L'intervento del prof. Prenna


 

Si è scelta una fra le molteplici possibilità di lettura di questo tema che ritengo possa essere utile per rileggere la formulazione stessa che sul piano storico e dottrinale ha portato ad una relazione ben definita tra cristiani e politici e politica nello stesso tempo dovuta soprattutto alla elaborazione di J. Maritains. Si deve infatti a lui la  formulazione stessa dell’espressione “ da cristiani”.

Maritains iniziò a formulare questo modulo di relazione nel momento in cui uscì dal movimento

integralistico Action Francais che del resto Pio XI aveva condannato.In questa occasione scrisse un’opera “Primato dello spirito” nella quale distinse per la prima volta la duplice appartenenza , tema caro alla riflessione dei cattolici in politica e del Concilio vaticano II. La duplice appartenenza dei cristiani in quanto cittadini appartenenti alla città terrestre, la cui finalità è la realizzazione del bene comune; e in quanto credenti appartenenti al quel regno di cui la Chiesa è l’inizio e che ha per finalità la vita eterna, la salvezza ultima. In questa distinzione, diceva Maritains, ci sono deviazioni che i cristiani compiono come cittadini, e altri azioni come credenti. Questo tema poi verrà ripreso in modo compiuto nell’opera “Umanesimo integrale”, nella quale sviluppa un teoria ben precisa del rapporto tra la duplice cittadinanza ed elabora un modello di relazione tra le due città, perché il tema all’origine della riflessione è agostiniano, che viene ulteriormente sviluppato da M. grazie anche alle sue letture di Tommaso d’Aquino. Nella sua opera “De civitate Dei”, Agostino contrappone la città terrena alla città celeste, emblematicamente significate dalla contrapposizione tra la Babilonia, che rappresenta Roma, e Gerusalemme figurazione e inizio dell’ultima città celeste; l’una è la città dell’uomo, l’altra è la città di Dio, la città terrestre che è la rappresentazione dell’amor sui, dice Agostino, la città celeste che invece è fondata sull’amor Dei, l’amore di sé e l’amore di Dio. Ma Agostino dice in modo radicale e con una contrapposizione significativa che la città della terra è fondata sull’amore di se stesso spinto fino al disprezzo di Dio, la città del cielo è fondata dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé. Questo scenario disegnato dalla opera di Agostino evidentemente è uno scenario di contrapposizione non di tipo urbanistico, ma sono due civiltà, due concezioni, due culture. Ma la città terrena è subordinata alla città celeste, come la materia è subordinata allo spirito, il corpo all’anima, la terra è subordinata al cielo. Su questa relazione di subordinazione si costruisce col tempo e soprattutto nel modello medievale la superiorità della Chiesa, inizio e immagine della città celeste sull’Impero e sullo Stato poi, espressione della città terrestre. Da qui poi ne trae fondamento teorico la superiorità della Chiesa sulle potenze della terra. Il medioevo fisserà nella concezione teocratica questa relazione e questo modello di relazione definirà anche un modo di essere della cristianità, che lo stesso M. definirà concezione sacrale delle cose temporali. I tratti costitutivi di questo ideale storico che nel medioevo trova la sua realizzazione, troviamo tre aspetti che ci permettono di capire che tipo di modello è questo della concezione sacrale delle cose temporali. Il primo è l’unità della città terrestre e dell’ordine temporale, dirà poi M. con una espressione tipicamente sua, in quanto fondata sull’unità spirituale e religiosa. In altre parole l’unità della fede  e l’unità religiosa fonda l’unità politica, l’unità dell’ordine temporale, la fede è criterio di unità dell’ordine temporale, quindi il principio e il fondamento dell’unità sono collocati nell’ordine delle cose spirituali. Anche questo riprende la relazione tipica della Scolastica secondo cui l’anima è forma , secondo la concezione aristotelica e quindi tomistica sostanza, quindi costitutiva del soggetto. L’anima nell’ordine della realtà sociale è principio delle cose spirituali, la fede creduta, che diventa la forma costitutiva della realtà stessa. Il secondo tratto è la subordinazione dell’ordine temporale all’ordine spirituale, questo perché l’unità a cui si è accennato non è organica, noi diremmo è una unità di subordinazione perché il corpo svolge nei confronti dell’anima una funzione ministeriale, strumentale e quindi il compito dell’ordine temporale è quello di servire all’ordine spirituale. Nella civiltà medievale, dice ancora M., le cose che sono di Cesare, pur essendo nettamente distinte dalle cose che sono di Dio,avevano in larga misura una funzione ministeriale, il termine viene usato nel significato etimologico di “servire a”, nei confronti delle realtà ultime, e perciò erano causa strumentale nei riguardi del sacro, quindi semplice mezzo nei confronti della vita eterna. Il concetto di braccio secolare è costruito su questa subordinazione. Terzo punto è l’impiego dell’apparato temporale per fini spirituali, che è una conseguenza di ciò che è stato detto, cioè l’apparato istituzionale dello stato è utilizzato per il bene spirituale degli uomini e per l’unità spirituale dello stesso corpo sociale. E così anche l’eretico è considerato non solo un infedele per la chiesa, ma è anche un soggetto socialmente pericoloso e quindi perseguibile non soltanto perché ha scelto qualcosa di diverso da quanto la fede comune crede e pensa, ma perché socialmente rappresenta un soggetto di anomalia, disturbo di questa unità sociale fondata sull’ordine spirituale. Questo modello di  relazione che attraversa vari secoli e giunge fino ai nostri giorni è messo in discussione dall’avvento della società moderna e dall’avvento del pluralismo delle culture.

La concezione espressa dai tempi moderni viene definita da M.”concezione profana cristiana del temporale”. I tratti di questo modello alternativo sono: invece del predominio dell’ordine spirituale su quello temporale emerge una struttura organica di relazione dettata soprattutto dall’avvento del pluralismo. Si tratta, afferma M. del concetto di  una città pluralistica che riunisce nella sua unità organica una diversità di gruppi e di strutture sociali che incarnano delle libertà positive. Il tema del pluralismo è trattato ampiamente da M. e rappresenta una prefigurazione degli anni successivi, M. scrive negli anni ’30, di quello che negli anni successivi il pluralismo cosiddetto avanzato  e perfino frammentato ci consegnerà. L’altro tratto è che al posto di una concezione cristiana dello stato si afferma l’autonomia dell’ordine temporale “Si precisa la nozione di città laica –dice M.-  o di stato laico, cioè uno stato in cui il profano e il temporale abbiano un loro compito e la loro dignità di fine e di agente principale”. Il concetto di profano che ha un valore di fine è visto da M. in contrapposizione al modello medievale. Il profano è fine infravalente, cioè non definitivo perché rinviano ad una ulteriorità di fini che sono quelli assoluti. Sono fini pieni nel loro ordine pur essendo relativi all’ordine assoluto. Assumerli nella loro pienezza di fini sta la loro estrema dignità e quindi la possibilità di proporsi come obiettivo dell’azione sociale e dell’azione politica, quindi l’autonomia delle realtà temporali, tema caro alla Gaudium et spes , il principio della distinzione nell’unità , o l’unità dei distinti che, in altre parole, enuncia il principio della laicità. Per capire il senso di questa affermazione bisogna tener conto che questo modello di relazione medievale è modello d’identificazione dell’ordine temporale con l’ordine spirituale. Nella società occidentale sono state espresse anche altre formule, come quella della separazione dei due ordin. La proposta di M., ma era stata anche di Rosmini, è di distinguere nell’unità o anche distinguere per unire. Questo concetto nella lezione conciliare viene ripreso in modo quasi identico, per esempio nella G.S. troviamo “ la Chiesa , che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l’umanità e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena…. Tale  compenetrazione di città terrena e città celeste  non può certo essere percepita se non con la fede “ Questo implica non confusione dei due ordini, ma una istanza di distinzione; le cose dei due ordini che pur s’intrecciano e che sono contemporaneamente presenti nell’esperienza umana e quella cristiana di ciascuno, devono essere ricondotti ad una autonomia di appartenenza che vuol dire  che la legittimazione delle cose temporali non è mutuata dall’ordine spirituale e che quindi “le cose create hanno leggi e valori propri”(G.S.) . Si parla di autonomia delle cose create, non d’indipendenza, concetto evidenziato dal n.36 della G.S., cioè l’universo creato che appartiene all’uomo può conservare la sua natura di creazione rivendicando un’autonomia, che è alterità del creato rispetto al creatore secondo la teologia cattolica, non si tratta né di emanazione, né una continuazione sostanziale dal creatore, ma una distinzione dal creatore, e quindi ha una sua autonomia di   entità  ,    non una indipendenza perché è originato, non può sussistere sin dal principio da sé, senza che altri l’abbia fatto sussistere. La fede in quanto tale non offre un modello sociale culturale politico definito, essa è fonte d’ispirazione dell’agire politico, non ha un suo modello da proporre in quanto fede, e quindi in quanto cristiani non abbiamo un modello politico da proporre, ma lo abbiamo in quanto cittadini ispirati alla fede.Un passaggio del n.76 della GS dice che è di grande importanza in una società pluralistica aver una chiara visione del rapporto tra la chiesa e la comunità politica e la netta distinzione tra le cose che i fedeli compiono come cittadini guidati dalla coscienza cristiana dalle azioni che compiono in nome della chiesa in comunione con i pastori. Qui ritorna la distinzione di M.: “da cristiani”è la formula dell’agire in quanto cittadini, impegnando se stessi, la propria credibilità e coscienza sia pure ispirati dalla fede, e altre sono  le azioni che compiamo in quanto credenti impegnando la nostra fede e in nome della chiesa. E’ un pensiero non lontano dalla situazione presente attraversata da ricorrenti clericalismi, da rapporti non sempre definiti di quello che è l’ambito della chiesa e di quello che compete allo stato; né lontano dall’istanza di laicità che deve guidare l’agire politico. Proprio la distinzione tra l’ordine temporale e l’ordine spirituale dovrebbe rendere consapevoli che l’esercizio politico non deve ridursi ad una predicazione teorica dei valori da una parte, perché deve cercare strumenti politici per tradurre questi valori; dall’altra parte  non deve essere pretesa di firmare le azioni politiche in nome della religione del cristianesimo, come non esistono leggi cristiane, né una politica cristiana, se mai possono esistere leggi pensate da cristiani, elaborate anche da cristiani. Qui è il versante di distinzione dei due poli che non legittima lo schieramento dei cattolici dall’una  o dall’altra parte, il criterio della laicità della politica rappresenta l’elemento di discernimento e di valutazione, perché si assiste ad un uso strumentale della chiesa e della religione, degli oratori e della scuola cattolica da parte delle forze politiche. Il principio di laicità può essere concepito e vissuto nella sua pienezza ,proprio perché di matrice cristiana, proprio da chi è profondamente cristiano, paradossalmente, perché è il cristianesimo che ha insegnato la distinzione tra le cose di Cesare e le cose di Dio, a distinguerle pur tenendole unite, offre la possibilità di utilizzare il criterio per non confonderle, per non strumentalizzarle per una forma di concessione strumentale della politica.

Se la finalità dell’ordine temporale è il bene comune, dobbiamo analizzare se l’azioni di questa politica,di  questo governo, sono finalizzate al bene comune, se non prevalga l’interesse particolare, se c’è una effettiva esposizione verso le fasce deboli, che hanno effettivo bisogno, in base a questi principi si può dare una riposta senza voler valutare nello specifico gli atti del governo; e è ancora valida la considerazione del presidente della Cei ,all’indomani della caduta del principio dell’unità politica dei cattolici , che afferma che è legittima la presenza dei cattolici in tutti gli schieramenti, ma non tutti gli schieramenti sono compatibili con la fede cristiana. All’interno dell’intero arco che va dall’estrema destra all’estrema sinistra si debbano valutare le formazioni che siano compatibili con la fede cattolica, nonostante si parli di de-ideologizzazione dei partiti e quindi della riduzione dei partiti a strumento della politica, in realtà hanno un forte tasso di contenuti valoriali che obbligano la valutazione e il discernimento. In base a questo possiamo considerare il rapporto che c’è tra integrazione e immigrazione, quali sono i disegni di legge che attualmente prevedono di regolare questa materia, che cosa c’è in questo di attenzione alla persona come tale, perché altro è accettare l’immigrato perché lavora, e mi è utile, allora lo faccio rimanere  solo fino a che lavora e poi se ne deve andare;altro è dire che è una persona umana indipendentemente dal fatto che mi è utile o no io lo accolgo e anzi cerco di rendergli la vita migliore. Non si può essere indifferenti di fronte a questa realtà, perché la legge Bossi non è come la legge Turco –Napolitano – Iervolino. Su questo  la valutazione non è di carattere tecnico, ma di carattere specifico.

 

Da cristiani in politica