review to the main reviews of the area as well. One of the channels at disposal of the Institute will be represented by Nuove Lettere, of course.

The volume will be edited in elegant layout and printed in 3.000 copies. The author will be able, at his choice, to make his text preceded by a Foreword suggested by himself or ask another one to the Institute which will take steps to entrust one of the members of the reading committee with that.

For further information:

telephone number: 0039 081 5461662;

fax: 0039 081 2203022;

mobile phone: 0039 339 285 82 43;

e.mail: iciedizioni@istitalianodicultura.org

 

 

 

Consulenze editoriali e letterarie (Publishing and Literary Consultings)

Consulenze editoriali e letterarie a richiesta, gratuite per i ‘soci benemeriti’ dell'Istituto
Publishing and Literary Consultings on demand, free for ‘meritorious members’ of the Institute
 
consulenze@istitalianodicultura.org

 

 


LO SPECCHIO OSCURO

Collana di poesia
dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli
diretta da Roberto Pasanisi

prezzo: una ‘quota associativa’ di € 25 per ciascun volume, specificando la causale
price: a 25 US$ membership fee a book


Rosa Menna, Dentro e fuori (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Pascol Colletti, Ieri oggi domani (Prefazione di Antonio D’Elia)
Reinat Toscano, Certe mie rime (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Maria Rosaria Luongo, Animale metropolitano (Prefazione di
Roberto Pasanisi)
Lisa Carducci, Viaggiando... (Prefazione di Gerardo Salvadori)
Brandisio Andolfi, Aprire la finestra (Prefazione di Claudio Fantozzi)
Vittoria Bartocci Salvato, Icocedron (Prefazioni di Ferdinando Castelli e Roberto Pasanisi)
Roberto Pasanisi, Sulla rotta di Magellano (Prefazione di Giorgio Barberi Squarotti)
Ermanno Lombardo, I diritti del sole (Prefazione di Josyanne Cotena)
Massimo Luongo, Fiori di fumo (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Maria Teresa Gomez, Talenti (Prefazione di Pasquale Brucci)
Carlo Lettera, Undicesimo grado scala Richter (Prefazione di Pasquale Brucci)
Salvatore Cangiani, Brividi e fuochi (Prefazione di Francesco D’Episcopo)
Bruno Vitiello, Condannato a vivere (Prefazione di Pasquale Brucci)
Caterina Camporesi, Agli strali del silenzio (Prefazione di Piero Cervetti)
Maurizio Albarano, Giorno per giorno (Prefazione di Pasquale Brucci)
Cesare Maria Domenico Ranieri, L'occhio osceno del folle. Genos (Prefazione di Maria Peruzzini)
Filippo Silvestri, L’uomo che arava il mare (Prefazione di Anna Maria Vanalesti)
Cesare Maria Domenico Ranieri, L'occhio osceno del folle. Aides (Prefazione di Maria Peruzzini; con una nota Editoriale di Roberto Pasanisi)
Maria Rossi Spillantini, Coriandoli 2000 (Prefazione di Maria Peruzzini) 
Rita Minniti, Nei vicoli di un’anima (Prefazione di Maria Peruzzini) 
Alberto Ricci, Fin qui una lunga traccia (Prefazione di Maria Peruzzini; disegni di Claudio Secciani)
Cesare Maria Domenico Ranieri, Poesie (1980-2001) (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Luciana Tagle, Teatro d’ombre (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Antonietta Benagiano, Dove il mirto… (Prefazione di Maria Peruzzini )
Maria Rossi Spillantini, Pensieri (Prefazione di Tiziana Ciasullo)
Marco Saya, Raccontarsi (Prefazione di Tiziana Ciasullo)  
Mario Susko, Madri, scarpe ed altre canzoni mortali (Prefazione e traduzione di Roberto Pasanisi)
Cesare Maria Domenico Ranieri, L’occhio osceno del folle. Maza (1988-2000) (Prefazione di Maria Peruzzini)
Giuliana Gaggiotti, Il volo della farfalla. Omaggio ai Grandi Napoletani (Prefazione di Norma Hipperdinger e Maria Peruzzini)
Natalizia Pinto, Il tempo in cornice (Prefazione di Maria Marcone; con una poesia di Roberto Pasanisi)
Bruno Vitiello, Ragazze, bambini e ragazzi (Prefazione di Isabella Broggi)

 



Copyright Istituto Italiano di Cultura di Napoli (I.C.I.)

Progetto grafico, copertina e logotipo dell’I.C.I.: Delia Chiaradia

Proprietà letteraria ed artistica riservata
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o
parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
I volumi sono stampati con il contributo della Regione
Campania (Assessorato Pubblica Istruzione, Cultura, Ricerca
Scientifica)

 

 

 

NUGAE

Collana di poesia in plaquette
dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli
diretta da Roberto Pasanisi

prezzo: una ‘quota associativa’ di € 15 per ciascun volume, specificando la causale
price: a 15 US$ membership fee a book


Gerri Macarettino, Manu (con una poesia di Manuela Pagani)
Carlangelo Mauro, In Margine (disegni di Ciccio Capasso)
Filò, Il deserto vivibile (con un disegno su carta di Felix Policastro) (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Lilia Baffo, Canzoniere (poesie erotiche con una Nota dell'editore)
Alberto Gatti, Esperimenti incatenati (con un disegno elettronico di Roberto Pasanisi, Il senso della vita) (Prefazione di Sergio Givone, Postfazione di Luciano Nanni)



Esperimenti incatenati, Prefato dal
filosofo Sergio Givone, professore
di Estetica all'Università di Firenze

 

 

Copyright Istituto Italiano di Cultura di Napoli (I.C.I.)

Progetto grafico, copertina e logotipo dell’I.C.I.: Felix Policastro, Roberto Pasanisi et alii

Proprietà letteraria ed artistica riservata
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o
parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
I volumi sono stati stampati con il contributo della Regione
Campania (Assessorato Pubblica Istruzione, Cultura, Ricerca
Scientifica)

 

 

 

LA BELLEZZA

Collana di narrativa
dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli
già diretta da Giorgio Saviane

prezzo: una ‘quota associativa’ di € 25 per ciascun volume, specificando la causale
price: a 25 US$ membership fee a book



Mariano di Sandro, Mine e Passioni (Prefazione di Mario Caruso)
Filò, Magadhi (Prefazione di Franco Trifuoggi)
Vittorio Gennarini, Letteratura e sociatà da Euripide a Pier Paolo Pasolini
Rosa Berti Sabbieti, Un coro a più voci (Prefazione di Roberto Pasanisi)
Sandra Di Segni, In cammino. Sette racconti brevi (Prefazione di Fortuna Cuomo)
Grazia Ferrara, About me and about (Prefazione di Maria Peruzzini)
Gianni Bartocci, L’acchiappafantasmi (Prefazione di Fortuna Cuomo)
Pier Giuseppe Cavalli, Elogio della vita sognata (Prefazione di Manuela Marmi)
Luca Giambonino, Racconti irreali (Prefazione di Antonella Tretola)
Norina Serpente Berritto, Nel giardino del tempo (Prefazione di Roberto Pasanisi; disegni di Carmencita Leonardi)
Gae Sicari Ruffo, Là dove l’ombra muore (Prefazione di Gigliola di Luccio)
Luciano Rossi, L'odore dei libri (Prefazione di Ernesto L'Arab)
Gianni Bartocci, A Toronto, una domenica di novembre (16 racconti) (Prefazione di Ernesto L'Arab)
Cordula Gigon, Il Centurione (Prefazione di Ernesto L’Arab)
Vittorio Cavini, Michelle (Il respiro dei baobab) (Prefazione di Giacomo Barbi)
Cesare Maria Domenico Ranieri, Il caos e la paura (Autoprefazione di Cesare Ranieri)
Antonietta Benagiano, Fermare il tempo (Prefazione di Gaetana Rogato; Postfazione di Roberto Pasanisi)
Cesare Maria Domenico Ranieri, Barkelet il mostro – La morte che non trova. Due commedie (Autoprefazione di Cesare Ranieri)



Copyright Istituto Italiano di Cultura di Napoli (I.C.I.)

Progetto grafico, copertina e logotipo dell’I.C.I.: Delia Chiaradia

Proprietà letteraria ed artistica riservata
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o
parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
I volumi sono stati stampati con il contributo della Regione
Campania (Assessorato Pubblica Istruzione, Cultura, Ricerca
Scientifica)

 

 

 

LETTERE ITALIANE

Collana di saggistica
dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli
già diretta da Franco Fortini

prezzo: una ‘quota associativa’ di € 25 per ciascun volume, specificando la causale
price: a 25 US$ membership fee a book




Franco Trifuoggi, Lettura delle lirica tursitana di Albino Pierro (Prefazione di Gennaro Savarese - Nota di Maria Rita Pierro)
Olimpia Jannel Della Valle - Tiziana Guerriero Varvesi, Guido e Paolo Della Valle, due ragazzi di fine Ottocento (Prefazione di Tiziana Guerriero Varvesi)
Steven Carter, Yes and No. The Meaning of Suffering in a Looking Glass Universe (Prefazione di Franca Gerli)

 

 

Copyright Istituto Italiano di Cultura di Napoli (I.C.I.)

Progetto grafico, copertina e logotipo dell’I.C.I.: Delia Chiaradia

Proprietà letteraria ed artistica riservata
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o
parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
Questo volume è stato stampato con il contributo della Regione
Campania (Assessorato Pubblica Istruzione, Cultura, Ricerca
Scientifica)

 

 

 

 

 

FUORI  COLLANA

 

A.G. Jreneus (Antonio Giorgio)
Sinai e Golgota
(Prefazione di Giuliano Minichiello)

 

‘900 e oltre. Inediti italiani di poesia contemporanea
a cura di Roberto Pasanisi e Gerardo Salvadori

 

 

A cura di Roberto Pasanisi (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) e Gerardo Salvadori (Istituto Italiano di Cultura di Napoli)
Prefazione di Pompeo Giannantonio (Università di Napoli “Federico II”) - Nota di Roberto Pasanisi - Postfazione di Gerardo Salvadori

 





Copyright Istituto Italiano di Cultura di Napoli (I.C.I.)

Progetto grafico, copertina e logotipo dell’I.C.I.: Roberto Pasanisi

Proprietà letteraria ed artistica riservata
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o
parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie
fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
Questo volume è stato stampato con il contributo della Regione
Campania (Assessorato Pubblica Istruzione, Cultura, Ricerca
Scientifica)

 

 

 

 

English - how is it that the Mafia “invests” by giving away drugs outside schools and publishers don’t do the same with books?
Italian - come mai la mafia 'investe' regalando droga davanti alle scuole e gli editori non fanno lo stesso con i libri?
Spanish - ¿por qué si la mafia "invierte" regalando droga en la puerta de las escuelas, los editores no hacen lo mismo con los libros?
French - comment expliquer, si la mafia "investit" en distribuant de la drogue à la sortie des écoles, que les maisons d'édition ne fassent pas de même avec les ivres?
Portuguese - por que se a mafia investe presenteando drogas na frente das escolas, os editores não fazem o mesmo com os livros?
Brazilian Portuguese - se a mafia "investe" distribuindo drogas na porta das escolas, por que será que as editoras não fazem o mesmo com os livros?
German - wie kommt es nur, dass die Mafia in den Drogenhandel vor Schulen "investiert", während die Verleger noch nicht auf die Idee gekommen sind, dasselbe mit ihren Büchern zu tun?
Hungarian - hogy van az, hogy a maffia az iskolák elott drogot osztogatva végez "befektetést", a kiadók pedig nem teszik ugyanezt a könyvekkel?
Basque - mafiak ikastetxeetako ateetan droga oparituz inbertitzen badu, zergatik ez dute argitaratzaileek gauza bera egiten liburuekin?
Croatian - kako to da mafija "ulaže" poklanjajuci drogu ispred škola a izdavaci ne uspjevaju da rade isto sa knjigama
Czech - jak to, že mafie "investuje" tak, že pøed školami rozdává drogy, a vydavatelé nedìlají s knížkami totéž?
Dutch     - hoe komt het dat drugshandelaars in hun product investeren door het aan de schoolpoorten uit te delen en dat uitgevers niet hetzelfde doen met boeken?
Latvian; Lettish - ka tas nakas, ka mafija ‘investe’, arpus skolam izdalot narkotikas, bet izdeveji to pašu nedara ar gramatam?
Polish - jak to jest, ze Mafia “inwestuje” rozprowadzajac narkotyki w poblizu szkól, a wydawcy nie robia tego samego ze swoimi ksiazkami?
Romanian - de ce oare mafia “investeste” daruind droguri în fata scolilor, iar editorii nu fac acelasi lucru cu cartile?
Slovak - ako to, ze mafia "investuje" tým, ze daruje drogy pred školami a vydavatelia nerobia to isté s knihami?
Venetian - come mai la mafia investe regalando droga davanti alle scuole e i editori no i fa lo stesso co i libri?
Sicilian - picchì 'a mafia "investi" rigalannu droga davanti 'e scoli, e l'editori non fannu 'a stissa cosa ch' i libri?

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All languages, please click on
this link http://www.rol.it/owa-k/press.frasiproc.carica?code=196
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Verba volant (c) Reporters Online www.rol.it
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ICI Edizioni: i volumi

 

 

Gianni Bartocci, A Toronto, una domenica di novembre, Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

 

Das kabinett des Dr. Bartocci

Prefazione 
“Nessun vero artista scrive per simboli; ma ogni vera opera d’ arte esprime una (si esprime attraverso una) dimensione simbolica”. Così, Edmund Wilson. Potremmo applicare le parole del grande critico americano alle prose che Gianni Bartocci ha raccolto in questo volume.

I personaggi, accennati con pochi, rapidi tocchi, hanno scarse connotazioni realistiche. Conta l’ atmosfera, contano gli ambienti e la ‘fabula’, la stessa vicenda narrata, nel cui tessuto, al contrario, spiccano frammenti descrittivi di un iperrealismo allucinatorio, onirico.

Bartocci decostruisce la realtà; la notomizza e ne fa l’ anamnesi con scientifico spirito di osservazione; ma il risultato è quello surreale di un quadro di Magritte.

Lacerti del quotidiano; oggetti usuali, riprodotti con maniacale precisione acquisiscono, disancorati da riconoscibili coordinate spazio-temporali, significati  nuovi ed inquietanti.

Si è detto di Magritte; pure, ci sembra cogliere, nell’ opera di Bartocci, esiti consonanti con l’ Espressionismo europeo. Le zoomate con le quali l’ io narrante si sofferma a descrivere la casa  della bella Fastrada, nel racconto omonimo, trascorrono dal teleobbiettivo al grandangolo ‘spinto’, riproducendo con una voluta distorsione ottica gli oggetti canonici del salotto - i feticci della ‘normalità’ borghese- come è dato vedere nei film di Wiene.[1] L’ effetto è quantomai inquietante ed anticipa –perfetta, espressionistica corrispondenza fra stile e contenuto- l’ abisso di alienazione e di demenza che Edmondo, innamorato di Fastrada, scoprirà dietro quell’ apparente, scenografica normalità.

Si sente, in alcuni racconti, specie in quelli brevi, come «Sogni» -la brevità, il ‘frammentismo’ sono caratteristici, si sa, degli autori ‘vociani’, influenzati, o, perlomeno, in sintonia con l’ Espressionismo tedesco -, si avverte, dicevamo, un senso di sospensione, di attesa per l’ evento o per il personaggio risolutivo e chiarificatore che, tuttavia, come il personaggio beckettiano[2], non arriva mai, segnando la condanna dei protagonisti ad un’ immobilità tormentosa.

            Grava, sui protagonisti di alcuni racconti, una condanna oscura  ed indefinita, conseguenza di una colpa anch’ essa ignota.

L’ autore raggiunge, in questi casi, risultati di kafkiana, inquietante profondità.

Ma molteplici sono le eco letterarie che risuonano nel libro. «Gengaddu» è un vero e proprio ‘conte philosophique’. Un amaro e lucidissimo apologo sugli integralismi religiosi, di ieri e di oggi, messi alla berlina con voltairiana ironia.

            L’ iperletterarietà è la cifra stilistica dello scrittore: il confronto con autori e generi i più disparati, non di rado in chiave di felice, personalissima parodìa.

«Teologia ecologica», ad esempio, ha la fulminea brevità del ‘midrash’, l’ aneddoto rabbinico che illustra le verità della Scrittura, ricorrendo all’ accostamento –un vero e proprio corto circuito razionale- sorprendente ed imprevedibile.[3]

Meraviglia –ci sia concesso dire: ‘mariniana meraviglia’- suscita anche la rielaborazione di una fiaba tratta da «Le mille e una notte». Si  tratta dell’ episodio che ha come protagonista Alì Cogià, della cui vicenda, l’ autore ricostruisce ingegnosamente episodi che gli anonimi compilatori arabi immagina abbiano taciuto.

            La letteratura di Gianni Bartocci presenta, a nostro avviso, affinità con quella corrente pittorica definita ‘post-moderna’ da Achille Bonito Oliva. Un movimento artistico sorto a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, che aveva, tra le sue peculiarità, un’ eccezionale padronanza della tecnica pittorica tradizionale, oltre alla dilezione per la ‘citazione’. L’ arte, secondo quanto teorizzato dallo stesso Bonito Oliva, mentore del gruppo di pittori, nell’ epoca della tecnica e della riproducibilità seriale, ha come suo compito primario –non esclusivo, certo, ma primario- quello di affermare, tautologicamente, che c’è, che esiste come qualcosa di diverso e di separato rispetto al tecnologico ed al riproducibile. Di qui: l’ alto magistero tecnico degli artefici ed il continuo riferimento di quest’ arte  a sé stessa; a quella gloriosa tradizione passata che è vista dai ‘citazionisti’ come iperuranico, a-storico modello di bellezza assoluta, la quale si pone come l’ altro-da sé, rispetto all’ industria culturale, produttrice di merci artistiche di facile ed immediata riproducibilità e consumo.

            Per concludere, vale la pena soffermarsi – per quanto sarà possibile fare nel breve spazio di una prefazione- sulla già citata novella: «Fastrada», la quale può essere, a nostro avviso, considerata una sorta di specimen dell’ intera raccolta.

Edmondo conosce Fastrada Zombei all’ università. Il nome di costei, impostole dal padre, ricalca quello di una figlia di Carlomagno. Il re dei Franchi è la grande passione della famiglia Zombei la quale rivive, sullo sfondo di una ordinaria –ed un po’ squallida- esistenza borghese, gli eventi grandiosi dell’ epopea carolingia. Edmondo si reca a casa Zombei, dopo avere accuratamente studiato la storia dei sovrani franchi. Scoprirà con ripugnanza che quella di casa Zombei, non è stravaganza, ma autentica follia. Il racconto, di chiara ascendenza pirandelliana[4], evidenzia il conflitto schizoide che si manifesta nell’ ‘homo tecnologicus’ –specie alla quale Edmondo appartiene. Un conflitto tra la razionalità scientifica, da un lato, la quale impedisce –Leopardi docet- che le passioni si manifestino pienamente in lui e ne smorza lo slancio vitale; ed il profondo bisogno di plenitudine emotiva ed esistenziale dall’ altro lato. Una pienezza che –sembra suggerire l’ autore- è ormai impossibile raggiungere, se non nel modo grottesco e caricaturale dell’ alienata ed infelice famiglia Zombei.

Non gli spazi dell’ Europa carolingia. Non le passioni a forti tinte sono, ormai, più alla portata dell’ ‘uomo massa’. Niente da scoprire. Più nessuna avventura da tentare, se non quella di circumnavigare, servendosi di un microscopio, le “isole di Langherans, …del pancreas! (…) : l’ arcipelago più affollato del mondo”.[5]

 

Ernesto L’ Arab


 

[1] R. Wiene, autore, nel 1919 del celebratissimo: Das kabinett des doktor Caligari, un caposaldo della cinematografia mondiale.

[2] Samuel Beckett, Waiting for Godot.

[3] Naturalmente, non escludiamo che, fra gli altri modelli dell’ italianista Bartocci, vi possano essere reminiscenze di certe novelle boccaccesche, incentrate sulla particolare felicità ed intelligenza della battuta risolutiva. Si pensi a «Chichibio e la gru», per fare un esempio.  Il novellino è un altro illustre esempio di novelle, spesso di folgorante brevità.

[4] E’ evidente il riferimento al dramma Enrico IV, considerato, tra l’ altro, uno lavori più espressionistici del drammaturgo siciliano. Si veda, in proposito:LEONE DE CASTRIS A., Storia di Pirandello, Roma-Bari, Laterza, 1971.

[5] Fastrada. Nell’ economia del racconto è importante questa duplice punto di vista: macroscopico vs microscopico.

 

 

 

Antonietta Benagiano, Dove il mirto…, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Prefazione

La poesia di Antonietta Benagiano sollecita ricordi e muove la memoria ad immagini antiche, si slarga in un linguaggio di metafore, rinvii ed echi di versi che si diramano da profondità e sapienze ancestrali  fino a raggiungere il ‘futuro’ del  nostro tempo  fitto di opache verità.

Poetessa che ricama con fili d’oro  una trina di versi  che sfugge al consumo del tempo, come nella poesia che apre la raccolta «Non si svela mai intiera Afrodite…/parto del passato è la coscienza/ sol quando è appassito il mirto/nasce volo di sogno./»

Più avanti, in altre composizioni, il fascino di parole inusitate, desuete, si distillano in gocce di versi e suoni  che si offrono quale polemos  alla miseria  dei ritmi meccanicizzati e tecnologici della società di massa, nei quali l’uomo è inghiottito e dai quali è irretito, «Nel forno ardente getti le sconfitte/che ti parevano vittorie,/….Sotterra dunque l’ascia/slaccia i calzari ferrati…».

E’ una creazione poetica i cui toni incisivi e acuti riannodano la sapienza arcaica ad una giovanile baldanza e audacia.

La hybris poetica della Benagiano lascia vividi segni, e  leggendo,  scorgiamo e scopriamo nella sua scrittura l’anima passionale di  una poetessa che nutre fermi ideali e valori che non cedono, dai quali non si discosta, e che indica al suo lettore.

I richiami della sua poesia come musicali tasselli e  camei fascinosi  lasciano preziose e emotive  suggestioni. Squarciano  e mettono a soqquadro la ‘realtà’ falsamente vera. 

La sua metafisica di poetessa, come la ‘memoria’  nelle tele di De Chirico o la ‘ripetizione’ in quelle di Morandi, si disegna in quadri che aprono lo sguardo su un orizzonte dotato di senso, la sua raison de coeur.     

Possiamo leggere questa raccolta e comprendere, come in questi versi «O Scoglio, in te m’adagio/sospende l’affanno il tuo abbraccio/mi scalda d’amore/rinasco…/» che le sue parole narrano di un mondo di  Stimmung, vitale e caloroso, e ci riportano ne Le lettere a un giovane poeta  del praghese Rilke, a pensare e sperare che : «Ci fosse dato di veder più oltre che non giunga il nostro sapere e un poco più in là dei bastioni del nostro presentimento, forse allora sopporteremmo noi le nostre tristezze con maggior fiducia che le nostre gioie.». 

 

                                                                                                                     Maria Peruzzini

 

 

 

Steven Carter, Yes and No. The Meaning of Suffering in a Looking Glass Universe, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

 

Steven Carter, professore di Inglese all’Università Statale della California di Bakersfield (USA), è nato nel 1943 a Klamath Falls, nell’Oregon. Yes and No viene pubblicato a séguito dei due Premî “Nuove Lettere” vinti dall’autore nel ’99 e nel 2000.

Education: Ph.D. in English, University of Arizona-May, 1985; M.F.A. in Creative Writing, University of Arizona-December, 1977; M.A. in English, University of Arizona-August, 1968; B.A. in English, University of California, Berkeley-June, 1967.

Teaching Experience: Professor of English, California State University, Bakersfield, 1986-present; Senior Fulbright Fellow in American Studies, Uniwersytet Marii Curie-Sklodowskiej, Lublin, Poland, fall semester, 1991-92; Lecturer in English, California State University, Bakersfield, 1985-1986; Lecturer in English, University of Arizona, 1982-85; Graduate Associate in Teaching, University of Arizona, 1973-82; Instructor of English, University of Hawaii, Honolulu, 1968-71.

Publications (Books): Leopards in the Temple: Studies in American Popular Culture, Revised and Expanded Second Edition, International Scholars Publications, l999; A Do-It-Yourself Dystopia: The Americanization of Big Brother. University; Press of America, 2000; Expecting the Barbarians and Other Essays. Foreword by Arthur J. Spring. University Press of America, forthcoming 2001; Bearing Across: Studies in Literature and Science. Foreword by Burt Kimmelman, University Press of America, forthcoming 2001. Devotions to the Text. Foreword by Edwin J. Barton. University Press of America, forthcoming 2002.

Awards: 1989 Schachterle Prize awarded by the National Society for Literature and Science to “Maximus and the Quantum of Action: Fields of Spacetime and the ‘I’ in Charles Olson’s The Maximus Poems,” as the best essay in the area of Literature and Science; Senior Fulbright Fellowship, Uniwersytet Marii Curie-Sklodowskiej, Lublin, Poland, fall semester, 1991-92; 1999 “Nuove Lettere” International Poetry and Literature Prize awarded to “Democracy and Doublethink” by the Istituto Italiano di Cultura di Napoli, Italy; 2000 “Nuove Lettere” International Poetry and Literature Prize awarded to “The Two Infinites” by the Istituto Italiano di Cultura di Napoli, Italy.

 

 

 

Prefazione

 

 Yes and No non è un libro semplice. Eppure, riesce ad essere gradevolmente comprensibile perché parla di un’esperienza comune a tutti gli uomini: l’incontro privato ed intimo con la sofferenza e la morte. Ciascun essere umano – questo suggerisce l'autore – riserva uno spazio racchiuso per il proprio dialogo con il Mistero: esperienza, questa, che segna la stessa identità umana ed ha il carattere di necessità, pur nell'impossibilità d'essere condivisa dai propri simili.

Ma Yes and No è anche un'opera che svela le difficoltà di vivere autenticamente quest’esperienza nella vita moderna, segnata dal regno del digitale e dal trionfo delle ‘protesi’ (computer, televisione, telefono) sostitutive del lavoro umano, della comunicazione reale e, dunque, della vita stessa. L'uomo moderno, chiuso in una narcisistica visione dell'universo, ritiene la Natura ‘specchio’ della sua umanità, illudendosi che niente abbia forma senza la sua esistenza. Questa la grande illusione dell'Uomo moderno.

Ecco come si apre il libro:

 

Philosophers, theologians and writers have different names for the unnameable, the mystery that appears to us in the many forms, or masks, of Nothingness. Ernest Hemingway calls it nada; Paul Tillich calls it the God above God; Leo Tolstoy simply calls it It. I prefer It. (p. 15).

 

Il mistero, irripetibile ed indescrivibile, della Morte («It»), è evocato, annunziato, poi esplorato in una molteplicità di mondi narrativi, brani di autobiografia, di critica e saggistica. Colpisce la semplicità, quasi la crudezza di quest'etichetta – un'impersonale terza persona neutra – il cui uso è suggerito dalla natura imperscrutabile del Mistero.

Al contempo autore, protagonista principale e voce narrante nella logica del testo, Carter riesce ad assumere di volta in volta il punto di vista di un filosofo, di un sociologo, dell’uomo comune. Non è un caso, dunque, che il saggio si apra con un capitolo fortemente autobiografico, in cui la voce narrante descrive i primi incontri con la morte del protagonista nella sua dimensione di bambino. Nella logica del testo, la descrizione della morte del padre prima, e della madre poi, assume un’importanza determinante: quasi a giustificare, in seguito, la ricerca da parte del personaggio adulto di una risposta ad interrogativi sorti sin dai primi anni dell’infanzia.

Di forte valore simbolico l’incontro tra Carter e il personaggio di Smokey, vagabondo che abita i boschi ed intrattiene i bambini del circondario con le sue fantastiche storie. In un contesto pittorico descritto tramite un sapiente gioco di luce-ombra, la voce narrante evoca l’opposizione vita-morte, ma anche razionalità-irrazionalità, materialità-spiritualità. Il rapporto di Smokey con Dio viene simbolicamente interrotto dalla presenza/interferenza del protagonista bambino nello spazio metaforico di un inferno (o meglio, di un vestibolo che porta all’aldilà della vita), dove Carter scopre, per un fortuito caso, la preghiera a Dio che il senzatetto aveva disegnato col gesso sulla parete di una buia galleria: «JESUS CHRIST HAVE MERCY ON MY SOUL» (p. 19).  L’involontaria e casuale intrusione del protagonista nel dialogo di un’altra persona con It gli procurerà asperrimi sensi di colpa, sollevando in tal modo un mondo di problemi irrisolti con la propria coscienza.

Quello che sta sperimentando il Carter-bambino è anche la scoperta della propria coscienza sommersa e di paure recondite e profonde: solo la fuga verso la Luce – a dire, verso la Vita stessa – gli garantirà, almeno in apparenza, la dovuta sicurezza di sé e del mondo, restituendolo al regno dei vivi. Eppure, il tunnel della Colpa e del Mistero sarà d’ora in poi sì evitato, ma sempre presente, seppur relegato nello spazio angusto del proprio subconscio. L’intero libro potrebbe rappresentare il tentativo, da parte di questo bambino ormai adulto, di non evitare più il Mistero, quanto piuttosto di indagarlo in maniera matura e consapevole, nelle sue molteplici ed affascinanti forme.

Non credo, allora, che sia un caso che la voce narrante parli anche di una delle maggiori opere shakespeariane qual è King Lear, in cui viene inscenata la tragedia della sofferenza che porta a consapevolezza. La sofferenza non sempre è elemento negativo: al contrario, può portare ad un proficuo processo di maturazione, e ad un contatto più vero con la propria reale dimensione interiore.

Come avviene per il re folle della tragedia shakespeariana, l’amore potrebbe porsi come unico rimedio alla sofferenza, ma la difficoltà di comunicare, e la sostanziale solitudine dell’Uomo di fronte al Mistero, rende difficoltoso, in definitiva impossibile, un cammino regolare insieme ai propri simili verso una costruzione di sé coerente con la propria spiritualità.

Ed ecco che una risposta alternativa a schemi mentali egoistici, consueti nell’uomo moderno, sembra ad un tratto provenire da uno dei personaggi del libro. Si tratta del campione di tennis Arthur Ashe, colpito dall’AIDS a causa di una trasfusione: un uomo che aveva raggiunto le alte sfere nell’immaginario collettivo come rappresentante di un’ideologia terrena, celebrato nel mondo dei vivi come eroe positivo, che inaspettatamente diviene interprete di un’ideologia tutt’altro che individualistica. Carter ricorda l’episodio in cui, nel corso di un’intervista, un giornalista aveva domandato all’atleta se si fosse mai chiesto perché questa disgrazia fosse capitata proprio a lui.

 

When a reporter asked the dying athlete if he ever wondered Why me? Ashe replied that because he was hardly the only person in the world in such dire straits at that particular moment in time, the proper response was, Why not me? Ashe’s was a magnificent bearing witness that few men and women born and bred in a narcissistic culture such ours would appear capable of. (p.65)

 

La risposta dell’atleta appare straordinariamente rivelatrice nella sua semplicità: capovolgendo i termini del discorso, sposta l’accento dal personale all’universale nel chiedersi, piuttosto, perché NON a lui!

La dimensione solitaria e fondamentalmente egocentrica dell’uomo moderno occidentale può essere riscattata da un’umile accettazione della propria dimensione umana.

Questi sono solo alcuni dei tanti episodi estremamente significativi presenti nel tessuto del saggio, dove un'infinità di temi s'intreccia e si scioglie echeggiando da una parte all'altra del testo, in un gioco di richiami tematici simili a dei déjà-vù (come quelli descritti dall'autore all'interno dei segmenti autobiografici del testo, in corrispondenza con i suoi personali incontri con la morte). Gli episodi narrati appaiono disposti secondo un filo conduttore che porta l’autore ad inscenare costantemente un dialogo intellettuale molteplice, non solo con i grandi del passato ma anche con sé stesso e le proprie personali esperienze. La realtà, o almeno la sua rappresentazione attraverso l'atto della scrittura, sembra confermare le verità intuite, accennate, spesso indagate nel profondo dai genii del passato.

Questa ‘realtà’ a cui si accennava è quella personalmente vissuta dall'autore o a lui narrata da personaggi terzi: ma se, come sembra provare questo libro, per dirla alla maniera di Umberto Eco1, ciascun ‘mondo narrativo’ ha la stessa dignità e ragione d'esistere di un qualunque altro mondo, perché il mondo del Lettore stesso, qui chiamato direttamente in causa, seppur con la sua muta presenza non dovrebbe essere assurto a pari dignità di quelli narrati…?

Ecco il significato profondo di un testo che si amplia e si estende potenzialmente all'infinito, coinvolgendo l'esperienza personale di chi legge e sottolineando il carattere universale di una necessità tipicamente umana: quella di essere ricondotti, seppur nel mistero e nel non-detto, attraverso una rottura con la propria quotidianità materialistica e individualistica, direttamente nello spazio prezioso della nostra stessa autenticità e spiritualità.

 

 

 

 

Franca Gerli

 

 

[1] Cfr. Umberto Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1999.

 

 

 

Preface

 

Yes and No is not a simple book. Nevertheless, it is comprehensible because it speaks about an experience common to everybody: the private and intimistic encounter  with suffering and death. As the author suggests, every human being reserves a private space for his/her dialogue with the Mystery: such an experience defines human identity itself and is thus felt as necessary.

But Yes and No is also an in-depth study on the difficulties of living in our modern life, where digital prosthesis (computer, telephone, television) triumph in replacing human work and communication – and then, life itself. Modern man, in his narcissistic view of the universe, considers Nature a mirror of his humanity, flattering himself that nothing exists if not because of his existence.

Here is how the book begins:

 

Philosophers, theologians, and writers have different names for the unnameable, the mystery that appears to us in the many forms, or masks, of Nothingness. Ernest Hemingway calls it nada; Paul Tillich calls it the God above God; Leo Tolstoy simply calls it It. I prefer It. (p. 15)

 

The Mystery, unrepeatable and indescribable, of Death (It) is evoked, announced and then explored in a variety of narrative worlds, autobiographical excerpts and critical essays. What strikes me as strongly effective is the simplicity, even the crudity of the label «It» – an impersonal third person – whose use is rendered necessary as an implicit revelation of the inscrutability of the Mystery.

Carter is at the same time author, principal character and narrator in the logic of the text, and he succeeds in assuming from time to time the point of view of a philosopher, a sociologist and an ordinary man. It’s not a case, I think, that the essay begins with a strongly autobiographical chapter, where the narrator describes the first childhood encounters with Death of the character Carter. In the logic of the text the description of the death of his parents assumes a strategic importance, almost to justify the subsequent search, as an adult, for answers to questions posed in his early childhood.

The encounter between Carter as a child and Smokey, the tramp who lives in the woods and tells his fantastic tales to the neighbourhood children, seems to have a strong symbolic value. In a context described in a picturesque style and with light and shade effects, the author succeeds in evoking the oppositions between life and death, but also between rationality and irrationality, materiality and spirituality. The relation between Smokey and God is thus symbolically interrupted by the presence/interference of the main character as a child, in the metaphoric space of hell – or rather, of an antechamber leading to the afterlife – where Carter finds, by pure chance, the prayer to God that the tramp had drawn with white chalk on the wall of a dark gallery: «JESUS CHRIST HAVE MERCY ON MY SOUL» (p. 19).

The unwanted and casual intrusion of the main character in the dialogue between an other person and It, will develop a strong sense of guilt, raising a world of unresolved problems with his own conscience.

What the character of Carter as a child is experiencing is the discovery of his own submerged conscience and of deep and hidden fears. Only the flight towards the Light – that is, Life itself – will grant him, at least apparently, the right feeling of safety, restoring him to the realm of the living. By then the tunnel of Guilt and Mystery have been just evaded but always present, even if relegated in the restricted space of his subconscious. The whole book could represent the attempt of this grown up child not to avoid the Mystery, but to investigate it in a mature and conscious manner, in all its fascinating forms.

I don’t believe it is a case if, at a given point in the book, the narrator talks about one of the major Shakespearean works King Lear, which is focused on the tragic theme of the suffering leading to consciousness. Suffering is not always a negative element: on the contrary, it can lead to a fruitful process of maturation, and to a truer contact with one’s real interior dimension.

As happens for the foolish king of the Shakespearean tragedy, Love could be the only remedy to suffering. But the difficulty of communicating, and the substantial solitude of Man in face of the Mystery, complicates and obstacles a regular path towards a coherent construction of himself relative to his spirituality and social dimension.

But an alternative response to the typically egoistic mental schemes of modern man seems to be that given by one of the book’s characters: the tennis champion Arthur Ashe, affected by AIDS after a transfusion. Having become successful in the world of the living, he had been represented in the collective imagery as a positive hero. But, unexpectedly, he becomes interpreter of an ideology completely different from the modern individualistic one. Carter remembers the episode when a journalist had asked the athlete if he had ever wondered why such a disgrace had befallen him.

 

When a reporter asked the dying athlete if he ever wondered Why me? Ashe replied that because he was hardly the only person in the world in such dire straits at that particular moment in time, the proper response was, Why not me? Ashe’s was a magnificent bearing witness that few men and women born and bred in a narcissistic culture such ours would appear capable of. (p.65)

 

His response is extremely revealing in its simplicity: reversing the points of the question, and choosing a universal point of view to a self-centred one, he asks himself Why NOT him!

The solitary and essentially egocentric dimension of the modern western man can be rescued by a humble acceptance of one’s own human dimension.

These episodes are just a few example of the many others in the book, where a great variety of topics echo from one point to the other, in a network of thematic references similar to déjà-vus (such as the ones described by the author in the autobiographical sections of the text, in occasion of his personal encounters with Death). These episodes appear disposed in the essay on the basis of the author’s argument. The text is thus a constant intellectual twofold dialogue, not just with the great authors of the past, but also with himself and his own personal experiences. The reality, or at least his representation as perceived by the author, seems to confirm the truths intuited, alluded to, often deeply searched for by the geniuses of the past. 

This ‘reality’ I alluded to, is the one personally experienced by the author or narrated by other characters: but if, as this book seems to prove, as Umberto Eco[1] says, every ‘narrative world’ has the same dignity to exist as any other world, then why should the world of the Reader itself, here directly addressed by the author, not be taken in the same manner of the narrated ones, with all its dumb presence…?

Here we can find the profound meaning of a potentially never-ending text, which involves the personal experience of whomever reads it and underlies the universality of a typically human necessity. Even in the mystery and in the unsaid, through a rupture with our own materialistic and individualistic everyday reality, we need to be led back straight to the precious space of our authenticity and spirituality.

 

 

Franca Gerli

 

[1] Cfr. Umberto Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1999.

 

 

 

 

 

Vittorio Cavini, Michelle (Il respiro dei baobab), Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Prefazione  

Il romanzo di Vittorio Cavini è sotto molti aspetti una ‘entità letteraria ambigua’; questa definizione intende legare saldamente la solidità semantica del romanzo classico, il Bildungsroman che affronta i temi dell’amore e dell’amicizia, con la sottile leggerezza del saggio filosofico, della meditazione esistenziale.

Michelle è un’opera che si presenta al lettore sotto le mentite spoglie di un’apparente semplicità tematica e stilistica, per poi coglierlo di sorpresa e circondarlo con mille affascinanti paradossi, con laceranti contraddizioni, con quegli enigmi che tutti noi cerchiamo contemporaneamente di risolvere e ignorare.

La storia, rigorosamente in prima persona, è la cronaca di due diversi modi di percepire e affrontare la vita. Da una parte Marco, con il suo agnosticismo da fotoreporter, con la sua filosofia di vita pratica e disillusa, la rabbia contro i dogmi e le regole impartite, e dall’altra Michelle, bellissima missionaria, santa decaduta dalla grazia di Dio, anima in pezzi.

Sullo sfondo il continente africano, contenitore anch’esso di passioni contrastanti, di religioni e razze mai completamente in pace tra loro. Un’Africa  senza tramonti d’oro e savane incontaminate, ma terra di fame ed epidemie, dove regna incontrastata la brousse, un sottobosco arido, fatto di piccoli arbusti e serpentelli velenosi, paesaggio paradossale ed inquietante. Eppure questo mondo continua a commuovere ed affascinare, per la sua semplicità, per la sfida lacerante che scaglia verso di noi, ma soprattutto perché qui è ancora possibile ascoltare la voce degli spiriti, la voce dei Baobab.

L’universo letterario di Cavini finisce sempre col superare i contrasti e le contraddizioni; la sua prosa, ricca e sensuale, scandisce un ritmo lento e avvolgente, che evoca una pace ritrovata.

Il libro è infatti il diario di una ricerca, la ricerca dello scambio, della sintesi che sveli, anzi ‘riveli’, il segreto per vivere qui, dove siamo tutti noi, nel mondo reale, che sta tra il cielo e la terra, tra il pragmatismo e la spiritualità, il cinismo e l’amore.

L’intento di quest’opera è quello di ricordarci la prima vera legge che non andrebbe mai dimenticata, e cioè che non è importante quanto riusciamo a cambiare ciò che ci circonda, ma quanto siamo davvero in grado di farci trasformare e illuminare da esso, per essere sempre delle persone nuove.

«Non ci siamo mai amati Michelle ed io; Eppure se amore è dare, allora il nostro è stato l’amore più grande[1]

 

 

Giacomo Barbi

 


 

[1] Vittorio Cavini, Michelle,  p. 9.

 

 

L'incipit del romanzo

 

Non ci siamo mai amati io e Michelle. Siamo vissuti assieme, certo; i nostri occhi si sono accarezzati, abbiamo passato lunghe e calde notti stretti tra braccia tremanti, abbiamo parlato di Dio e degli Dei, abbiamo fatto affannose corse sulla spiaggia. E insieme abbiamo riso e pianto, siamo stati malinconici e allegri. E quando lei se ne è andata, mi ha appoggiato la bocca sulle labbra, mi ha dato la mano ed era triste, ma non molto. E anch'io ero triste, ma non molto, perché così doveva essere: il nostro non era mai stato amore, lo sapevamo.

Eppure, se amore è dare, allora il nostro è stato l'amore più grande. Io le ho donato il mio mondo segreto, lei mi ha donato il suo. Lo spirito delle cose ‑ che una volta per Michelle era la vita ‑ oggi è la vita per me, anche se quello spirito si è moltiplicato e io ne vedo tanti sulla terra, nel cielo, nelle acque e negli animali. Lei mi ha dato il mondo che non si vede e ha preso in cambio quel agnosticismo caldo e freddo che era ‑ prima di Michelle ‑ la mia stessa vita.

Forse io e Michelle non ci siamo mai davvero amati, o forse il nostro è stato l'amore più grande. Ma cosa importa! I nostri mondi vivono uno dentro l'altro: in me c'è ancora lei, e in lei sono rimasto io.

Non la penso spesso, ma la vedo viva e dolce quando accarezzo il tronco rugoso di un albero, quando i fulmini abbagliano il cielo, quando gli dei delle acque e dei boschi mi parlano di gioia o di tristezza. Allora Michelle mi torna accanto e io penso a lei.

  

‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑‑

  

Il mio è uno di quei lavori fortunati che permettono ‑ un po' ‑ di fare quello che si vuole, senza padroni e senza capi. Ci sono lo stesso, naturalmente: i capi ci sono sempre, ma posso anche credere di non averne. Non è stato sempre così, ma le cose cambiano quando meno te lo aspetti.

Adesso non sono un fotografo, non sono un giornalista, non sono uno scrittore o uno studioso: sono un po' tutte queste cose insieme; in tutte sono abbastanza bravo, anche se non ne faccio veramente bene nessuna. Però la gente non se ne accorge, e a me sta bene così.

Prima, andavo a pietire da editori e direttori di riviste per vendere un articolo o una foto: adesso vengono loro da me. E, se non ne ho voglia, posso dire di no o anche spendere dei soldi di tasca mia per andare a cercare cose che non interessano a nessuno.

Il colpo di fortuna è di alcuni anni fa.

Avevo convinto una piccola casa editrice a pubblicare un libro di fotografie: molte immagini e poco testo. Le foto le avevo scattate nel corso degli anni un po' in tutto il mondo e mostravano quei crocefissi, santi, madonne, gruppi in legno o pietra che si trovavano soprattutto nei piccoli crocevia di campagna. C'erano i  "calvari" marmorei della Bretagna e della Normandia, ma anche le ingenue statuette votive del sud dell'Italia o i grandi Cristi in croce delle Alpi. Molte pagine erano dedicate ai "Santi dei crocicchi" nei Paesi dell'Est: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica. Ce ne sono di bellissimi.

Il libro era rimasto a lungo nelle edicole e nelle librerie. Lo compravano solo pochi appassionati. Io non ci guadagnavo nulla; il mio editore ci rimetteva.

Poi, un giorno, lo vide un turista americano, uno importante: non so nemmeno più si nel mondo del giornalismo o dell'editoria o comunque dei media. Lo vide e rimase sconvolto dai santi nei Paesi dell'Est.

Gli Americani sono un popolo strano: hanno tutto, hanno i canali di informazione migliori del mondo, quelli meno censurati e più liberi, eppure non sono ancora riusciti a liberarsi da una serie di stereotipi che non sta nè in cielo nè in terra. Il più radicato di questi è la convinzione che all'Est Dio non esista, sia stato scacciato; che i suoi fedeli siano additati a vista e perseguitati. Un fondo di vero c'è, ma probabilmente la religiosità dei Polacchi è più sincera e convinta di quella degli Italiani.


 

Il turista comunque andò dal mio editore, e pochi mesi dopo "i santi dei crocicchi" vendeva un numero spropositato di copie negli Stati Uniti.

Poco dopo a Roma arrivò un papa polacco e tutti scoprirono la Chiesa anche all'Est, ma in quel momento i miei "santi" erano stati una rivelazione.

E a me hanno portato non tantissimi soldi, ma quelli che oggi mi consentono di fare un po' quello che voglio, senza dover ad ogni minuto pensare al conto in banca. Posso passare giorni nei luoghi più impensati a scattare quelle che chiamo "le mie diapositive demenziali". Mi è successo ad esempio di stare in un villaggio tibetano per due settimane, quasi sempre seduto su una pietra piatta che aveva di fronte la parete scabra di una capanna, alle spalle dei cespugli verdi che stavano riempiendosi di bacche rosse, ai lati dei sostegni di legno ai quali gli indigeni appoggiavano ogni giorno gli strumenti di lavoro, secondo un ordine che variava di poco, ma era ogni volta diverso. Non ho fotografato mai la parete intera, o i cespugli, o gli attrezzi, ma sempre solo particolari piccolissimi ripetuti infinite volte a seconda della luce che cambiava con l'avanzare delle ore. Il teleobiettivo esaltava granelli microscopici di calce, minuscole caverne oscure, crepe zigzaganti come serpentelli capricciosi. Oppure il singolo dente di legno di un rastrello, sullo sfondo sfuocato del verde di una foglia o della macchia rossa di una irriconoscibile bacca.

Gli indigeni venivano a guardarmi in silenzio. Si sedevano attorno a me, finita la loro lunga giornata di lavoro, e non dicevano nulla, neanche i bambini.

Un vecchio sacerdote era mio compagno sempre: aveva scelto un'altra pietra, non lontana dalla mia, e dalla sua pietra mi guardava. A volte pregava senza che si udissero le parole, ma più spesso restava immobile, rivolto nella mia direzione. Non mi salutava quando arrivava e io non salutavo lui, ma, se non c'era, non riuscivo a lavorare. Quando, durante la giornata o a sera, appoggiavo le macchine sulla pietra e mi alzavo, si alzavano tutti, e tutti cominciavano a parlare. Non si rivolgevano a me, ma parlavano tutti assieme e ci passavamo acqua e pezzi di carne essiccata.

Non erano curiosi. Non volevano sapere cosa stessi facendo e perché. Stavano assieme e basta. Loro con la loro attesa, io con le mie foto demenziali.

Poi ci inchinavamo giungendo le mani davanti al petto e andavamo a dormire pronti a rincominciare l'indomani.

Queste foto le ho tutte. Riempiono un intero scaffale. Ogni tanto ne metto qualcuna nel visore e la guardo: l'angolo di una foglia, un pezzetto di attrezzo, qualche millimetro di parete; ma solo a me dicono qualcosa.

A volte, penso che mi piacerebbe poter rivedere il volto del vecchio immobile sulla sua pietra, o magari la parete intera della capanna. Ma è meglio così.

Il villaggio, con le sue venti casupole, i suoi abitanti, il suo cielo lontano e le montagne bianche di neve, è racchiuso in spazi piccolissimi che solo nella mia mente si dilatano fino a formare un tutto, al quale si aggiunge il sibilo gelido del vento che scende dai ghiacci e l'odore acre della terra concimata dalla quale i burberi yak guardano con occhi sospettosi.

Ma queste erano parentesi mie e di nessun altro. Ci mettevo soldi miei e non ne ricavavo nulla. Qualche volta, però, dovevo pensare anche a qualcosa di diverso. A delle foto che comunicassero idee e sentimenti anche ad altri, ad esempio, o all'illustrazione di paesi e popolazioni. Quando poi volevo guadagnare sul serio, facevo foto di moda in ambienti più o meno esotici. Era un vendermi banale, ma rendeva bene. Le riviste vanno pazze per le immagini di artificiose modelle in abiti da sera adorni di perle, mentre, sullo sfondo, un elefante alza sdegnoso la proboscide, e immensa la savana africana suscita impressioni di eternità. E quando non è l'elefante, è il coccodrillo, o un palmeto, o l'azzurro del mare attorno alla barriera corallina. Io poi ci  scrivevo delle didascalie cretine che piacevano ancora più delle foto, e così mi guadagnavo le cose che veramente mi stavano a cuore.


 

Che sono poi le stesse che piacciono a tutti i maschi sani di mente e di corpo con ormai quarant'anni alle spalle e una vita, se non proprio avventurosa, certo abbastanza movimentata. Ci sono in tutto il mondo ragazze bellissime che sognano d'essere portate per qualche giorno sulla Costa Azzurra o a Venezia. La differenza fra la "Tour d'Argent" sulle rive gauche e una qualsiasi trattoria romana, la vedono solo nel diverso prezzo, non nella qualità del cibo, ma è quello che loro capiscono.

E sono molto brave a vivere con te per una decina di giorni, parlando fitto fitto di cose che nessuno ascolta, godendo della poca attenzione che ogni tanto le dedichi, mostrando di essere felici anche se non lo sono.

E gli alberghi esclusivi, pieni di specchi e di piante che salgono fino al soffitto, paiono fatti attorno a loro, agli abiti svolazzanti, ai foulard, alle calze ricamate. Loro sono il quadro; gli hotel di lusso, i ristoranti a tre stelle, i caffè più sofisticati, sono soltanto la cornice. Poi tutto finiva rapidamente come se non fosse mai cominciato. Cancellavo anche il nome dall'agendina. Ci sarebbero state altre ragazze, altri posti, altre storie; tutte sempre uguali, piacevoli e monotone insieme.

E ogni tanto la parentesi solitaria, il villaggio nel Tibet o l'atollo deserto.

"Goditi la vita in ogni momento", mi dicevo. "Prenditi una donna, quando la vuoi; stattene solo, se hai voglia di stare solo".

In fondo, la mia era una filosofia molto semplice: al di là della vita non c'è nulla; la morte è l'addio per sempre. L'unico bene prezioso quindi è la vita con la sua successione di attimi.

Nei confronti degli uomini di fede ‑ non importa quale ‑ ho sempre avuto sentimenti contrastanti di invidia e di disprezzo. Invidia perché la loro vita, e non la mia, è eterna; disprezzo perché cercano conforto al dolore e alla morte in una finzione alla quale è impossibile credere.

Non mi davano fastidio, ma vivevamo in due sfere separate. Mi piaceva guardarli, i santoni indiani, gli stregoni sudamericani, i muezzin che urlano dall'alto dei minareti, o i preti cattolici che in un'ostia di pane vedono sangue e carne. E mi piaceva ascoltare le parole dei loro riti anche quando non ne capivo il significato.

Ma gli uomini di fede conosciuti nella mia vita erano pochi. Pochissimi quelli che credevano sul serio, senza pentimenti o ipocrisie. E quelli li avevo trovati soprattutto fra i "selvaggi", in Asia, in Africa, in Centro America.

Oppure erano gli adepti alle piccole sette, disprezzate e vilipese dalle grandi religioni: quelli che vanno di casa in casa a predicare la fine del mondo, o a invocare il perdono di un loro Dio sconosciuto sui peccati degli altri e tutti li cacciano e chiudono loro la porta in faccia.

Che credessero oppure no, a me importava poco. Mi piaceva guardarli, studiarli, e magari fotografarli di nascosto durante i loro riti per cogliere, a volte, impressioni di stanchezza, di sfiducia; altre, estasi di felicità, quando un Dio inesistente entrava in loro trasfigurandoli.

Io ero solo una macchina fotografica, uno strumento senza anima e senza spirito che guarda, registra, ricorda. Ma uno strumento freddo, asettico: che non partecipa e che non vuole partecipare.

Scrivevo di loro con rispetto, perché era ed è giusto farlo. Chiedevo soltanto che anch'essi rispettassero me e la mia certezza: Dio non esiste, tutti gli Dei sono solo delle invenzioni, degli alibi.

Ma non sempre era facile.

 

 

 

 

 

Giuliana Gaggiotti, Il volo della farfalla, Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Prefazione 

Questa raccolta di versi della maceratese Giuliana Gaggiotti è tutta nella direzione e nella ricerca di una ‘leggerezza dell’essere’: il  tentativo di trasformare i segni esistenziali di sofferenza e grigiore quotidiano attraverso le  espressioni sensibili del suo linguaggio, in ‘cantate’ sentimentali.

Le poesie si presentano secondo un doppio registro, di cui il secondo è più cospicuo. Le composizioni in versi della prima parte sono in lingua napoletana, quelle della seconda, in lingua italiana.

Originale la scelta dell’autrice,  si presenta con un’espressività verbale scherzosa e briosa, e con toni liberi,  vicinanze e similitudini alla natura.   Pur ispirandosi a volte anche a fatti drammatici, è sempre ‘umanamente’ sensibile alla comprensione dei segreti oscuri dell’animo umano. Fa suo e conserva un tono misurato, comunicativo e diretto, pur raccontando le sue ‘scottature’ di vita. Nel passaggio dalla ingenuità della giovinezza alla consapevolezza della maturità della vita, non si lascia attrarre dalla possibilità di usare toni mesti e delusi.   Attraverso i suoi versi ritrova la bellezza del mondo e della vita, per sfuggire alla ripetizione del disincanto e del disinganno.

Una cifra esistenziale, la sua, di una dimensione poetica che sigilla il genuino attaccamento alle ‘cose’ con la levità  spirituale.

Le scelte stilistiche completano la spinta sentimentale,  e sono  un abito per le parole.

Centrate alcune poesie, disposte su un lato della pagina, altre.

Sobrie quelle impregnate di forte coscienza religiosa, dove tutto si concentra intorno all’asse divino. In uno stile verticale e centrato, le parole cercano una linea diretta con Dio. I lettori sono chiamati ad esserle fratelli, attraverso l’interpretazione degli eventi della vita,i suoi vissuti con grande spiritualità e sentimento religioso.

Giuliana Gaggiotti, con una sorprendente semplicità, ma con straordinaria profondità intreccia le esperienze umane alla fede, e bilancia gli opposti della vita, ricercando la presenza di Dio in ognuno.

 

Norma Hipperdinger e Maria Peruzzini

 

 

 

 

 

Antonio Giorgio, Sinai e Golgota, Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

 

Prefazione

 

Strano e affascinante il libro di Antonio Giorgio ("Jreneus" nella de-finizione spirituale dell'autore).

Strano, perché è un testo completamente al di fuori di ogni collocazione disciplinare: né scientifico, né filosofico, riesce ad essere scientifico perché filosofico e, di converso, filosofico perché scientifico. L'autore si è formato come patologo e da patologo si era, in un precedente lavoro, occupato della morte sulla croce di Cristo, delle cause fisiche del decesso, ancora oggi oggetto di controversie tra gli studiosi. Il contatto diretto con i testi, con quel corpo di parole che custodisce il mistero del Dio crocefisso, lo hanno tuttavia spinto, dopo quella prima opera di carattere scientifico, a inoltrarsi in un sentiero che, intravisto nell'infan-zia e nell'adolescenza, era rimasto occultato, nel corso della giovinezza e dell'età matura, sotto l'effetto di una formazione prevalentemente razionalistica, nella quale Marx, Freud e Darwin facevano da dei tute-lari.

Il sentiero riscoperto dall'autore è quello del Cristo risorgente, della possibilità di una vita altra, che, più che proporsi come "speranza" (come nei teologi à la Moltmann), si impone come necessità di rove-sciare dalle fondamenta i paradigmi di pensiero entro cui si sono raccolte le certezze e le convinzioni della modernità, prima fra tutte la separa-zione tra l'esperienza del sacro e la pratica della conoscenza.

L'incontro col Cristo è l'inizio, per l'autore, di una vera e propria meta-morfosi, di una trasformazione che è l'assunzione progressiva di una nuova forma. La filosofia antica - ci ricorda Foucalt - riteneva che il soggetto, così come è, non è capace di verità: per raggiungere questa occorre che egli si trasformi completamente in se stesso, fino ad uscire fuori di sé e, addirittura, a perdersi - per trovarsi. E' questo tipo di trasformazione che l'autore intraprende: il congegno della conoscenza moderna, la sua articolazione in procedure oggettive che dovrebbero garantire l'accesso alla verità, gli appare un semplice sostituto di un ac-cesso diverso e radicale, che consiste, appunto, in una trasfigurazione del soggetto e in una provvisoria perdita. Egli racconta la propria meta-morfosi, ed è all'insegna della metamorfosi che costruisce una rivoluzionaria lettura del dramma cristiano.

E' qui che il testo di Antonio Giorgio Jreneus si fa affascinante. La tesi sostenuta nel libro è annunciata fin dall'inizio: « Gesù di Nàzaret, nato come figlio d'uomo, morì come figlio di Dio. E non nell'immaginazione dei suoi discepoli, ma nella realtà strutturante del desiderio» (pp.6-7). La vicenda narrata dai Vangeli è dunque quella di una metamorfosi, non di una "divinizzazione", ma di una nuova nascita, la nascita dell'uomo spirituale. Il contenuto del messaggio di Cristo non è una promessa ma una ostensine: il "figlio d'uomo" è divenuto "figlio di Dio" e dunque ogni figlio di uomo ha la potenza generativa del figlio di Dio. Precisa l'autore che a compiere il passaggio non è la forza immaginativa ma "la realtà strutturanmte del desiderio". Il desiderio è il seme naturale della nascita del divino, che della natura non è la negazione ma l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine. (Appare straordinario, fra parentesi, il modo in cui Jreneus legge il racconto naturalistico dell'evoluzione, metaforiz-zando costantemente i termini del linguaggio biologico senza negarne lo statuto scientifico e il significato letterale, fino a fondare una "scienza nuova", fra biologia e biografia, fra lettera e metafora.)

La via della metamorfosi fu, per Cristo, quella dell'amore e del dolore: la stessa è per ogni uomo. «Il Maestro non forzò la natura: accettò di morire per amore: Maran àt ha: il Signore è venuto. Allora, duemila anni fa. Oggi io conosco il Maestro perché altri mi hanno parlato di Lui. Ma il mio incontro con Lui potrebbe ridursi ad un nome, ad un profeta, ad un rivoluzionario, se non si verificasse una breccia nella mia espe-rienza di vita che corre giù, fino alla profondità del mio essere, nell'Inco-nosciuto. Solo allora avviene il vivificante incontro e il Maestro risorge dall'abisso dei secoli e mi attrae a sé, come al centro dei centri. Una breccia determinata da un'esperienza d'amore graziato o di morte scam-pata" (p.340)

Ricco di scienza e di coscienza, portatore di una verità che è annuncio, Sinai e Golgota è un libro autentico, uno dei rarissimi libri autentici che è dato di leggere al giorno d'oggi. E' un esempio sorprendente di come la scrittura possa e debba farsi tramite di vita.

Giuliano Minichiello

Dipartimento di Scienze dell'educazione,

Università degli Studi di Salerno

 


 

 

 

 

Cesare Maria Domenico Ranieri, L'occhio osceno del folle. MAza (1988-2000), Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Prefazione

 L’opera poetica di Cesare Maria Domenico Ranieri continua con un’altra composizione in versi, mostrando  come il destino del poeta sia il viaggiare attraverso infiniti possibili  linguaggi.

Viandante e artista insieme fa della scrittura lo specchio della sua realtà e  la casa dalla quale stende il suo sguardo,  per abitare il mondo, che inafferrabile  gli resiste.

Registra in infiniti registri il suo pensiero, continua, con ferrea volontà a leggere ad infinitum il senso del mondo, e se non un senso comune a tutti, almeno il suo senso. Acuminate armi sono le sue parole: da profondo esploratore, instancabile nella sua ingenuità, ci consegna la sua storia poetica. L’accesso alla ‘poesia’ lo fortifica, lo rende più agguerrito: un menestrello armato e un infaticabile indagatore.

È una sorta di diario ‘in pubblico’ nel quale con disincantata sapienza e  giovanile temerarietà squarcia il suo velo di Maya e descrive la sua ‘rappresentazione’ del mondo.

Meglio la poesia che un’autobiografia romanzata sembra dirci Ranieri, e intanto cerca di eludere  tristezza e solitudine e scrivere nell’illusione che non è possibile che questo?  O forse sceglie la poesia piuttosto che il silenzio, per non scivolare nel ‘nulla’?

Il linguaggio di Cesare Maria Domenico Ranieri assume tinte forti e intense, vitali e misteriose, e il suo spaesamento è la cifra di un nomadismo interiore.  Multiforme e plurimo il senso dei suoi versi, si serve di tutte le forme: ossimori, metafore, parole e immagini reiterate e arrischiati  assemblaggi.     Costante è la passione e la tenacia di ‘nascere’ dalla scrittura come uomo  ‘nuovo’: il poeta  non demorde, questa è la sua autenticità; e sua è l’audacia di non assumere nessun  habitus d’abitudini, nessuna chiusa  forma mentis, nessun rigido calco.   

Ranieri consapevole che la verità si cela, che le parole quasi mai sono chiare o veraci, che indossiamo delle maschere, ma che ad ognuno è data la possibilità di scoprirsi , di vagare di ‘sé’ in ‘sé’, sbriciolando via via fragili certezze, disancora il proprio ‘io’ da  falsi ormeggi, e cede alla tentazione di  lasciarsi  accecare da fiamme che possono rivelargli  un nuovo cammino.

Cesare Maria Domenico Ranieri avrebbe potuto scegliere forme narrative più rassicuranti anche per i suoi lettori: la storia o il  romanzo.  La prima, però,  ricordando Aristotele, gli è estranea,  «Lo storico espone ciò che  è accaduto, il poeta ciò che può accadere, e ciò rende la poesia più significativa della storia, in quanto espone l’universale, al contrario della storia, che s’occupa del particolare.»[1] , il secondo gli è poco congeniale, perché metamorficamente lo nasconderebbe, « Diventa (…)  il luogo dell’incontro-scontro dei giochi della vita, senza con ciò reclamare mai lo status di gioco dei giochi»[2] .  

Seguiamolo, timorosi e  affascinati, aspettando  nuove avventurose letture…

    

                                                                                              Maria Peruzzini

 

 

                                       

1-   Aristotele, Poetica (IX, 1451b), Bari, Laterza, 1995

2-   Valerio Giacoletto Papas, Filosofia e romanzo, Torino, Paravia, 1999


 

 

 

 

Luciano Rossi, L'odore dei libri, Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Ingegnere e scrittore, Luciano Rossi è nato a Novara. Docente di management e libero professionista, è autore di narrativa e poesia, di articoli, cortometraggi e reportage dei suoi numerosi viaggi in tutto il mondo. Fra i suoi molti libri, ricordiamo Il Paese degli Afghani (Premio “ED. Intern.”, Milano, 1985); Che l’infanzia finisca così? (dell’89; Premio di “Mondo Letterario”, Milano: la I parte è stata pubblicata nel ‘92 in edizione per le scuole medie), il testo di narrativa Mal d’Asia (Premio “Hemingway” ‘97); La percezione estetica della politica, dal quale è stato tratto il testo del Concerto per corale polifonica e narratore; le raccolte di poesia Concerto d’organo (1992) e Dio è solo questione di matematica (1994); e il lavoro teatrale autobiografico La storia di Vlàd (Premio “Centro Arte R.M.” ‘99). Nel 2000 è uscito il CD Il Maestro Gilonna, realizzato nell’àmbito di un vasto benemerito progetto a favore delle associazioni culturali e di volontariato sociale, con le musiche del chitarrista Bordoni ed i versi del poeta Vimercati. L’odore dei libri viene pubblicato in séguito al Premio “Nuove Lettere” ricevuto dal racconto che fa da ouverture alla raccolta e che ha dato vita a Il Maestro Gilonna.

 

Dalla Rivista “ DIBATTITO DEMOCRATICO “ – Giugno 2000

Periodico edito dal Centro G.Donati di Pistoia

Il Maestro Gilonna fa ancora del bene

di Monica Bonalumi

 

Un CD per finanziare le associazioni di volontariato. Con questo scopo è nato il compact disc “Il Maestro Gilonna” che propone la lettura dell’ omonimo racconto di Luciano Rossi, alcune poesie di Alessandro Vimercati e musiche di Jean Philippe Bordoni, mentre la copertina riporta il “Paesaggio della memoria” di Armando Fettolini. Dalle parole di Rossi emerge la grandezza e la particolarità del vecchio insegnante conosciuto ad Omegna, sul lago d’ Orta, nell’ ultimo periodo della seconda guerra mondiale, dove l’ Autore era sfollato con la famiglia; quel Maestro dal “viso dolce, serio e affilato” che riuniva gli alunni ogni volta che gli era possibile.

“ Si diceva che fosse un docente espulso dall’ Università di Torino per motivi politici – ricorda Rossi – qualcuno sussurrava che fosse ebreo; noi allora non sapevamo cosa significasse. Probabilmente aveva dei contatti con la Resistenza. L’ unica certezza è che finì fucilato nel febbraio del ’45 “.

Il suo era un modo alternativo di fare scuola, dettato dalla drammaticità degli eventi: portava i ragazzi a pescare le trote, a fare escursioni sui monti ed intanto leggeva loro Shakespeare in inglese ed Omero in greco. “ Per molti anni il suo ricordo è rimasto offuscato – spiega l’ Autore del racconto – poi, improvvisamente, una notte di due anni fa mi sono svegliato pensando a lui. Sono tornato ad Omegna, ho cercato i miei vecchi compagni per tentare di ricostruire la sua figura, mi sono reso conto che per me il suo insegnamento è stato determinante. Negli anni seguenti, forse inconsapevolmente, i semi gettati da lui sono germogliati. Il mio debito nei suoi confronti, così come altri miei Docenti non è estinguibile: per questo accolgo sempre di buon grado gli inviti che mi giungono dalla Scuola. Spero che qualche ragazzo usi i propri talenti come ho fatto io grazie al Maestro Gilonna”.

“ Il Maestro Gilonna “ si inserisce nel filone dei racconti sulla Resistenza narrata con gli occhi di un bambino “ da cui non emerge alcuna visione politica, solo la tragedia di quegli anni “ già sperimentato da Rossi nella raccolta “ Che l’infanzia finisca così?”.

“ Questa storia inizia nel ’44 ma continua anche oggi, in tante parti del mondo, come dimostrano gli inserti poetici di Vimercati – commenta lo scrittore – le esecuzioni musicali di Bordoni poi sono straordinarie “.

Ora l’operazione letteraria si trasforma in operazione benefica. Il CD realizzato grazie al contributo di un ‘azienda, è in vendita a 30.000 lire; il ricavato servirà per finanziare “Il Giunco”, un’associazione di Brugherio che assiste negli studi e nell’ inserimento lavorativo ragazzi in difficoltà economiche o familiari. Rossi però rilancia l’opzione anche ad altri sodalizi: “ Offriamo il CD a 15.000 lire ai gruppi che, a loro volta, potranno distribuirlo a prezzo pieno autofinanziandosi – afferma – e speriamo di esaurire presto la prima edizione in modo da aumentare gli introiti per l’associazione ed alimentare la distribuzione. Per il momento cominceremo a contattare le Amministrazioni Comunali  e alcuni gruppi; qualche imprenditore ha già prenotato il CD per i suoi clienti “. Chi fosse interessato può richiedere “Il Maestro Gilonna” alla sede del Giunco, villaggio Brugherio 55 - 20047 Brugherio – tel/fax   039 870366,       E-mail: rsslcn@virgilio.it.

 

L’ Autore e le opere

Un ingegnere con la passione della letteratura. Luciano Rossi, 68 anni, è stato dirigente di importanti aziende, attualmente è difensore civico nella sua città. La sua prima fatica artistica risale al 1985 quando pubblicò ‘Il Paese degli Afghani’ che uscì con la prefazione di Ettore Mo, una serie di racconti ispirati alla spedizione alpinistica a cui partecipò nel ’67 che gli consentì di scoprire un mondo totalmente diverso da quello occidentale. Sono seguite le raccolte di poesie “ Concerto d’organo “ e “ L’equazione spezzata “. Nel ’95 ha pubblicato “ Mal d’Asia “, alti racconti dettati dai suoi viaggi anche di lavoro in Siberia, Giappone, Nepal, che nel ’97 gli hanno valso il premio Hemingway. E’dedicata alla Resistenza la raccolta “Che l’infanzia finisca così ? “ da cui è stata ricavata un’ edizione ridotta per le Scuole Medie. Risale al ’97 la “Percezione

Estetica della Politica” da cui è derivata “ Lettera a Romano “ proposta recentemente anche a Monza nella esecuzione con la Cappella Musicale del Duomo.

“ Il Maestro Gilonna “ è del ’98: il testo ha già ottenuto parecchi riconoscimenti tra cui il ‘Montagne d’Argento’ ad Aosta e il premio per “ La letteratura dell’ impegno “ dell’ Associazione dei Maestri Cattolici di Padova.

 

 

Presentazione di Valentino all’ esecuzione de ‘Il Maestro Gilonna’ dal vivo alla inaugurazione di ‘LIBRINVILLA’  -  Monza, Villa Reale  -  30 settembre 2000

 

 

Sono Valentino e frequento il quinto anno del Liceo Scientifico Vico. Diventerò socio del Giunco quando potrò essere utile ad un giovane nel programma di formazione e d’aiuto che il Giunco realizza ogni anno. Sono nel programma da 5 anni e il mio tutor in questo percorso mi ha accompagnato. Ho avuto lezioni di sostegno, un aiuto nei costi della scuola, nel trovare occupazioni estive per contribuire alle mie necessità e nel concorrere a borse di studio di Enti e private. Quest’ anno entrerò nel ciclo di lezioni, istituito da una Socia  insegnante di grande esperienza, per prepararci all’esame di maturità. L’associazione ci può aiutare nel fare esperienze di studio-lavoro in Europa e nell’orientarci poi nel mondo del lavoro. Soci e privati contribuiscono al fabbisogno, col nostro Comune e la Regione. Ogni anno l’ associazione organizza un concorso letterario per la poesia e la narrativa e che dà il premio più importante ad un lavoro di volontariato solidale.

Quest’anno, è stato realizzato il Compact Disc che ha per titolo ‘Il Maestro Gilonna’ e che oggi viene rappresentato dagli stessi Autori. Queste sono iniziative che insegnano a noi giovani che è bene aiutarsi anche da sè, che poi il ciel t’aiuta. Anche questa emozione di parlare in pubblico mi aiuterà a crescere.

 

‘Il Maestro Gilonna’ è un messaggio di fraternità contro la violenza e di solidarietà per le vittime di sempre. Gli occhi e la memoria di un bambino possono dare questo messaggio di pace, di civiltà, di razionalità nelle regole di convivenza civile. Il narratore di una microstoria  può far comprendere il quadro d’assieme della tragedia collettiva. La visione è nitida nel ricordo infantile: la comprensione verrà poi, con la maturazione dell’insegnamento del Maestro e l’esperienza di vita dell’allievo.

 

Il CD è nato dalla collaborazione fra quattro Autori. Jean Philippe Bordoni ha scritto ed esegue i brani musicali che sono il filo conduttore emozionale della storia. Alessandro Vimercati, suoi sono gli inserti poetici che leggerà: a volte forti e incisi, a volte struggenti nel ricordo, portano la storia fino ai tempi nostri, legame tra la memoria della tragedia e  l’uscita dall’adolescenza. Armando Fettolini è l’Autore del ‘Paesaggio della memoria’ che illustra l’opera e che ha avuto la migliore recensione alla ‘personale’ di New York.  Luciano Rossi,  è l’ autore del racconto originale. Lo scorso giugno la storia del Maestro Gilonna è stato scelta dall’ Istituto Italiano di Cultura di Napoli per la pubblicazione, con altri otto suoi racconti, nella collana diretta da Giorgio Saviane, in una edizione speciale destinata alle scuole italiane all’estero, ai docenti di letteratura italiana nelle università estere ed ai corrispondenti dell’ Istituto in tutto il mondo.

‘Il Maestro Gilonna’ è stato il maestro elementare di Luciano. I versi di ‘Il mestier della Politica’ sono stati pubblicati da Montanelli sul ‘Corriere della Sera’. Quando il Presidente della Giuria ha consegnato a Luciano il primo premio al ‘Montagne d’Argento’ ad Aosta, ha suggerito di leggere quei versi all’apertura del Consiglio Regionale: ascoltandoli, capirete il motivo. Il CD, realizzato con la migliore tecnologia disponibile grazie al primo sponsor, è stato offerto a 30 mila lire al pubblico ed agli Amici del Giunco. Raggiunto lo scopo con la distribuzione delle prime due edizioni, l’iniziativa prosegue.

Oggi  tutto l’importo  andrà al Giunco ed è per questo che questa sera mettiamo a disposizione il CD a sole 20 mila lire, poichè è un’ opera da regalare ai propri figli, ai loro docenti, agli amici.

Con le ristampe, è possible offrire il CD alle associazioni ed alle Scuole recuperando i soli costi di ristampa e SIAE, consentendo alle associazioni di realizzare un contributo finanziario alle loro attività solidali, come già ha fatto Il Giunco in questi mesi.

La madre di una prossima sposa l’ha adottato come ‘bomboniera’ : “...coi confetti, daremo un pezzo di cuore, anziché un pezzo di ceramica...” così ha detto. Numerose sono le associazioni di volontariato che si stanno interessando all’utilizzo di questo CD per le attività ospedaliere e di donazione. Che siano stati colpiti dalla definizione della ‘percezione estetica della medicina’  che ascolterete nel racconto ?

Aziende, anche piccole, anche titolari di negozi, lo stanno prenotando per utilizzarlo come omaggio aziendale a Natale. Un importante premio di foto d’arte lo utilizzerà come attestato di partecipazione ai concorrenti ed una associazione musicale, come biglietto d’ingresso ai propri concerti, il poeta siciliano Filippo Secondo Zito lo distribuisce ad Agira ed in provincia di Enna, Ede Olivetta, presidente della Società Italiana di Devoto, in Argentina, organizza una trasmissione radiofonica e serate culturali, come già hanno fatto il Circolo Pickwick a Besana, il Cinecircolo Robert Bresson, Cinisello Balsamo nel programma de ‘ L’estate in città ‘ e così via.

Franco Piccinelli, lo scrittore delle Langhe, ha definito ‘Il Maestro Gilonna’ il racconto più gratificante per un insegnante. La presidente della Associazione dei Maestri Cattolici, nel consegnare a Luciano il primo premio per ‘La narrativa dell’impegno’, l’ha definito ‘di grande efficacia per la formazione di un giovane’. Docenti prenotano il CD per un lavoro con gli studenti che si concluderà con un incontro con l’autore. Carlo Castellaneta, premiandolo a Milano con Viviane Lamarque e Rita Levi Montalcini, ha esordito dicendo: ‘Il nome dell’autore deve essere uno pseudonimo, altrimenti conoscerei questo scrittore’. Non è così. Noi lo conosciamo: è un socio del Giunco ed ora nominiamo soci onorari gli altri Autori che, con Luciano, hanno realizzato il CD rinunciando a compensi e diritti, il dottor Luigi Losa, direttore del Cittadino, che l’ha promosso ed il pittore Antonio Teruzzi: una delle sue opere, al rientro dalle ‘personali’ di Lugano e Ginevra, sarà il primo premio per la poesia dialettale nella festa di premiazione sabato 14 ottobre, nell’aula consiliare del Comune di Brugherio. Il racconto, nella versione integrale, è visibile in ‘scrittori.com’, il sito prestigioso di Edizioni On Line che ha acquistato mille copie del CD e che offre agli scrittori italiani, esordienti o affermati, la possibilità di farsi leggere in tutto il mondo. Luciano infatti ci raccontava che non si può immaginare che percorso può fare uno scritto una volta pubblicato e tradotto. Portava ad esempio una sua poesia: ‘Pace per un afghano’. Scritta nell’ 87, tradotta in inglese dalla traduttrice americana di Bacchelli, trascritta in caratteri arabi ed in lingua pashtù da un poeta afghano al tavolo d’ una trattoria di New York, venne da questo poeta diffusa tra i ragazzi afghani dei campi profughi a Peshawàr, che la declamavano a memoria in coro, reggendosi alle grucce per le mutilazioni alle gambe causate dalle mine. 

 

Ora però ascoltiamo: al termine sarà possibile porre domande agli autori e acquistare il nostro CD.

Vi preghiamo di non applaudire se non alla fine se lo vorrete, in modo da non interrompere il filo della storia, il suo l’intreccio coi versi di Alessandro e l’emozione che desterà il commento musicale di Jean Philippe.

Buon ascolto.

 

 

 

 

Marco Saya, Raccontarsi, Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

Prefazione 

Non sempre frasi complete ma parole ripetute come tanti piccoli leitmotiv martellanti, non sempre costruzioni grammaticali tradizionali ma verbi all’infinito e all’imperativo, sempre un susseguire di domande che sussurrano al lettore di dare  risposte...Mondi freddi, corpi distesi tesi fra piacere e dolore, slogans intimi, specchi deformanti, freddezza cupa: questi sono gli ‘spaventapensieri’ che popolano l’universo del poeta. Tanti pezzi di un puzzle da ricostituire, dietro il quale si nasconde un uomo spoglio, nel suo essere incompleto, insoddisfatto ma eterno attraverso la scrittura.

Tutte queste poesie danno l’impressione di essere state battute al computer, impresse sulla luce bianca artificiale che illumina il buio dello spazio della scrittura. Certi passi sembrano scritti con la tecnica del ‘copia e incolla’. Sullo schermo della propria mente, lo scrittore seleziona i testi che lo tormentano, lo ispirano di più, li copia e li incolla su un file riportando alla luce del giorno la propria poesia. È come ricostruire un testo antico con le tecnologie moderne, trasportato dalle fonti personali verso la memoria del computer. Lo schermo diventa uno specchio che gli rimanda la propria immagine, un immagine in cui riconoscersi, disprezzarsi, talvolta amarsi o amare l’altra.

Un orologio inarrestabile scandisce il tempo senza pietà, le lancette non allentano la loro corsa verso un tempo infinito mentre il nostro è limitato. L’unica via d’uscita è quella di avere la forza di rigirare la clessidra, e riportare la sabbia verso la propria infanzia per ritrovare l’innocenza che permette di credere nell’infallibilità del mistero della vita, nell’immortalità nelle immense possibilità dell’uomo. Ricordando l’infanzia, ci scordiamo della morte. Il bambino è ingenuo e salva tutti, crede nella vita, nell’amore, nella gratuità delle cose. Purtroppo, il futuro quello che si trova avanti sulla freccia del nostro tempo è intravisto come un successivo periodo di solitudine, con una conclusione del tutto scontata, la morte ossia la riduzione in polvere. Anticipando i tempi, il poeta si proietta verso il proprio funerale per esserne lo spettatore in prima fila e contemporaneamente il regista. Con cinismo e ironia, mette in scena l’evento finale, e immagina le scenate che potranno avverarsi, ne scrive anche i dialoghi e i presenti diventano fantocci sottomessi alla sua tragicommedia.

C’è poca empatia verso gli altri che l’autore descrive come imitatori della propria vita, anonimi inconsci che non sanno dove andranno a finire; certi si salvano: sono gli artisti e gli artigiani. Tuttavia la donna mantiene un ruolo da protagonista. È attesa, desiderata. Mediante i sensi del corpo, la mente riesce a trovare un senso cosmico. La donna è la musa che permette di comporre non inni alla vita ma inni vitali che convincono a sopravivere. Ma è anche quella che abbandona e isola. La vera fedele amica è una luce ricorrente che illumina i frammenti di nero inchiostro. Una luce che il poeta segue come via di uscita, unica via di salvezza. È il filo conduttore che inseguirà per perdersi nel labirinto mentale che l’uomo o il poeta s’inventano per capire meglio il loro tempo e il senso, tanto ricercato, della vita.

Tiziana Ciasullo

 

 

 

Ottimo poeta Marco Saya, nato a Buenos Aires nel 1953 e residente a Milano dal 1963 dove si occupa di informatica e cura il suo hobby jazzistico suonando la chitarra.
Lo stile delle sue liriche è adulto, padrone della lingua e del verso, di ottima impostazione.
Si perde un po' nel tentativo di scrivere virtuosismi futuristicheggianti, nella ricerca di stili guidati, indugia sull'amore che ha portato sofferenza e ispirazione, ma la sua solidità è tutta in versi compiuti, quando non cerca altro che di svelare l'animo.

La sua ultima pubblicazione è a cura dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli il cui comitato di lettura è costituito da Alberto Bevilacqua scrittore; Constantin Frosin docente di Lingua e Letteratura francese a Galati; Antonio Illiano ordinario di Lingua e Letteratura italiana all'università del North Carolina; Roberto Pasanisi direttore del LIUPS; Maria Luisa Spaziani ordinaria di Lingua e Letteratura francese a Messina; Mario Susko docente di Letteratura Americana a Nassau; Nasos Vaghenàs ordinario di Teoria e critica letteraria all'Università di Atene; Nguyen Van Hoan ordinario di Letteratura italiana e Letteratura vietnamita ad Hanoi.

La scelta è caduta su un autore già inserito in alcune antologie, e con raccolte di poesie alle spalle, alla ricerca di un senso della vita spicciola, delle piccole cose quotidiane che tanto di più ci affascinano quanto un poeta ce le sottolinea, ce ne parla in un linguaggio sensibile, asciutto ma carico di pathos intrinseco, capace di lasciare un'impronta nella mente che per un guizzo si trova a vivere del quid che tanto Montale ha tentato di descriverci.

Eppure c'è qualcosa di nuovo quando le analogie si rincorrono, nella fretta di fermare un pensiero: "Amore, amori, prese di corrente alternata"; "Poesia, poesie di Noi a metà/ Perfezione irraggiungibile di ignote divinità". Non è certo il vedersi al proprio funerale; né sicuramente la scelta di parole scritte di fila, senza punteggiatura, senza un ordine che non sia nella vita stessa dell'autore; non è di certo il verso bizzarro che vuole saltare agli occhi.

E' un poeta che si esprime con compattezza ma con un'insicurezza personale che incuriosisce. E' riuscito ad incanalare la rabbia, a descrivere la vita, ma non a descrivere se stesso, non a guardarsi con distacco.

Anche da lui si aspettano nuove e ancora migliori cose. Non sta nella sensazionalità il merito, ma nella quadratura di un cerchio che la poesia ripropone sempre a chi sa appassionarsi alla geometria del vivere comune.

Marco Saya: "Raccontarsi", Edizioni dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 2002.
articolo di Alessia Biasiolo

RACCONTARSI

di

Marco Saya

OLTRE

«Oltre il buio
Al cospetto del dolore
Sudore dell'esistere gocce si spengono.

Immagina il sogno di un miracolo
Estasi per tavolozze disegno nuove battaglie
Un sorriso dispiega ampi arcobaleni

Oltre il buio
Ritorni a sperare
Pastelli la vita di nuovi colori».

La poesia che apre la raccolta «Raccontarsi», un libro edito dall'Istituto Italiano di Cultura di Napoli per Marco Saya. Una poesia «Oltre» e subito si ha l'impressione di vederlo alla scrivania, a quello ch'è il suo posto di lavoro, che altrove, sembra, non si senta a proprio agio, come se occupasse un posto non suo, che non si addice alle sue capacità, alle sue propensioni.
Quando, leggendo le sue liriche, lo raggiungiamo ovunque egli si trovi, subito lo sento accanto, disponibilissimo, tanto che per parlare della sua poesia, si abbandona ad una conversazione distesa, anche se ho la sensazione di sentirlo preoccupato di assolvere un compito per lui ingrato, perché convinto che la poesia non si spiega, o si la riafferra o la si lascia al suo destino; di tanto in tanto prende in mano un foglio, un libro, per riporli subito; tende l'orecchio ai rumori, alle parole che vengono dalla strada per la finestra aperta, come se lo riguardassero personalmente, come se aspettasse qualcosa, una chiamata, una richiesta, una persona che gli venisse in aiuto.
«Immagina il sogno di un miracolo
Estasi per tavolozze disegno nuove battaglie
Un sorriso dispiega ampi arcobaleni»

Evidentemente gli capita di sentirsi male innestato in un organismo che non gli si confà, nel quale egli non si riconosce: «la poesia non si spiega, o la si afferra o la rilascia al suo destino» per questo, forse, appare ansioso e al tempo stesso umiliato, privato della parte più vivace, più risentita della sua personalità. Però in ogni modo accetta questa condizione, parla della sua poesia, vi si sottopone; ma per questa accettazione ha dimesso, o almeno dimette là dentro, quello che è il suo consueto modo di comportarsi.
Una volta uscito dal panico di parlare, della sua poesia intendo, piano piano riprende i modi consueti, il discorso riacquista la consueta vivacità passando da questo ad altro argomento, come se andasse gradualmente dimettendo quella cautela, quel continuo autocontrollo cui si era sottoposto.

«Perché mai dovrei crescere?
Un bambino vuole vivere l'eterno gioco
Il righello disegna angoli ottusi
Foglie morte vestono l'innocenza di una pelle liscia»

Ben diverso è il suo comportamento, il suo modo di presentarsi, di parlare, quando si parla della sua poesia e ci si perde nelle immagini di bambini che vogliono vivere l'eterno gioco, e ricordarli; i suoi modi, gli atteggiamenti, l'accento del suo discorso si accende, s'infiamma di calore umano, dell'ardore dell'amante. Quel suo impaccio iniziale, quel suo disagio, che lo chiudeva ermeticamente e lo teneva dentro di sé, celandolo persino a se stesso. «Foglie morte vestono l'innocenza di una pelle liscia»
Proprio pensando ai bambini ha fatto una scelta; in un certo senso quella scelta l'ha accettata perché fuoriuscita dall'anima, se l'è imposta; rientra nella sua concezione della realtà e dell'esistenza il considerare se stesso, come ogni altro uomo, come incapace di trovare un luogo, un ambiente in cui riconoscersi, in cui esplicarsi completamente. E così si rassegna, ritenendo necessario rassegnarsi.
«Non scarabocchio più il mio nome dove capita
riflesso lontano di un amore offeso
naufragato e affondato senza superstiti»

Dalla realtà, anche da quella in fondo negativa, accettando, e cercando in essa, tentando, quanto, quel poco di positivo, ch'essa potesse dargli, che da essa può ricuperare.
Ma anche questo atteggiamento sa, in qualche modo di costrizione, di un'autocostrizione; c'è in lui e nella sua poesia, appunto, la volontà di accettare quel che gli è dato come necessario, come inevitabile; e da parte sua vi è in ogni modo l'impegno di
«Raccontarsi» crearsi dentro un proprio spazio, le proprie difese per non sentirsi estraneo alla vita che lo chiama, all'arte che lo desidera.
«Luce, luci da oscuro ventre
Primi vagiti di chi già vecchio nasce
Vita di una sveglia, pila quasi scarica».
Egli è in piena coscienza della propria convinzione e della sua posizione artistica, e sa pure come dare all'attività poetica una parte più bella di sé e del suo tempo e come anche la sua produzione ne ricevesse l'impronta.
«Coro,coristi di atavico rituale
Porpora il colore di una veste sacra
Consuetudine di un profano e di un profumo».
A mia volta mi rendo conto, per queste sue replicate prese di posizione, per quanto scriva o dichiari, di quanto fossero vicine al mio pensiero le sue creazioni liriche. E ciò perché so bene quale potrebbe essere la sua reazione, per averla sperimentata altra volta, se pure in condizioni ben diverse.
«Strada,strade da percorrere senza una direzione
Affluenti di viuzze in chimeriche allucinazioni
Visioni frastornate di un reale confuso»

In questo momento è come trovarsi per la via, passeggiare tenendoci sottobraccio come amici che si conoscono da sempre, chiacchierando, quand'egli d'un tratto, come se non avesse più potuto trattenere un discorso da tempo maturato, avesse deciso di dargli corso, affronta l'argomento dell'arte, della condizione umana attuale e non solo nel nostro paese; e lo fa come ribellandosi a quell'accordo comune di vivere da vigliacchi, sapere e vedere che oggi basta uno starnuto perché parta un colpo d'arma da fuoco e muoia qualcuno o tanti.
«Bambini,uomini, intervalli di altezze differite
Segregazione di un corpo che consuma e non digerisce
Rullo compressore di anime lacerate e calpestate.

Amore,amori, prese di corrente alternata
Masochistico rito per bestie incattivite
Foreste,metropoli senza verde per pascolare».

Non ricordo se il discorso era stato intavolato, proprio ricordando questi versi, di certo so come fosse entrato nell'argomento, ma ricordo con piena chiarezza che, ad un certo momento, e forse proprio giacché io lo ascoltavo senza ribattere, senza avanzare nessuna obiezione, esclama:
«Bambini,uomini, intervalli di altezze differite
Segregazione di un corpo che consuma e non digerisce
Rullo compressore di anime lacerate e calpestate.

Amore,amori, prese di corrente alternata
Masochistico rito per bestie incattivite
Foreste,metropoli senza verde per pascolare».

Quest'affermazione nella quale riassume e la sua presa di posizione nel mondo artistico e specificamente della poesia accende la motivazione del suo discorrere e promettere di essere obbediente ad un principio di necessità, mai di opportunità in questo momento storico. Decisamente, perentoriamente afferma che, in quella contingenza, nella condizione in cui si trova il nostro paese e forse il mondo intero, non si presenta, non ci offre possibilità diversa da quella attuale se il Poeta, l'Artista in generale, non fa la sua scelta e combatta la sua battaglia con la penna, con i colori, con la musica, per scuotere gli animi.
Il responsabile del sito
<http://digilander.iol.it/wholt/> e di poeticamente, dovrebbe avere maggior cura di valorizzare nel giusto merito questo cantore dei nostri tempi, che canta la Vita.
Un abbraccio circolare con tutto l'amore che posso e l'augurio che il sole sia sempre più caldo e sincero come il vostro cuore desidera, Reno Bromuro

RACCONTARSI

Luce, luci da oscuro ventre
Primi vagiti di chi già vecchio nasce
Vita di una sveglia, pila quasi scarica.

Coro, coristi di atavico rituale
Porpora il colore di una veste sacra
Consuetudine di un profano e di un profumo.

Strada, strade da percorrere senza una direzione
Affluenti di viuzze in chimeriche allucinazioni
Visioni frastornate di un reale confuso.

Bambini, uomini, intervalli di altezze differite
Segregazione di un corpo che consuma e non digerisce
Rullo compressore di anime lacerate e calpestate.

Amore, amori, prese di corrente alternata
Masochistico rito per bestie incattivite
Foreste, metropoli senza verde per pascolare.

Sorriso, sorrisi di ipocriti Giuda
Quattro monete per un assegno in bianco
Futilità di vendere una ragione vuota.

Poesia, poesie di Noi a metà
Perfezione irraggiungibile di ignote divinità
Scheletri di calcio ossidato dopo una lunga stagione.

Puttana, puttane nella testa e nel cuore
Stronzo, stronzi mal celati fingono teneri sentimenti
Umanità vanagloriosa, merda da concimare.

Natura, nature ferite, oltraggiate, depauperate
Foglie morte da una clorofilla figlia di gramigne
Famiglie disgregate, rami secchi da estirpare.

Parola, parole che suonano come una vergogna
Liriche nauseabonde di surreale ottimismo
Lune, albe, tramonti, deliri di menti impazzite.

Occhio, occhi da aprire, da sempre ciechi
Psichedelico stato prenatale nutrito con polvere bianca
Soffice neve, oblio di sensi dimenticati.

Speranza, verde il colore stinto da portare in tintoria
Un nuovo soprabito per una nuova stagione
Il primo rammendo, una confezione già scaduta.

Genero, degenera il degrado di un'idea
Figlia abortita da un labirinto di domande
Pezzetti morenti di un'articolazione disossata.

Marco Saya
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Gentile Marco Saya,
vorrei informarla che desideriamo pubblicare su Letteratour un "Incontro" con lei nella prima settimana di settembre (lunedi' 02/09/02), dove inseriremo tutto il materiale da lei gentilmente fornito e due poesie tratte dal suo volume Raccontarsi.

Ne approfitto per farle i miei complimenti. Tra le poesie della raccolta, la mia scelta verte sicuramente su "Momenti", di cui ho apprezzato non solo la tematica amorosa e giocosa, ma anche l'idea del tempo che passa, scandito dalle emozioni, che si rispecchiano entrambi nell'attenta scelta fonetica, nella ripetizione dei suoni morbidi (scivola... scorrono... insinuose... ecc) e nell'uso cadenzato dei tempi verbali.

Non ho ancora scelto la seconda poesia, mi piaceva "Raccontarsi" perche' da' corpo al titolo della raccolta ma e' un po' lunga per la pagina che predisponiamo... Vedremo.

Ringraziandola ancora e rimanendo a sua disposizione, le mando i miei piu' cordiali saluti.
Buone vacanze!
Eloise Lonobile
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Gentile Sig. Saya,
mi scuso per la tarda risposta.
La Sig.ra Alba ha letto con molto interesse il Suo libro "Raccontarsi" trovando poesie dallo stile istintivo, quasi un pensare a voce alta leggendo immagini che passano davanti alla mente e che scivolano tra l'inchiostro della penna.

Questo libro, credo sia già stato pubblicato da Lei quindi chiedo, se ancora interessato, di metterci in contatto telefonicamente per poter parlare di una nuova pubblicazione o per poter visionare qualche altra Sua opera inedita.

Ringraziando per l'attenzione e restando in attesa di un Suo gentile cenno di riscontro, distintamente
per DOMINA EDITRICE
Daniela Dall'Ara
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A cura di: Christian Michelini </ym/Compose?To=cmichelini@bookplayer.it> Titolo: Raccontarsi Titolo originale: Raccontarsi Autore: Marco Saya Editore: Istituto Italiano di Cultura di Napoli Anno: 2002 Pagine: 52 Genere: Raccolta di poesie

Questa raccolta mi ha colpito per l'impronta stilistica adottata. Le poesie che compongono l'opera sono scritte prevalentemente senza punteggiatura, e le parole si avvicendano come flusso continuo, quasi ricordando il flusso di coscienza di Jack Kerouac. La capacità dell'autore di ricreare, tramite brevi frasi, a volte singoli termini, un'intera costellazione di sensazioni, pensieri, emozioni, ricordi, riesce ad farci partecipi di un mondo interiore articolato e sensibile, dai toni a volte languidi, a volte malinconici, spesso appassionati.
Gli argomenti trattati in questa raccolta sono principalmente l'aspetto tanatologico della vita, in particolare il senso di progressivo disfacimento temporale, che conduce alla morte: la nostra caducità quindi, ma anche la nascita e il termine ultimo, ma sfrangiato e nebuloso, di una passione amorosa; mentre, a contorniare l'impiantito malinconico delle liriche, sono le languorose melodie cui l'autore fa riferimento spesso nel testo.
Se cercate la metrica classica, certo in quest'opera non la trovere, ma, se quello che volete dalla poesia è soprattutto la capacità di ricreare pensieri istantanei e istintivi, allora nel presente volume potrete soffermarvi su complessi accostamenti di suoni, riflessioni, momenti, che l'autore ricrea con l'uso oculato di tratteggi verbali e abbozzi narrativi.
Solo alcune poesie risultano molto meno incisive, a tratti stilisticamente ingenue, in particolare mi riferisco a "Inquinamento" e a "Domande", la prima, perché la struttura elencativa fa da contraltare ad una chiusa finale scontata, soprattutto per chi ha già iniziato a leggere le prime poesie del volume, la seconda, perché l'avvicinamento bambino-adulto, nell'accezione tra idealità e gretto materialismo, è una caratterizzazione troppo scontata, almeno secondo il mio modo di intendere la realtà e l'arte.
La frammentarietà, che può apparire a prima vista leggendo l'opera, è uno dei suoi meriti maggiori, a mio vedere, perché tramite frasi spezzate, tronconi di parole, a capo errantici, Saya riesce a riproporre la complessa struttura del vivere, e del suo intimo percepire, con un dialogo quasi frattale con l'esistenza e la morte.


 

Consiglio questo volume agli appassionati di poesia contemporanea, in particolare se interessati ad approfondire, in poesia, tematiche come la morte, la passione, le relazioni amorose. Se volete leggere classici della letteratura, vi consiglio in particolare Salvatore Quasimodo <http://www.bookplayer.it/articoli.php3?id=3593> (l'impronta tanatologica nelle sue poesie <http://www.bookplayer.it/articoli.php3?id=3288> è fondamentale), Charles Baudelaire (per la frattura <http://www.bookplayer.it/articoli.php3?id=3034> con un passato di rigorosità pedante), Giacomo Leopardi <http://www.bookplayer.it/articoli.php3?id=3562> (per la sua capacità di tratteggiare sensazioni e di correlare amore e morte).

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Avete consigli, su come riuscire a tirare fuori ed esprimere il "potenziale poetico" che risiede in noi?
di Reno Bromuro
L'argomento della poesia è sempre autobiografìa della propria condizione umana. La storia delle pubblicazioni e delle elaborazioni d'ogni lirica possono confermare la veridicità poetica - morale di quest'affermazione, sapendo bene che la purezza dell'arte non è elemento da ritrovare nel laboratorio e che l'arte non esclude, l'umanità e la storicità e che il suo sigillo individuale è il riassunto delle aspirazioni collettive in cui la novità è l'inedito del sentimento, non la singolarità esteriore dell'immagine.

Non considerando questi principi fondamentali per un'arte maggiore, l'artista contemporaneo rischia di pagare a caro prezzo la sua ambizione.

Viene spontaneo pensare a Benedetto Croce quando afferma che «l'arte è intuizione»; ma Croce si riferiva, nella sua prima estetica, di far coincidere l'arte con un'intuizione primitiva.
Mi è capitato di notare, in questi ultimi tempi, che alcuni scrittori ed artisti che operano una rottura con il passato, nel senso delle forme ed anche dei contenuti, che si sono chiusi più di quello che potrebbero essere i conservatori; chiusi intendo, di fronte all'arte di domani.
La posizione dello scrittore, oggi, è tutt'altro che comoda, ed è qui la drammaticità d'essere artista. Quali le conseguenze? Bloccate e negate le verità supreme, con quelle morali e spirituali; distrutto ogni ideale, annullate le estasi suscitate dalla contemplazione della vera poesia. Si è precipitati nel deserto e nello squallore.

Quali i risultati? Quelli di una poesia non poesia che capovolge nei termini e nei valori linguistici, formali e contenutistici, nei risultati timbrici, per un indirizzo sicuramente amorale.
Una poesia non poesia con la parola che esclude le vibrazioni e le partecipazioni del cuore e del sentimento, si perde in un «guazzabuglio» di contraddizioni e di contenuti inconcludenti. Contraddizioni sconcertanti per fini irrazionali, fuori della logica delle cose della vita. Così si tende alla distruzione della poesia, contaminandone la bellezza e la presenza, convinti che il prepotere riduca l'uomo a robot, in un distacco preconcetto dalla sensibilità e dalla carica umana che lo fa vivere e intendere.

Occorre associare progresso e valori umani e non esaltare soltanto l'avanzata del progresso in funzione della distruzione dei valori umani. Per questo la vera poesia è sempre stata ed è stupefacente veicolo ai rifugi e alle folgorazioni spirituali, agli impeti d'amore e di elevazione, alle contemplazioni e ai sentimenti di natura interiore, con i riflessi esterni della natura e degli stupori dell'universo. Omero ancora una volta avverte, con una potenza e un valore di poesia sempre e universalmente contemporanea, anche se, più volte, gli si sono voltate le spalle. Forse è la mancanza dell'uomo - genio, dell'uomo prodigio che porta al non senso di molte opere letterarie smarrite nella ricerca dell'artificio.

Dunque, essere scrittore, oggi, è facile: basta avere dei soldi. Non interessa la storia che si narra, come la si narri (c'è stato chi si è fatto correggere l'opera e dopo aver avuto successo per le correzioni apportate ha mandato a «quel paese» il buono ma malcapitato insegnante); non si guarda più neanche al lessico: di questi libri ne è infestato il mercato! A questo punto, meglio se i giovanissimi non leggano questi libri; come sarebbe meglio che non ascoltassero le radio né vedessero le TV private.

Credo che tutto quanto si va creando (parlo di creazione, non di scopiazzature o di collage) è sempre utile e valido; una voce del nostro tempo, o per lo meno è materiale utile per stabilire il «nostro tempo». Come affermava Francesco Grisi: «il poeta deve essere, documento e testimonianza del suo tempo, come lo sono stati Dante e Marino» Che lo scrittore sia libero nel produrre, di mutare le sue chiavi espressive, i suoi interessi, le sue prospettive, le sue gerarchie dei valori; sia libero di proclamare il tramonto o la morte di certi valori, non è certo libero di stabilire ciò che oggi è voce del nostro tempo.

Ebbe a dire Pirandello, in un discorso tenuto a Torino nel 1922, che:
"I problemi del tempo non esistono per chi crea poiché il vero creatore è colui che si tiene nella norma: il mio regno non è di questa terra e tuttavia afferma di averne uno. lo sono uno di quegli scrittori che non si appagano del gusto di narrare una vicenda o un personaggio, ma che oltre quel gusto sentono un più profondo bisogno spirituale per cui non ammettono figure, vicende, paesaggi che non s'imbevano per così dire, d'un particolare senso della vita, e non acquistino con esso un valore universale. Sono scrittori di natura più propriamente filosofica. Io ho la disgrazia di appartenere a questi ultimi".

Ignazio Silone è per una permanenza della sostanza dell'uomo. «Sono i piccoli innovatori che spesso hanno messo e continuano a mettere a rumore e a soqquadro il panorama della vita culturale, sono i piccoli rivoluzionari che tengono quasi sempre comizio e si sbracciano minacciosamente, ma quando poi giungono i veri rinnovatori, eccoli ritornare alle antichissime matrici dell'uomo e riproporle nelle forme di una fantasia nuova che, quasi inavvertitamente, utilizza, sì, e si serve delle esperienze nuove che sono state sbandierate, ma le utilizza al modo d'un sarto che con la stessa stoffa preziosa e durevole inventa tagli nuovi, introduce altre fogge, e le arricchisce di nuovi bottoni».

L'arte, amici miei, è il regno delle forme, siamo d'accordo, ma a patto che non si dissolva l'essenza della forma.
La fantasia è in crisi, si sente dire in continuazione da tutti i pulpiti, mentre è in auge la cultura della persuasione. Ne deriva, però, una persuasione che lascia insoddisfatti il persuasore e il perseurante. La scarsa efficacia di ragionamento è un'arte che annoia per scarsità di fantasia e autenticità di sentimento.

L'artista dovrebbe operare e agire in un ambiente di estrema libertà. Ma il condizionamento che gli deriva dalla sua condizione di uomo basta a relegarlo in una prigione senza sbarre e senza via d'uscita: l'ambiente in cui si è formato, il luogo, la casa, gli interessi.

Il creativo, l'artista se preferite, ha necessità di operare in una forma unitaria, l'una integrata all'altra, solo così produce nella sua interezza, nella sua capacità di equilibrio produttivo. Ma le facoltà hanno subìto un processo di dissociazione e operano, oggi, nella maggior parte dei casi, ognuno per proprio conto. Di qui la crisi della fantasia.

La fantasia e l'immaginazione sono correnti che si sviluppano nella misura che coinvolgono tutte le facoltà dell'uomo, simultaneamente, armonicamente.

Si tratta, quindi, di ripristinare nello scrittore, l'integrità del suo composto umano e, senza la preparazione culturale non potrà mai avvenire, però come afferma Silone «è necessario ritornare all'uomo, quell'uomo che non muta e ritorna a riproporsi come il soggetto e l'oggetto della creazione artistica».

Questo vogliamo noi pur sapendo che, proprio questo è il punto che non esito a chiamare drammatico e tragico della vita, ancor più di quello che l'ingiustizia sociale. Questo è il nodo tragico: lo spettacolo della mancanza di una giustizia nei punti cruciali della letteratura, in quella che è la giustizia verità. Proprio questa mancanza mi dà la spinta a credere in un'altra giustizia: irrobustire l'associazione culturale che più fa gli interessi dello scrittore senza editore, per formare «la cultura della città nuova».

Probabilmente il dramma per la nostra generazione è di non poter vivere appieno l'estraneità degli avvenimenti che determinano un'epoca.

La «babele» in cui ci aggiriamo è l'inconfutabile Tragedia della poesia contemporanea. Non c'è esercizio di libertà per la mente, che procede per associazioni libere, divagazioni idiosincratiche, eccentriche annotazioni.

La nostra contemporaneità minaccia la parola musicale e la distrugge, perché ci viene meno il tempo della lettura in cui la parola è gustata. La poesia che altro è se non la parola che crea musicalità e immagini? Che altro se non la parola che prende gusto e sapore? E noi dovremmo leggerla di più, gustarla e masticarla lentamente per estrarne i suoi liquidi doni; ma, essendo più scrittori che lettori, ci neghiamo questo piacevole dono: gustare la poesia, centellinandola come un elisir meraviglioso e unico.

Ho detto: siamo più scrittori che lettori. Questa è la pietra che sostiene la letteratura oggi e vediamo estraneandola, togliendola dalle mura montanti di questo «palazzo senza fondamenta» che cosa accade. Sono certo che tutto crollerebbe lasciando un cumulo di macerie, di polvere che il vento del futuro spazzerebbe e del nostro passaggio non rimarrebbe nulla. Questi sono gli elementi esterni, gli indizi chiari dell'importanza di fare poesia oggi: autobiografia nemmeno trasfigurata.

Importante è scrivere, questo è il motto dei contemporanei. Perché leggere Bertolucci, Caproni, Sereni, Penna, Zanzotto, Pasolini, Bevilacqua, Montale, Luzi, Selvaggi, Strona, Remil, Santamaria, Massari, Sal Messina, Marco Saya e Borghi Santucci? tanto per fare qualche nome. Questi Maestri potrebbero insegnarci, ma c'è il dubbio che qualche loro verso rimanga nella memoria e inconsapevolmente si potrebbe scriverlo. Bella scusa per rimanere quello che si è: ignoranti!

Un innegabile aspetto negativo della situazione consiste nel voler possedere una biblioteca con tanti, libri le cui copertine ben s'intonano con il colore delle pareti e con il mobilio. A questo hanno pensato un certo numero di editori che hanno messo a portata delle medie borse i classici della letteratura italiana e straniera, in edizioni durevoli e non ingombranti.

Ma chi li legge? Essi sono lì, per fare buon'impressione sui visitatori, sugli amici, quale tappezzeria. La persona che vuole veramente erudirsi non ha bisogno di quelle edizioni robuste e durevoli, egli acquista i tascabili e li legge religiosamente, al punto che, quando ha finito di leggerli, sembrano ancora nuovi, mai aperti; e se non fosse per qualche sottolineatura giureresti che non sono stati mai aperti. Sono considerazioni materiali, è vero, ma tutt'altro che irrilevanti.

In questo stato di cose qualcuno può scorgere una reazione psicologica dell'uomo medio normale all'inflazione dei premi letterari. Quindi vale la pena esaminare il caso.

Innegabilmente, ai premi letterari e di pittura sono collegati anche interessi di carattere non prettamente culturale. Case industriali di varia natura, stazioni climatiche, gruppi locali di prestigio ed anche di potere, si mettono in gara fra di loro per organizzare il premio letterario e per distinguersi con questa o con quella procedura di giudizio e di premiazione, la cui singolarità attiri sul premiante, più che sul premiato, l'attenzione pubblica. Ma quanti dopo qualche tempo ricordano il nome del premiato o il titolo dell'opera premiata, a questo o quell'altro premio? Un fatto curioso, ma realissimo, è l'abitudine di comprare il libro ampiamente premiato, ma non certo per leggerlo, o farlo leggere a persona cara cui si vuole regalarlo.

Con questo presupposto nasce (come afferma Carpaneto) il «Premio Briccone»: l'industriale Caio ha in animo un giovane artista, che crede abbia talento, organizza un «Premio» raccoglie intorno a sé le firme più prestigiose, paga profumatamente e la firma perde la sua prestigiosità. Ma l'artista alle prime armi queste cose non le sa e se anche ne ha sentito parlare, fa finta di ignorarle; chiede un prestito in banca, fa stampare il «suo» libro dal primo editore che gli ha fatto un prezzo accessibile, concorre al «Premio» e solo dopo anni scopre che quel suo libro non è stato neanche visto né dal presidente la «Giuria Esaminatrice», né dai coadiutori. Allora subentra il disorientamento intrinseco e imbarazzante per un critico che voglia garantirsi una piena e costante libertà. Ma, un critico, umanamente parlando, non desidera d'essere accusato di non aver capito niente della destinazione dell'arte e di essersi venduto puntando sul cavallo perdente, pur sapendo che fra di loro non possono esimersi dal criticarsi a vicenda.

Viene da osservare che nel campo letterario, prerogative d'autorità sono state monopolizzate da gruppi di prestigio, o di potere molto energici nell'aiutare i protetti e nel combattere gli avversari, come pure molto scaltri nel far pagare a caro prezzo il loro appoggio a chi si sia arreso a cercare la loro alleanza.

Per combattere questo stato di cose che io chiamo «Racket dell'arte» si rafforzi, o si crei un'organizzazione socio - culturale efficiente, che metta in valore il giudizio, che ne ratifichi l'autorità, che ne difenda le ragioni e che, in questa difesa non agisca alla carlona.

Per spiegare il primo punto di questo scritto e cioè «il dramma» della nostra generazione, cercherò di farlo con semplicità, com'è mia abitudine, enunciando le condizioni dello scrittore, oggi. Vi dirò cose ovvie, anche cose crude, quasi brutali, perché desidero soltanto mettere un po' di chiarezza dove vedo confusione.

Per ritrovare l'equilibrio ci vorrà un formidabile lavoro di creazione intellettuale per re-inventare un sistema di razionalizzazione dell'arte, di un'arte che sia rispettosa di tutte le speranze dell'uomo; un'arte che sia competitiva, che funzioni lasciando campi innovativi e più vasti possibili a tutti i veri artisti togliendo, o dimezzando, il potere editoriale che fa il bello e il cattivo tempo esaltando il raccomandato, o l'amico dell'amico, penalizzando chi vale veramente, chiedendogli 3-5 mila ?, che il poveretto non ha, facendo sì che la sua opera, giudicata buona da quello stesso editore che gli ha chiesto migliaia di Euro, rimanga ancora nel cassetto. Questo significa che la libertà di esprimere le proprie idee non esiste: è solo una parola di sette lettere come la giustizia è di nove. La volontà di assicurare la non marginalizzazione degli scrittori «handicappati» è solo utopia. Intanto, il caos continua! Vanno sul mercato libri che non sono tali. Un giorno bisognerà pur affrontare questo problema: affermare il primato del diritto. Ma come? Non c'è una legge che protegga chi veramente vale, il cui talento è stato provato da centinaia di recensioni e da consensi editoriali. E lo scrittore povero ha le sue opere, qualificate tali da critici importanti di riviste specializzate, nel cassetto, perché la stampa ufficiale lo ignora perché non appartiene a nessuna scuderia di risonanza internazionale.

Parlo per mia esperienza personale, ma chissà quanti si trovano nella stessa condizione.
Già nel 1974 inviai il manoscritto di «Occhi che non capivano» (poesie scritte nell'arco dai cinque ai tredici anni) a cinque editori di risonanza internazionale; tutti e cinque si dissero compiaciuti di «quella poesia» (non credevo ai miei occhi!), ma che non avevano una collana in cui inserirla. Presi il coraggio a due mani, tirai la somma delle mie tasche sempre vuote; trovai un tipografo e feci stampare il volumetto; però fui costretto a togliere 24 poesie perché i soldi non bastavano. Vendetti 1680 copie; vinsi il «Premio Città di Roma» del 1975; il «Villa Alessandra», nel 1976; il «Pavaglione», nel 1982. Ricevetti molte lettere dai lettori occasionali e oltre 135 recensioni. Questa situazione si è verificata altre volte. «Camminare cantando» premiata a «II Letterato» di Cosenza nel 1973, non potetti pubblicarlo perché l'editore mi chiedeva 275.000 lire ed io non le avevo. L'ho pubblicato nel 1989, con i soldi del premio vinto al «Città di Palestrina»; ma quando riuscirò a pubblicare «Dove vai, Uomo?» «Il vaso di cristallo» e «Il vestito più bello» che hanno vinto il premio «Città di Palestrina»? E qui il dramma atroce della contemporaneità! Dramma che, raccontato in questo modo, potrebbe anche essere scambiato per farsa se in esso si scoprisse l'ironia.

Se in tanta «spazzatura» si riuscisse a trovare qualcosa! Perciò vale la pena tentare di pubblicarla in proprio (perché gli editori di grido chiedono, migliaia di Euro, quale collaborazione alle prime spese), ma appena il libro esce dalla tipografia comincia la farsa. Invii le copie per la recensione (170 minimo), e aspetti. Intanto solo di spese postali hai tirato fuori dal portafogli oltre cinquecento euro, più le copie che non hai venduto, per una recensione che non arriverà mai perché il recensore fa lo scrittore di professione e vuole essere pagato. Mentre aspetti cerchi un distributore, non lo trovi neanche se il libro glielo regali: sono tutti accaparrati dai grandi editori. E la farsa diventa tragedia! Per tale motivo, non mi meraviglio più di avere alle pareti, infiniti riconoscimenti, nella teca coppe e targhe; un medagliere, tra cui tre medaglie d'oro, mentre le opere rimangono nel cassetto perché, ripeto, non ho i soldi che un editore (il quale farebbe circolare la mia opera perché ha infiniti canali di distribuzione), mi chiede. Eppure nella sua proposta di edizione dice: «Abbiamo esaminato la sua opera e, avendola trovata interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici, ci fa piacere comunicarle che è nostra intenzione fare uscire il libro in una delle nostre collane». Nella copia del contratto allegata è specificato: art. 9: «L'autore verserà all'editore la somma di euro 2.737,00 da pagarsi: un terzo alla firma del presente accordo, un terzo entro trenta giorni dalla firma dell'accordo, un terzo (a saldo) alla restituzione delle bozze di stampa». Il che vuol dire pagare e aspettare un anno perché dopo un anno... c'è l'art. 21 che giustifica la mossa «l'editore chiederà all'autore (che potrà accettare o meno) se intende ritirare gratuitamente le copie invendute con a suo carico soltanto le relative spese di trasporto». Cosa significa ciò? Che l'editore in questione è un tramite tra lo scrittore e il tipografo.

Non lo sarà di certo tra l'autore e il lettore. Ma quest'editore appartiene alla categoria dei piccoli. I cosiddetti grandi, invece, chiedono di acquistare un tot numero di copie all'atto della firma del contratto e che, per dieci anni non potrai tentare neanche di venderle per rifarti in parte della spesa affrontata perché devi rispettare l'art. 6. Ma la cosa più assurda è che, dall'art. 10 del medesimo contratto, risulta che lui, l'editore, ha pubblicato il tuo libro dandoti un anticipo sui diritti di autore, pari al 10%. Ora ditemi voi se non ci sarebbe da impazzire! Ma è meglio ridere. (Intendiamoci per grandi intendo quelli un po' più conosciuti dei piccoli editori non certo di quelli famosi, me ne guaderei bene, anche perché ho avuto poco a che fare con loro, i quali mi hanno inviato sempre la solita lettera prestampata, come ho detto prima).

Questo perché non esiste una società letteraria, una legge che difenda l'autore. La SIAE lo tutela, è un'altra cosa. E' chiaro adesso che per diventare autore di grido, o almeno farsi conoscere occorre essere ricchissimi? Eh, sì! L'esperienza la pago sempre sulla mia pelle. Se per caso ti ribelli a questa consuetudine ci rimetti anche l'osso del collo; ma per rimettercelo devi prima possedere 5000,00 Euro, minimo.

Certo, nel trattare questo tema, così vasto e così presente, che non può fare a meno di toccarci tutti coloro che svolgono un'attività creativa, è stato presentato, naturalmente, direi ineluttabilmente, con il punto di vista troppo personale, ma ho fatto di tutto per porgerlo in linea generale. I problemi porti così in linea personale sono stati variati e contraddittori, che non mancano però della testimonianza di prima mano, che è pur sempre significativa della condizione in cui opera lo scrittore, oggi.

II cammino è aspro, duro e costellato di drammi e di tragedie, mobilita la sfera della sapienza, nell'ansia della sua perfettibilità. Però se sapremo essere umili e coscienti del benessere che apporteremmo alla società, se riuscissimo veramente ad unirci nel creare poesie che siano documento e testimonianza del nostro tempo; allora non solo le nostre coscienze sarebbero paghe, ma costringeremmo al cambiamento anche coloro che vivono all'ombra della protezione dei politici e dei magnati (in pieno sole), a fare vera arte.

Reno Bromuro

Distribuzione Nazionale Gruppo Librerie Feltrinelli
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Una Rivista per Tutti gli Artisti

Grazie ai vostri voti siamo entrati nei migliori 10 siti al Premio WWW2002 indetto, come ogni anno, dal quotidiano Il Sole24Ore, sezione Arte e Cultura, considerato l'Oscar del web italiano.
Il 26 Ottobre allo SMAU di Milano il sito www.rivistaorizzonti.net sarà presente, con gli altri finalisti, dove verrà designato il miglior sito italiano. Sul sito nella sezione NEWS vi terremo aggiornati sugli sviluppi futuri.


 

Queste le novità dei Consigli della Settimana <http://www.rivistaorizzonti.net/home.htm>:

bulletIL LIBRO:
Michele Serra - Cerimonie di Francesco Denti
bulletIL FILM:
Un viaggio chiamato amore di Luigi La Rosa
bulletMUSICA MUSICA:
Oasis - Heathen Chemistry
bulletLA NOTIZIA:
Marocco: invito alla lettura di Luigi La Rosa

Ricordiamo inoltre:
bulletPILLOLE D'ARTE
Comunicati stampa per ogni forma d'Arte <http://www.rivistaorizzonti.net/pillole.htm>

questa settimana:
Napolipoesia 2002
Pennellate che lasciano il segno
Premio Nazionale "Città di Villa Literno"

 
bulletL'Ufo Pierufo
Le vignette "quasi" quotidiane di Alberto Paolotti <http://www.rivistaorizzonti.net/home.htm>
 
bulletBiblioteca dell'Inedito

Nella sezione narrativa:Resurrezione di Francesca D'UffiziNella sezione poesia: Raccontarsi di Marco Saya <http://www.rivistaorizzonti.net/biblioteca.htm>

 
bulletGli Esordienti <http://www.rivistaorizzonti.net/esordiente.htm>
Questa settimana 9 nuove poesie (Antonio Bassano, Michela Bizzi, Tommaso Chimenti, Valentina Corona, Simone Fontana, Alba Ghiglia, Anna Messina, Eliude Santana, Teresa Sciddurlo), 8 nuovi racconti (Jolanda Celeste, Romana Giaffei, Enzo Iorio, Glauco Juliano, Paolo Martin, Eliude Santana, Rosario Pizzone, Giorgia Soresina) e 2 nuove immagini (Marco Agazzi e Alessandro Biserna)
Inviaci le tue opere da pubblicare sul sito della Rivista Orizzonti

L'Editore Giuseppe Aletti

 

 

 

 

 

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Abroad: 150 Euros or US$ fee per year on the bank current account number 22663801 (CIN: E; ABI: 07601; CAB: 03400) or a 160 US$ check per year made out to:

Istituto Italiano di Cultura di Napoli, via Bernardo Cavallino, 89; 80131 Napoli (Italia)

 

 

 

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Aggiornato il: 18 marzo 2003