L'autore in questa sua ultima opera parte da dove ci aveva lasciato nel suo precedente libro, da quei "Passaggi segreti" (2008) che in questo costituiscono il titolo del primo capitolo. Si tratta di "Passaggi segreti verso l'inconscio", ossia di "residenze emotive" che però non sono oggetto di un discorso astratto, puramente teorico, bensì si trovano in una esperienza remota della propria infanzia, cristallizzata nell'immagine della "porta murata" nei sotterranei dell'antica casa di famiglia nell'Appennino bolognese: un'efficace metafora di quali "stili di contatto e di esplorazioni" adottare in tale compito, accedere verso l'inconscio appunto. La psicoanalisi è per Bolognini "la scienza della via percorribile all'inconscio": "percorribile" ci trasmette l'idea di rispetto per quella porta, per quel "limen" che non deve essere infranto con "martello e scalpello", come l'autore da adolescente, con l'irruenza tipica di quell'età, avrebbe avuto l'intenzione di fare. Fuor di metafora la percorribilità si attesta come dimensione etica, ancor prima che deontologica, nel senso di rispettare quanto il paziente è in grado di percorrere insieme all'analista in questo viaggio verso la "porta murata" che non è detto che si apra una volta per tutte e rivelerà chissà quale mistero dietro di essa. 

Il tema del confine, a me tanto caro sin dal 2007 quando ho curato il libro La psicoanalisi e i suoi confini, è uno dei temi "trasversali" dei vari capitoli del libro di Bolognini, che sono ideati non come sistematiche trattazioni di altrettanti temi clinici (ciò non è né nelle intenzioni né nello stile di scrittura di questo libro) ma come punti nodali di una trama rispetto a cui il dibattito odierno intorno ai concetti più complessi della psicoanalisi fa da ordito. 

Uno di questi concetti che ha a che fare col confine è quello di Preconscio a cui è dedicato il primo capitolo. La "percorribilità" all'inconscio dipende molto dalla "praticabilità" del preconscio che Bolognini accosta, metaforicamente, ai passaggi sotterranei che collegavano tra di loro i castelli medievali. <<La praticabilità del Preconscio, quando possibile, consente di solito un considerevole risparmio energetico, perché i passaggi (più o meno segreti) permettono di bypassare senza dazi, controlli e controversie le dogane dell'Io difensivo e del Super-io>> (p.15). 

Percorribilità all'inconscio e praticabilità del preconscio sono al cuore di problemi, non solo tecnici, che riguardano quanto il paziente senta di essere avvicinato e rispettato, piuttosto che pretendere, come spesso accade, che egli unidirezionalmente si avvicini e rispetti la psicoanalisi. 

Per l'autore della magistrale opera "L'empatia psicoanalitica" (2002) e della voce "Empatia" in Psiche (2006) non c'è da sorprendersi che il preconscio rappresenti una così primaria area di interesse. Con un'espressione tratta dal mondo del cinema Bolognini afferma che nell'area del preconscio <<carrelliamo avanti e indietro tra processo primario e processo secondario, tra razionalità, ricordi e fantasie più o meno insensate, in una dimensione fluttuante molto prossima all'onirico; e l'apparente vaghezza (...) del nostro affidarci alle associazioni e alle percezioni complesse è riscattata dalla rigorosità del setting che abbiamo cura di mantenere, e dall'assetto interno articolato con cui al Preconscio stesso diamo spazio e credito>> (p.10). Il percorso diventa quello della visione analitica attraverso cui si possono sondare le profondità per il momento inaccessibili dell'inconscio. <<(...) gli analisti che sono in grado di intravvedere l'ambiente profondo dell'Inconscio del paziente non sono perlopiù in condizione di sperimentarlo davvero per contatto e di trattarlo direttamente: attraverso l'oblò della loro visione analitica possono al massimo cominciare a orientarsi e iniziare cautamente per entrambi il movimento dei materiali profondi verso il Preconscio: che sarà invece il livello psichico di massima trattabilità interpsichica in analisi>>(p.12).

La comprensione teorica da parte sia dell'analista che del paziente,  <<L'illusione che vedere/capire in astratto produca magicamente il trasformare e il guarire>> (p.12), non è sufficiente, ma è pur vero che sminuire l'importanza della teoria (che ha una utilità di pre-visione, in quanto 'theoreìn' significa "vedere", ossia "anticipare un percorso" e "orientarsi in esso") non permetterebbe di dare un nome ed un senso alle cose, suggerendo rappresentazioni altrimenti inconcepibili <<anche quando non ci consente il contatto visivo, diretto e pieno con esse>>(p.13). 

La metafora del sottomarino che esplora attraverso l'oblò la "fossa delle Marianne" permette quindi di creare un'immagine efficace di quella <<teoria psicoanalitica (che) è un'espressione scientifica (in molti casi ipotetica) comunque preziosa e necessaria per l'Io di lavoro>> (p.13). Il rischio però è quello di identificarsi troppo con un certo autore o con una certa corrente, quando dalle trial identifications (Schafer) si passa a forme pericolose e massicce in cui <<si diventa l'altro, ma si perde sé>> (p.13). Se l'identificazione è propriamente inconscia (Grinberg & Grinberg), quella con gli autori di "culto" non lo è da meno rispetto a quella con le figure di riferimento dell'infanzia dell'analista. E Bolognini aggiunge: <<Abbiamo il compito interminabile di coltivare la nostra relazione con questi oggetti interni psicoanalitici, relazionandoci con essi intensamente e creativamente ma senza farli diventare sostitutivi rispetto al nostro Sé; ammirandoli  e amandoli, quando le loro qualità ce lo consentono, dialogando con essi, imparando e arricchendoci di introiezioni parziali, ma rispettandone l'alterità. Se entriamo nel sottomarino dimenticandoci della nostra fragilità, finitezza e reale identità, perdiamo il contatto interno e il senso di noi stessi>>(p.14). 

Al Preconscio sono dedicati i capitoli dal secondo al quarto, il secondo con un'importante esplorazione sul 'problem solving' (termine mutuato dalle teorie e terapie cognitiviste) e sull'intuizione,  il terzo sulla rappresentazione e sulla sintonizzazione, ed il quarto sull'intimità.

Per quanto riguarda l'intuizione, e partendo da una nota di Kohut per cui i processi mentali che appaiono intuitivi e sorprendenti per la loro capacità di ottenere risultati 'speciali' in realtà differiscono dai processi mentali 'oedinari' solo per la loro velocità, Bolognini ricorre ad un'interessante metafora per spiegare ciò, una metafora che al contempo spiega anche le differenze tra funzionamento nevrotico e quello psicotico. Egli afferma che mentre il nevrotico <<viaggia con tutto il suo carico (sintomatologico, onirico, economico) di bagaglio a mano, in un regime di sempre più precaria e costosa rimozione nell'Inconscio dinamico>>, sostenendo spese molto alte, e però "non perde capitale" (perché il patrimonio del Sé viene rimosso ma non scisso), all'opposto, <<i pazienti capaci di robuste scissioni e proiezioni di parti interne del Sé risultano semplificati, impoveriti tanto nel contenuto quanto nell'articolazione del Sé, e conseguentemente più "leggeri">>(p.33). Bolognini però in questo passo si riferisce non ai classici quadri di psicosi o di funzionamento borderline multisintomatici, ma a quei soggetti apparentemente paucisintomatici, che pagano il prezzo di un basso dispendio energetico con un impoverimento del sé ("viaggiano senza bagaglio a mano"), anche se possono essere particolarmente "specializzati" in un campo particolare. La velocità dei passaggi mentali e del funzionamento intuitivo di queste personalità può allora altamente impressionare.

Dopo il quarto capitolo sull'intimità (che è una rielaborazione del discorso inaugurale che Bolognini tenne al Congresso Internazionale dell'IPA di Buenos Aires nel 2017 in qualità di presidente), il quinto capitolo è dedicato ad una disamina e differenziazione concettuale tra interpsichico, intersoggettivo, interpersonale e transpsichico, in verità un capitolo piuttosto arduo che forse avrebbe meritato un'ulteriore elaborazione e chiarificazione di questi concetti. Se, per Bolognini, il "transpsichico" appartiene all'ordine di <<una interazione di qualità violenta, disturbante, intrusiva o deprivativa, poco elaborabile>> in cui <<il Sé sarà violato e il non-Sé risulterà traumatizzante>>(pp.64-65), per illustrare l'interpsichico Bolognini ricorre ad un esempio della vita quotidiana, quella di una chiacchierata sul bus, uno scambio che non implica il definirsi né come "soggetti" né come "persone", ma un "funzionamento a banda larga", <<nel senso che consente la coesistenza naturale e non dissociata, ma in continuità, di stati della mente in cui l'oggetto (...) è pienamente riconosciuto nella sua separatezza, con altri in cui tale riconoscimento è più sfumato: ciò non per motivi patologici, ma per una temporanea e transitoria condizione di fusionalità commensale e cooperativa che fa parte del normale, buon convivere mentale degli esseri umani>>(p.74). Un capitolo molto denso questo ma anche meritevole di ulteriori chiarimenti.

Senz'altro più scorrevole è il sesto capitolo in cui l'autore espone "Sei provvedimenti tecnici minimi di uso comune", cioè strumenti tecnici 'minimi' nel senso che, secondo l'autore sono stati ingiustamente poco valorizzati dalla letteratura psicoanalitica, pur in realtà (o forse proprio per questo, mi verrebbe da pensare) essendo accomunati dall'essere <<percepiti come essenzialmente e consensualmente naturali nel dialogo analitico>> (p.77). Ad esempio, domande che iniziano con "cioè?", con "tipo?" o con "in che senso?" non sono solo delle semplici e ovvie richieste di esplicitazione, ma  possono prendere in contropiede le difese dell'analizzando, risultando delle forme di "richiesta-aspiratore", con le quali, scrive Bolognini <<cerco di far lavorare il paziente sugli aspetti descrittivi e qualitativi di ciò che sta dicendo, in modo che vada più avanti, e che entri anche nel merito dei colori, delle temperature, della qualità dell'esperienza, di possibili somiglianze con altre situazioni>>. <<La terza domanda di questa categoria, "in che senso?">> aggiunge ironicamente Bolognini <<è ancora più malandrina e intrigante>> (p.78). Una serie di scenari relazionali si possono aprire grazie a queste richieste minimali: ammissione da parte dell'analista di non capire (e quindi di non essere onnipotente), espressione del proprio interesse per ciò che sta dicendo l'analizzando ma contemporaneamente messa in un processo discussione di ciò (trasmettendo al paziente l'idea di aver inteso che le difese sono all'opera e che egli <<non accetta passivamente questo contratto di belligeranza censoria e di castrazione funzionale che è la resistenza>>, p.78), rinuncia alla "condizione di enigmaticità dell'oggetto analista" (non sempre scevra da compiacimento narcisistico dalla parte dell'analista). Certo il chiedere non è di per sé esente da rischi: l'analista è come un allenatore che deve sapere fino a che punto può chiedere al paziente (immagine molto bella ed efficace). Il chiedere da parte dell'analista può essere vissuto come una forma di intrusività o di persecutorietà, ma anche produrre, agli occhi del paziente, una de-idealizzazione dell'analista, una <<"deflazione almeno parziale dell'idealizzazione dell'oggetto, che in alcuni casi potrebbe  rivelarsi prematura e troppo brusca>>(p.80). è cruciale per evitare ciò una "modulazione di similarità e di alterità", ossia saper porre le domande da parte dell'analista con il tono di chi si trova "alla stessa altezza". 

Dopo il capitolo settimo "Prima dell'intersoggettivo. La clinica dei pazienti "preoggettuali" e "preanalitici", dedicato a tre casi clinici, quello di Giorgia, di Grazia e  di Renata, l'ottavo capitolo è senz'altro tra i più impegnativi del libro, in quanto lo stesso tema lo è: "Psicoanalisi e psicosi. Ritrovare il sé per ricostruire l'io". Come precisa l'autore all'inizio del capitolo, non si tratta di aggiungere altri contributi alla già copiosa letteratura sul trattamento psicoanalitico della psicosi (agli autori citati - Bion, H. Rosenfeld, Searles, Pao, Badaracco, Zapparoli, D. Rosenfeld - mi sento di aggiungere anche Salomon Resnik), ma si tratta di una trattazione dal punto di vista psicoanalitico <<delle alternanze tra i livelli relativamente sani - inclusi quelli nevrotici - e i livelli psicotici di funzionamento mentale>> (p.95). Il tema può essere svolto da un duplice punto di osservazione, da quello psichiatrico, relativamente agli esordi psicotici (breakdown) dei giovani pazienti, e da quello psicologico-psicoanalitico, per una sempre migliore capacità degli analisti di cogliere all'interno di uno spettro ampio le fluttuazioni funzionali tra gli estremi del funzionamento psicotico vero e proprio e quello sano. L'autore ne sviluppa la seconda di queste due possibilità, in particolare dal punto di vista dei rapporti tra il Sé e l'Io. Attraverso due vignette cliniche, una anche "storica", appartenente all'esperienza clinica pluridecennale dell'autore che ha seguito pazienti anche nell'Ospedale Psichiatrico, si può assistere ad un 'range' che va da un paziente "non psichiatrico" in analisi con un funzionamento psicotico pervasivo (ma non a tal punto da dover essere seguito da un servizio psichiatrico) ad un paziente manicomiale che, paradossalmente, desta scalpore nel personale per un suo 'guizzo' di insight. Il rapporto tra Sé ed Io in questa fluttuazione del funzionamento psichico tra questi due estremi può essere analizzati da più vertici. Ad es. intrapsichico, con una attenzione al "dispendio economico" (come già spiegato nel primo capitolo con la metafora del "bagaglio a mano") differente tra funzionamento nevrotico e funzionamento più scisso/dissociato, oppure ad una visione più strutturale, in cui il rapporto tra Io e Sé viene visto come equivalente simbolicamente a quello madre-bambino. In quest'ultima accezione compito della psicoanalisi sembra quello di "rifamiliarizzare" l'Io con il Sé, ovviamente ampliando la visione, durante il trattamento, ad un'ottica non più solo intrapsichica ma anche intersogettiva ed interpersonale: <<il lavoro di riattualizzazione e di ricreazione di questa scena inconscia fondamentale nella scena analitica viene poi sperimentato intersogettivamente e interpersonalmente da entrambi i partecipanti, analista e paziente, almeno in parte secondo la modalità malgré soi: cioè in modo non intenzionale, non programmabile, spesso spiacevole e altrettanto spesso non analizzabile al momento, ma solo strada facendo e a posteriori>>(p.101). In questo ambito l'agieren freudiano viene declinato nelle sue moderne manifestazioni dell'enactment e della funzione 'delle parole che sono azioni". Per l'autore <<dopo il sogno, il transfert, il controtransfert e l'enactment, l'attraversamento degli stati del Sé (...)>> costituisce <<l'ulteriore evento psichico e relazionale che la psicoanalisi saprà adottare e trasformare da problema intra- e transpsichico a strumento interpsichico (...)>> (p.117).

L'ultimo capitolo, il nono, "'Ubique et semper. Equivalenze e consustanzialità tra passato, presente, futuro temuto e futuro potenziale nell'esperienza analitica" ha come oggetto un elemento <<caratteristico dell'assetto analitico contemporaneo, sospeso e fluttuante tra diacronia e sincronia: la capacità di frequentare in modo fluido e duttile, alterno e reversibile (in un certo senso, un biglietto aperto di andata e ritorno) le diverse dimensioni del passato, del presente in seduta, dell'attualità fuori seduta, del "tutte le volte che..." ripetitivo in tante situazioni della vita, e della realtà onirica atemporale profonda, in contatto con le varie opzioni funzionali dello psichismo dell'analista e di quello del paziente>> (p.123). La nostra è un'epoca di integrazione, ed anche la psicoanalisi deve integrare, secondo le parole dell'autore, <<la visuale del passato e del presente, nel vissuto soggettivo in psicoanalisi, con quella del futuro potenziale, a volte intravisto, immaginato, rappresentato nei sogni e in certe fantasie anticipatorie, o semplicemente nelle associazioni: un futuro sperato o temuto, che fa parte, in certi momenti, della vita mentale, e di cui possiamo essere testimoni o - meno spesso - cointerpreti nella situazione analitica, che si declina ubique et semper : sempre e dovunque>>(p.124). Il passaggio successivo del capitolo è la distinzione tra ciò che si ripete, ciò che ricorre e ciò che si ritrova. Differente è la qualità del tempo vissuto in queste tre situazioni: è un tempo appiattito nella ripetizione patologica, un tempo ritmico nella ricorrenza, ed un tempo rispettoso della distanza, della perdita e dell'assenza nel ritrovamento (pp.134-135). La consustanzialità, concetto con cui Bolognini si congeda dal lettore, permette di creare una continuità tra queste dimensioni temporali, tra il racconto cosciente del paziente rispetto al "là ed ora", il riferimento inconscio al qui ed ora della relazione con l'analista, la traccia mnestica del là ed allora, lo stile che ha con tutti gli oggetti che si presentassero nella realtà esterna in condizioni equivalenti, e infine la relazione con l'oggetto nell'assoluto atemporale onirico che si ripete se non intervengono ulteriori processi trasformativi.

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Bolognini, S. (2002), L'empatia psicoanalitica, Bollati Boringhieri, Torino.

Bolognini, S. (2006), voce "Empatia" in Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze, Einaudi, Torino.

Bolognini, S. (2008). "Passaggi segreti", Bollati Boringhieri, Torino.

Leo, G. (a cura di) (2007), La psicoanalisi e i suoi confini, Frenis Zero, Lecce (2.a edizione Astrolabio, Roma 2009).