Un'altra globalizzazione - Un mondo giusto è possibile


Sentinelle del Mattino


Discorso del Papa ai partecipanti alla plenaria della Pontificai Accademia delle Scienze Sociali


Troppe illusioni nei processi "spontanei" (di G. De Rosa)

Dal no-global al new-global (di E.Diaco)


 

Il testo che segue è frutto di un ciclo di incontri con persone singole e soggetti collettivi, e costituisce la base condivisa di un arco di forze quanto più ampio possibile.

Viene proposto dai promotori del Comitato “L’altra globalizzazione. - Un mondo giusto è possibile”  come proposta analitica e programmatica intorno a cui raccogliere  adesioni al Comitato stesso.

Foligno, 6 settembre 2001

1. Il comitato Un’altra globalizzazione. - Un mondo giusto è possibilenasce a Foligno per  impulso dei giovani che hanno partecipato alle manifestazioni promosse dal Genoa Social Forum e si propone di dare continuità a quell’esperienza, allargando l’area delle adesioni e radicandola in un’attività organizzata di informazione, riflessione critica e promozione di azioni di  solidarietà e cooperazione.

2. Il concreto dispiegarsi dei processi di mondializzazione sta infatti rapidamente tradendo la promessa che ad essi si accompagnava: il mondo si unifica, ma aumentano vertiginosamente le disuguaglianze tra chi ha tutto e chi non ha niente.

Nuove aree del mondo vengono raggiunte da improvvisi flussi di investimenti ma questi –invece di dar  luogo ad un processo di sviluppo economico, sociale e civile- producono uno sfruttamento selvaggio          dei lavoratori e dei territori, spesso fondato sulla negazione dei diritti elementari di cittadinanza, su          forme di militarizzazione del lavoro, sulla devastazione delle risorse territoriali e di equilibri urbanistici          già precari, sulla negazione della sovranità alimentare, sulla cancellazione delle culture locali.

La riduzione delle distanze, la libera circolazione di uomini e capitali sta così producendo il contrario di quanto previsto dai teorici del neo-liberismo: non  un mondo più unito, più vario, più colorato, ma la plumbea uniformità di un unico modello di vita e di consumo, accompagnata da drammatiche disuguaglianze nell’accesso alle risorse e ai beni.

Intanto la de-localizzazione della produzione industriale praticata dalle imprese multinazionali rompe –nei paesi avanzati- il nesso tra lavoro e modello di civiltà, diritti del lavoro e diritti di cittadinanza: disoccupazione e precarizzazione del lavoro diventano esperienza comune, mentre sicurezza, pensioni, assistenza sanitaria, istruzione, cultura tendono ad uscire dalla sfera dei diritti e tornano ad essere –come prima della secolare esperienza del  movimento operaio- merci disponibili a pagamento, cioè accessibili solo a chi se le può comperare. Si diffonde così il rischio dell’incertezza, quale carattere endogeno alla globalizzazione, che nasce dall’idea che per indurre la gente a essere più produttiva bisogna tenerla  nell’incertezza; e avanza l’idea che le disuguaglianze sono ineliminabili, destinate a crescere, e che perciò occorre valorizzarle assumendole come fattori di stimolo, di dinamismo e di crescita.

 Più povera si fa  così di giorno in giorno, anche sul piano dell’esperienza simbolica, la condizione dell’uomo occidentale: più che progettare liberamente la nostra identità, la relazione con gli altri e le condizioni della nostra esistenza, noi siamo per lo più intenti ad organizzare strategie di vita all’interno di  un paesaggio rigidamente organizzato dalla dimensione unica del consumo e dalla straripante presenza del sistema delle merci: semplificazione dei bisogni umani, atrofia del desiderio, impoverimento della vita interiore caratterizzano in modo sempre più pervasivo e soffocante la nostra civiltà.

La globalizzazione configura così anche un modello culturale, una concezione della vita; una forma            perversa dell’interdipendenza tra gli uomini, basata sulla cultura della competizione, dell’estraneità e            della libertà dall’altro: una libertà intesa come indifferenza alle condizioni altrui e come assenza di            qualsiasi vincolo.

Si ripropone dunque in forme nuove il grande tema democratico della libertà: sia nella sua dimensione individuale (la tutela di una identità personale e irriducibile, al riparo dalla colonizzazione dello spazio simbolico), sia nella sua  valenza collettiva e comunitaria (il valore della diversità delle culture locali, l’obbligo di ciascuno verso tutti,  l’apertura al dialogo interculturale).

Infine – proprio nel momento in cui l’esplosione demografica e le tecnologie della comunicazione rendono evidente anche alle persone meno attente il fatto che “il mondo  è piccolo”  e che le risorse fondamentali della vita sul pianeta (terra, aria, acqua) sono limitate- la rapida espansione del mercato globale accelera drammaticamente la devastazione ambientale, aprendo la via al saccheggio di risorse, territori, aree urbane che vengono sottratte al controllo delle comunità locali, sottoposte ad uno sfruttamento breve ed intensivo e poi abbandonate al loro destino.

 

 

3. Tutto questo, però, non è  -appunto- un destino, né il portato necessario della rivoluzione tecnologica in atto. E’ piuttosto il frutto di una inedita concentrazione di poteri su scala mondiale e di scelte precise (politiche, economiche, sociali) compiute all’interno delle società industriali avanzate, cioè all’interno del “nostro” mondo.

Scelte compiute da pochi, al di fuori delle tradizionali sedi della democrazia politica; accompagnate          da una vasta offensiva culturale, che ha dato luogo ad una sorta di “pensiero unico”; e infine          legittimate –per complicità, per inadeguatezza o anche solo per “mancanza di alternative”- da istituzioni democratiche che si sono via  lasciate espropriare dei propri poteri.

Da questo punto di vista, la cosiddetta “crisi dello Stato-nazione” è innanzitutto una crisi della democrazia. Cioè una nostra sconfitta.  L’avanzare impetuoso di processi di finanziarizzazione dell’economia mondiale; l’impoverimento e la decadenza della dimensione politica; la delegittimazione di ogni interrogativo sui fini intorno a cui si debba organizzare la vita associata; la riduzione della politica a tecnica dell’amministrazione ;  l’affermarsi di una dimensione puramente strumentale e “tecnica” del pensiero; l’affidamento ad esperti e specialisti di decisioni che tradizionalmente competevano alle comunità umane ed al formarsi, al loro interno, di una volontà collettiva; l’adozione del criterio del profitto come unica misura legittima dell’agire economico: tutto ciò sta producendo il paradosso che abbiamo fin qui  sommariamente tratteggiato. Si realizza così un vero e proprio tradimento del progetto democratico della modernità.

Proprio per questo - perché si tratta in fondo di scelte fatte da uomini in carne ed ossa- noi pensiamo che sia ancora possibile contrastarle, correggerle e rovesciarle, rimettendo in funzione la risorsa  democratica e riaprendo un confronto ed un conflitto sul presente e sul futuro della nostra civiltà.

 

 

4. Tre condizioni, in particolare, debbono realizzarsi per rendere possibile questo ripensamento:

§         La costruzione di istituzioni internazionali autorevoli, legittimate e democratiche, in cui  tutti abbiano spazio e torni a farsi sentire la voce  di ciascun popolo, e l’interesse dell’umanità nel suo insieme. In questo quadro, più ampio riconoscimento va dato al ruolo che già da anni sono venute svolgendo – nel concreto dei processi di cooperazione allo sviluppo - le Organizzazioni Non Governative.

§         La crescita di un movimento internazionale di critica del presente e progetto del futuro, capace di tenere insieme lo scandalo per l’ingiustizia quotidiana  e la ricerca di risposte nuove ai problemi della convivenza umana. Non c’è una sola, obbligatoria via allo sviluppo economico e sociale: un mondo giusto è possibile e sta a noi costruirlo.

§         La promozione di soggetti economici alternativi (banca etica, commercio equo e solidale, le attività del cosiddetto “Terzo settore”, gli strumenti della cooperazione allo sviluppo locale) anche attraverso adeguati strumenti legislativi in grado di sostenere la loro permanenza nel mercato, entro una varietà di modelle produttivi economicamente validi, ecologicamente e socialmente sostenibili, mirati alla crescita delle economie marginali.

Per l’affermarsi  di queste condizioni Genova  è stato insieme un passo avanti e un passo  indietro: lì è emerso  con chiarezza, sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale, il limite intrinseco di un dispositivo di potere che taglia fuori dalle decisioni i rappresentanti della maggioranza dell’umanità, trasformando miliardi di persone in destinatari passivi – nella migliore delle ipotesi- del “conservatorismo compassionevole” predicato dal presidente degli Stati Uniti.

Ed al tempo stesso è emersa, nelle drammatiche giornate di Genova, la straordinaria potenzialità innovativa del movimento di contestazione ed insieme la sua fragilità: la sua vocazione profetica e accanto ad essa, però, la necessità di sottrarsi alla spirale protesta-repressione-radicalizzazione della lotta- repressione più dura.

Più ancora, le giornate di Genova, oltre le inaccettabili violenze delle frange facinorose che hanno oscurato le ragioni di chi intendeva manifestare pacificamente, hanno anche evidenziato al mondo, nell’azione di repressione messa in atto dagli apparati dello Stato, comportamenti inammissibili, tali da mettere a rischio le garanzie stesse dello stato di diritto. Si è di certo evidenziata una carenza assoluta di gestione delle forze dell’ordine nel garantire il bene di tutti, nella tutela di chi esprime pacificamente le proprie idee e nella prevenzione e repressione dei reati.

 

 

5. C’è dunque, da ogni punto di vista, un grande lavoro da compiere.

Il comitato “L’altra globalizzazione. - Un mondo giusto è possibile vuole contribuire, pur nei limiti della dimensione locale e nella modestia delle risorse che può mettere a disposizione, a questo disegno così ambizioso.

Non intende sovrapporsi alle iniziative già in atto, né inglobarle o condizionarle, ma offrire loro l’occasione di un confronto e di un riconoscimento reciproco.

E’ aperto  al contributo di persone singole, associazioni, partiti, organizzazioni sindacali che ne condividano l’ispirazione  e avvertano il bisogno di una sede più ampia in cui condividere esperienze e riflessioni, e attraverso la quale tenere aperto un dialogo continuo con la cittadinanza, la pubblica opinione e le istituzioni.

Si organizza su basi pienamente democratiche e regola la sua vita interna nelle forme e secondo le regole che verranno concordate tra gli aderenti.

Sceglie il terreno dell’azione non-violenta, nel solco di una tradizione che è specifica dell’Umbria, come propria ispirazione e regola di condotta, considerando la violenza estranea al perseguimento della democrazia, che non esiste se non è costruita con la ricerca paziente e faticosa del consenso sulle idee.

Intende promuovere l’informazione, la riflessione critica, lo scambio di conoscenze ed esperienze, il sostegno ad azioni di solidarietà e cooperazione internazionale, l’accoglienza dei cittadini del mondo immigrati nelle nostre città, la mobilitazione democratica delle coscienze, l’iniziativa politica ed istituzionale sui temi della pace, della cooperazione tra  i popoli, dello sviluppo compatibile. In questo quadro, un’attenzione particolare avrà la ricaduta locale dei processi di mondializzazione, sia sul versante dei consumi di massa e degli  stili di vita, sia su quello delle specifiche vocazioni produttive del nostro territorio (agricoltura di qualità, prodotti tipici, ecc.)

Su tali basi il comitato fa proprie le proposte avanzate dal Genoa Social Forum nonché dal Manifesto ”Sentinelle del mattino” delle Associazioni Cattoliche (A.C.I., ACLI, GIOC, Focolarini, Agesci, ecc.) intorno ad alcuni temi di immediata attualità: la cancellazione del debito internazionale dei paesi poveri; la cosiddetta Tobin-tax; la campagna contro la diffusione dell’AIDS in Africa; la lotta contro una legislazione restrittiva volta in sostanza ad impedire l’immigrazione o rendere incerti i diritti dei cittadini immigrati.

Tali temi, peraltro, sono ben presenti nel programma della Marcia della Pace Perugia-Assisi del 14 ottobre e della 4^ Assemblea dell’Onu dei popoli, promossa dalla Tavola della pace. Il Comitato Un’altra globalizzazione. - Un mondo giusto è possibile, nel dare la propria adesione a tali iniziative, si impegna a promuovere, tra i giovani e nella cittadinanza, la più ampia e qualificata partecipazione. Un analogo impegno sarà dedicato ad accompagnare il vertice della FAO, in programma per il mese di novembre.

Foligno, 6 settembre 2001

 

          I promotori del comitato