GLOBAL... ALTRIMENTI
di a cura di Giovanni Ferrò Alberto Chiara e Luciano Scalettari

Tre ore di discussione a viso aperto nella sede milanese della redazione di Jesus. Quattro ospiti di prestigio. Un tema appassionante: l’atteggiamento dei cristiani di fronte alla globalizzazione. In queste pagine, una sintesi del dibattito, coscienti che tanti nodi restano da affrontare

  •  Jesus: L’incontro del G8 di Genova ha avuto un impatto esplosivo, oltre che sul dibattito politico complessivo, anche all’interno delle discussioni che attraversano da tempo il mondo cattolico italiano. A Genova e, di recente, anche a Firenze, si è visto che il tema della globalizzazione è un nodo che divide profondamente il mondo cattolico. Partendo dalle medesime premesse – gli identici valori ispirati al medesimo Evangelo – e con la medesima buona coscienza e buona fede, diversi esponenti del mondo cattolico hanno preso orientamenti e compiuto scelte contrastanti o, addirittura, opposte. Prendendo atto di tale diversità di punti di vista, nel mese di giugno Jesus aveva avviato un dibattito con l’obiettivo di esplicitare i nodi critici e dar modo alle varie parti di argomentare le proprie ragioni. Eravamo partiti dall’intervento di padre Gheddo, che oggi è qui con noi. Le sue tesi, in sintesi, sono: 1) i cattolici "no-global" rischiano di svalutare la propria identità culturale e religiosa e di essere subalterni ad altre visioni del mondo, non cristiane o addirittura anti-cristiane; 2) nel Sud del mondo, lungi dall’essere un retaggio del colonialismo, il cristianesimo è stato e può essere ancora in futuro il vero motore dello sviluppo, così come è successo in Occidente, dove ha dato forma al capitalismo e alla modernità. Partiamo allora da queste due considerazioni iniziali.

Gheddo: «La domanda vera quando parliamo di globalizzazione, a mio giudizio, deve essere: "Che cosa possiamo fare noi per i poveri?". Su questo, tra noi cattolici, non c’è unità di analisi né concordanza di soluzioni. La spaccatura tra Nord e Sud non è solo tra ricchi e poveri, ma anche tra alfabetizzati e non alfabetizzati, tra popoli che vivono in regimi democratici e popoli che vivono sotto dittature o in democrazie non ancora mature, popoli che vivono in pace e popoli che vivono in guerra. Nella Populorum progressio, Paolo VI parla di questo, ma alcuni passaggi di tale enciclica sono stati completamente dimenticati dal mondo cattolico. Si ricorda la Populorum progressio solo quando tratta dei commerci, degli scambi e degli aiuti internazionali, mentre tutta la parte teologica, sulla Chiesa e lo sviluppo, sull’opera dei missionari, sugli urti tra civiltà che si incontrano, che vanno a velocità diverse e vivono in epoche storiche diverse, non viene presa in considerazione...».

·        Jesus: E sul tema del cristianesimo come fattore di sviluppo?

Gheddo: «Non è certo un’invenzione mia. Fior di studiosi – da Max Weber, a Toynbee, da Dawson al cardinale Newman – attribuiscono il grado di sviluppo alle radici culturali dei singoli popoli. E tra le radici culturali più profonde c’è certamente l’identità religiosa. Il mondo ebraico-cristiano ha generato la nostra civiltà occidentale, che tutti i popoli ci invidiano. Questa considerazione mi ha attirato un sacco di contestazioni: "Tu sei razzista, tu pensi che gli altri siano inferiori". Niente affatto. Penso semplicemente che la Parola di Dio – l’apparizione di Dio nella storia dell’umanità, attraverso la Bibbia, e attraverso Gesù in particolare – non ha efficacia solo nel senso spirituale della salvezza delle anime, ma ce l’ha proprio nella storia dell’uomo, porta cioè con sé quei princìpi – la dignità assoluta della persona umana, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, la solidarietà... – che poi hanno generato il progresso, così come lo vediamo oggi. In particolare, per ciò che riguarda il rapporto tra uomo e natura, nella Bibbia si dice che essa è stata creata al servizio dell’uomo: "Dominate la natura per preparare un mondo migliore, il regno di Dio...". Da qui lo speciale rapporto tra uomo e progresso, tipico delle civiltà cristiane. Questa coscienza del valore del cristianesimo come motore di sviluppo non deve divenire però un vanto. È, al contrario, una grande responsabilità. La Chiesa sul tema dello sviluppo dice che "il dono più grande che noi possiamo fare ai popoli è l’evangelizzazione". È incontestabile il fatto che, introducendo il Vangelo in mezzo a un popolo, a distanza di anni, esso cambia la mentalità, la cultura, umanizza i suoi valori e il popolo comincia ad avere coscienza della sua dignità».

Monaco: «Provo a rispondere alle due questioni iniziali. La prima è una preoccupazione: e cioè che i cattolici che partecipano ai movimenti no-global non siano "subalterni" ad altre visioni del mondo. La seconda è un interrogativo, non nuovo: "Il cristianesimo è alla radice dello sviluppo dell’Occidente?". Per quanto riguarda la prima questione direi che, così espressa, è ineccepibile la preoccupazione e la raccomandazione connessa, e cioè che non si sposino inavvertitamente visioni della vita e del mondo incompatibili con la propria ispirazione. Tuttavia aggiungerei due osservazioni. La prima è che, in forza del principio di creazione e di incarnazione, e anche del nesso inscindibile tra verità e carità, l’impegno per l’umanizzazione del mondo è irrinunciabile per un cristiano, perché appunto la salvezza cristiana non può prescindere dal suo profilo storico-civile. Quindi che i cristiani partecipino a questi movimenti che, in qualche modo, si interrogano sul modello di sviluppo e si adoperano per il riscatto umano e sociale mi pare quasi d’obbligo. Seconda osservazione, sempre sul primo quesito, è che questo impegno per l’umanizzazione del mondo e per il riscatto dell’umanità è per eccellenza il terreno della convergenza, non solo auspicabile ma anche possibile, tra i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà».

·        Jesus: e il secondo punto?

Monaco: «Il cristianesimo ha certamente operato una cesura rispetto alle culture cosmologiche precristiane, introducendo nella storia delle civiltà questa enfasi sull’autonomia, sulla responsabilità, sul protagonismo dell’uomo nei processi di trasformazione del mondo e, dunque, nel "progresso". Dove stanno l’equivoco e l’insidia? E dove si innestano delle improprie sovradeterminazioni di questa considerazione di carattere storico-culturale che mi pare oggettiva? Il primo è di far coincidere il cristianesimo con l’Occidente: esso può perfettamente convivere con altre forme di civilizzazione e sarebbe improprio, quasi una diminutio per il cristianesimo, immaginare che possa convivere solo con la forma di civilizzazione occidentale. Bisogna dunque distinguere evangelizzazione e civilizzazione. Seconda osservazione: riconosco ovviamente che dentro l’Occidente si danno valori positivi, anche storicamente alimentati dal cristianesimo, però la forma concreta della civiltà occidentale sotto vari profili fa problema, eccome, alla coscienza cristiana. Infatti, proprio quei valori di dignità della persona, di uguaglianza, di libertà, sono paradigmi del cristianesimo che, proiettati sulla civiltà occidentale, ne rivelano i suoi macroscopici limiti e insufficienze. Come non vedere che, sotto molti profili, l’ethos dell’Occidente è lontano e persino in contrasto con il cristianesimo?».

Gheddo: «Che il cristianesimo non possa identificarsi con l’Occidente lo sappiamo benissimo. Tutte le volte che Giovanni Paolo II è andato in Africa, per esempio, ha invitato le popolazioni a non imitare l’Occidente. Il pensiero del Papa è molto chiaro in proposito: lo sviluppo dell’uomo non deriva primariamente dal denaro o dalla tecnica, ma dalla formazione delle coscienze. A Puebla, alla Conferenza dei vescovi latino-americani del 1979, aveva detto: "Il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione che lo dispone a realizzarsi come figlio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente". Questo non vuol dire andare solo ad annunciare il Vangelo. Il Vangelo lo si porta anche condividendo, aiutando, imparando, dialogando, ecc... Ma sempre "a causa del Vangelo". A me pare che, nel mondo cattolico quando si parla di questi temi, non si tocca quasi mai l’esperienza dei missionari, l’evangelizzazione e l’influsso che il Vangelo ha sulle culture e sullo sviluppo. Si parla sempre e solo di soldi, di aiuti, di tecniche, di macchine, ecc. La contestazione che facevo al manifesto sul G8 di Genova di "Sentinelle del Mattino" è proprio questa: che si occupava solo di questioni materiali».

 

Bartolomei: «Sono d’accordo che non bisogna dimenticare l’evangelizzazione e l’opera dei missionari. Per il resto, però, vedo le cose da un altro punto di vista. Quando il Papa dice che non sono il denaro e la tecnica che promuovono un popolo, sento che questo monito è prima di tutto indirizzato a noi occidentali, che viviamo sotto l’idolatria del denaro e della tecnica. Quindi è giusto dire "più Vangelo!". Sì, ma "più Vangelo" per noi: siamo noi popoli ricchi che dobbiamo essere evangelizzati prima di tutti. Per questo motivo trovo sia molto rischioso dire, come sembra fare talvolta padre Gheddo, "noi occidentali e cristiani", come fossero la stessa cosa. Occorre tutelare il Vangelo, evitare di schiacciarlo sotto le nostre realizzazioni, che sono in parte realizzazioni imperfette del Vangelo e in parte crasso peccato, male e basta. Quando diciamo "noi", dobbiamo ricordare che "noi" siamo coloro che come scoria della nostra ricchezza, produciamo la fame del Sud del mondo. E allora come possiamo essere credibili quando diciamo: "Noi vi annunciamo il Vangelo". Sono convinta che il Vangelo abbia una forza straordinaria, che muti le coscienze, le faccia maturare. Però per onestà bisogna anche guardare l’altra faccia della medaglia: che il cristianesimo appare ai popoli del Sud del mondo come la religione dell’impero. È vero, abbiamo prodotto uno sviluppo tecnologico enorme, che ha dato ai nostri popoli un livello di vita mai raggiunto prima né altrove. Ma la logica del mercato è tale che, perché ci possa essere il lusso estremo del Nord, è necessaria la miseria e lo sfruttamento del Sud. La sua ingiustizia, con gli occhi del Vangelo, è plateale. E chi dice che questo sistema neo-capitalistico non può essere cambiato, commette un vero peccato di idolatria. L’hanno fatto gli esseri umani, Dio è solo uno, tutto il resto è mutabile e dobbiamo almeno provare a cambiarlo».

Zanotelli: «Io parto da una premessa: il mio punto di vista non è imparziale, anzi è molto di parte. L’esperienza di Nigrizia e, ancora di più, quella di Korogocho mi hanno segnato profondamente. Proprio partendo da questa premessa, vorrei dire che noi missionari siamo parte integrante del mondo occidentale. E per questo ci sono parecchie cose di cui dobbiamo chiedere scusa. Il Papa l’ha già fatto, chiedendo più volte perdono. È un atteggiamento di onestà, il fatto di lasciarsi interpellare dalla storia. Sono convinto, quindi, che se in Occidente deve nascere una teologia veramente inculturata, potrà essere soltanto una teologia della penitenza. Non vedo altra possibilità. Per venire al movimento di Genova – che io preferisco chiamare "la società civile che si organizza" –, sono stato ben felice che i gruppi cattolici si siano schierati, anche se differenziandosi da altri. È chiaro che non possiamo essere subalterni ad altre visioni del mondo. Ma penso anche che chi è sceso in piazza a Genova, in buona parte, provenga da un impegno di ispirazione cristiana. Dietro questa mobilitazione, quindi, c’è la percezione di moltissimi credenti che un cambiamento nelle faccende del mondo sia urgente. Non mi è piaciuto lo slogan di Genova: "Voi G8, noi sei miliardi". Non è vero! Se fossimo onesti, dovremmo dire: "Noi ricchi un miliardo e 200 milioni, voi poveri 4 miliardi e oltre". Questa è la divisione vera. Anche chi contesta deve farsi carico del fatto che appartiene al mondo occidentale, alla parte di mondo che vive molto bene. E dall’altra parte c’è chi vive sulla soglia della povertà o addirittura in vera miseria. Non è questione di nord e sud geografico. Il vocabolario non rende bene la realtà. I poverissimi ci sono anche qui da noi. A Korogocho bastava che mi spostassi di quattro chilometri e arrivavo in un quartiere che sembrava il Paradiso terrestre. Dunque la linea di demarcazione è trasversale. Ma sia chiaro che ci sono due mondi: chi detiene tutte le ricchezze e opportunità, e chi invece non detiene nulla. Noi parliamo di globalizzazione ma forse dovremmo, più precisamente, parlare di questo mastodontico impero del denaro, cioè di un complesso sistema economico e finanziario che permette al 20 per cento del mondo di mangiarsi l’83 per cento delle risorse del pianeta».

·        Jesus: Che cosa ne pensa della questione del rapporto tra cristianesimo e civiltà occidentale?

Zanotelli: «Bisogna guardare alla storia con un occhio meno schematico di quanto non faccia padre Gheddo. Citava la civiltà greco-romana, certo. Ma in Africa pure ci sono state grandissime civiltà. Quella Ashanti, per esempio, sotto il profilo artistico non è certo inferiore a quella greca. E che dire della civiltà egizia? Certe letture della storia un po’ semplicistiche sono frutto di pregiudizi ideologici. L’Impero romano ci ha lasciato in eredità il culto del diritto, ma era il diritto solo dei cittadini romani: e Roma ai tempi di Augusto aveva un milione di abitanti, di cui centomila cittadini romani e novecentomila schiavi. Per l’Apocalisse, l’Impero di Roma è la grande bestia che sfrutta e opprime, e che dovrà rendere conto di tutto il sangue versato (cap. 18). E ancora, se ci cimentiamo con le teorie storiche, perché non ricordare Giovanni Arrighi, lo storico inglese secondo cui le radici del capitalismo occidentale, da cui deriva questa globalizzazione, non stanno tanto, come si è spesso pensato, nel calvinismo ma ben prima, nelle cattolicissime Repubbliche Marinare, Venezia, Genova, ecc... Arrighi tra l’altro sostiene che furono i banchieri genovesi a finanziare le avventure coloniali nel "Nuovo mondo" dei reami di Spagna, dissanguati dalla terribile guerra contro i mori e rei di avere espulso gli ebrei. E se questo è vero, ciò pone ancora più problemi a noi cattolici: la "conquista" delle Americhe con il relativo genocidio dei popoli indigeni, la schiavitù... Innestare su tutto questo processo il nome "cristiano" è estremamente grave. È un accostamento che mi fa male. Anche io penso che il Vangelo sia profondamente liberante, ma legare il Cristo all’Occidente è pericolosissimo: si corre il rischio di legarlo a un peccato enorme. E se Cristo è prigioniero dell’Occidente, allora i missionari, qualunque missionario, finisce per essere imperialista».

·        Jesus: Padre Gheddo diceva prima che finché non c’è unità nell’analisi, non c’è possibilità di arrivare a conclusioni comuni. L’impressione è che talvolta non si sia d’accordo neppure sui dati di partenza. La domanda, allora, è questa: siamo tutti d’accordo nel prendere come parametro di riferimento le statistiche che vengono fornite dalle agenzie dell’Onu? Siamo d’accordo che esiste circa un 20 per cento di mondo che consuma oltre l’80 per cento delle risorse del pianeta? E siamo d’accordo sul fatto che la forbice tra ricchi e poveri, negli ultimi decenni, si è andata allargando?

Padre Gheddo: «Non siamo per nulla d’accordo! Secondo la Banca mondiale, nel 1820 l’85% della popolazione mondiale viveva al di sotto della soglia di povertà, e allora la popolazione mondiale si aggirava intorno ai 900 milioni di persone. Nel 1980 il 30% della popolazione mondiale (cioè 1 miliardo e 400 milioni di persone) era sotto il livello minimo. E nel 2000 si è passati al 20% della popolazione mondiale (cioè 1 miliardo e 200 milioni). Quindi dal 1820 a oggi i poveri nel mondo sono aumentati in termini assoluti, perché è aumentata la popolazione mondiale. Ma non è vero che la povertà sia cresciuta in termini relativi. Il numero dei poveri anzi è diminuito in termini percentuali alla popolazione».

Zanotelli: «Circa un miliardo e mezzo di persone vive con meno di un dollaro al giorno, mentre il 20 per cento ricco della popolazione mondiale possiede e consuma l’83 per cento di tutte le risorse».

Gheddo: «Su questo non siamo d’accordo».

Zanotelli: «Sono dati della Banca Mondiale».

Gheddo: «No, non "possiede", ma "produce", che è ben diverso. E per rispondere alla professoressa Bartolomei, non si può affermare che "noi siamo la causa della loro povertà". Storicamente non si può sostenere un’affermazione del genere. Come mai solo il colonialismo occidentale – a differenza di altri – ha innescato nei popoli quei valori, quei princìpi di dignità dell’uomo, di libertà, di uguaglianza tra uomo e donna, ecc...? Il colonialismo ha avuto tanti effetti positivi. Non si può dire il contrario».

Zanotelli: «La conseguenza di quello che dici è: ricolonizziamo l’Africa e il Sud del mondo. È questa la logica conclusione del tuo ragionamento».

Gheddo: «Io questo non l’ho mai detto. Dico solo che l’Occidente, il 20% della popolazione mondiale, produce l’83% delle ricchezze. Se non siamo d’accordo su questo...».

Bartolomei: «Ma con quali materie prime?».

Gheddo: «A Vercelli produciamo 75 quintali di riso l’ettaro, la materia prima è il sole, la terra e l’acqua. In Africa producono 4 quintali di riso l’ettaro. Oggi le materie prime diventano sempre meno importanti. Il problema radicale della povertà del Terzo mondo è la mancanza di educazione e di produttività».

Bartolomei: «Se discutiamo dei meccanismi economici che governano il mondo, occorre ragionarne in base ad analisi adeguate e specifiche, non basta qualche esempio. Bisogna parlare dei modi di produzione ma anche di quelli con cui vengono commercializzati i prodotti. Si prenda il caffè: finisce per impoverire costantemente i Paesi produttori perché a commercializzarlo sono le multinazionali. Noi paghiamo un etto di caffè 2.500 vecchie lire; il contadino che si spacca la schiena nella piantagione ne prende solo 149. La materia prima sulla quale lucrano le multinazionali produce soldi per gli uni e povertà per gli altri...».

Gheddo: «Non nego che per alcuni Paesi del Sud del mondo sia vero quello che lei dice, ma qui stiamo cercando di capire quale sia la radice profonda del sottosviluppo, stiamo ragionando sul perché i poveri sono tali e su come aiutarli. Certo, è verissimo che le multinazionali, se non sono controllate... Ma occorre distinguere. In Bangladesh, per esempio, dal 1995 – grazie al Wto, la tanto vituperata Organizzazione mondiale del commercio, Wto – non si devono pagare più tasse di importazione e di esportazione. E questo sta producendo quella che l’arcivescovo di Dacca ha definito "la più grande rivoluzione economico-sociale" della storia di quel Paese. Una rivoluzione dagli effetti benefici. Il governo ha stabilito, infatti, che nelle industrie delle confezioni dovessero lavorare le donne. E oggi in quegli stabilimenti sono attualmente impiegate un milione e mezzo di donne che non avevano mai lavorato prima. E poi ci sono dei Paesi del Terzo mondo che hanno investito molto nel campo dell’istruzione e in quello agricolo. L’India, dopo la drammatica carestia del 1966, si impegnò nei settori della formazione e migliorò la sua agricoltura. Ora l’India esporta cibo in mezzo mondo. Altri, Sudan ed Etiopia per esempio, invece sono alla fame. Come mai?».

Monaco: «Io torno sul tema del movimento no-global: sono dell’opinione che padre Alex abbia ragione quando sostiene che alla radice di questo variegato movimento ci sia un humus, un’istanza cristiana, più o meno consapevole. E penso che, al di là delle nostre dispute molto provinciali, emerga una comune sintonia di fondo. A Genova si è riscontrata una sostanziale convergenza attorno al problema-chiave: ridiscutere il nostro modello di sviluppo. Fa riflettere la circostanza che alla testa di questo movimento si sia messo il cardinale Dionigi Tettamanzi, che tutto è meno che un vescovo irresponsabile. Dopo di che, non mi sorprende affatto che – anche in campo cattolico – ci si divida sull’interpretazione del movimento e anche su quali sviluppi suggerire. Ci si può dividere sulle chiavi di lettura da adoperare, si possono utilizzare opzioni teologico-culturali differenti».

Gheddo: «Sono d’accordo, ma dobbiamo cercare di rispondere alla domanda di fondo: "Cosa possiamo fare per il Sud del mondo?". Se però noi non siamo d’accordo sull’analisi del sottosviluppo, cioè sui "perché" i poveri sono poveri, non riusciamo a dire cose comuni neppure su che cosa possiamo o dobbiamo fare in seguito».

Zanotelli: «Scusami Piero, tu dici "sono d’accordo", ma dalle tue parole si capisce che la tua tesi fondamentale non è minimamente scalfita nelle sue granitiche certezze. Qual è la tua tesi di fondo? È che solo il Vangelo ha queste spinte profetiche. Eppure tu stesso hai parlato dell’India, che non è cristiana né tanto meno cattolica. Tu hai notato lì alcune spinte positive. Bene. Io penso che tutte le civiltà umane abbiano offerto grandi spinte allo sviluppo complessivo dell’umanità. Se si afferma che l’unico motore dello sviluppo è l’universo filosofico-religioso del cristianesimo, automaticamente si giudicano negativamente tutte le altre culture e tutte le altre religioni. Ma così facendo, si arriva allo scontro (ad esempio, tra islam e cristianesimo), si arriva alle crociate, si giustifica il colonialismo: queste sono le necessarie e inevitabili conseguenze di quella premessa. Talvolta ti contraddici da solo. Affermi, ad esempio, che anche nel buddhismo e nell’induismo hai riscontrato "forze profetiche" capaci di aiutare l’uomo a migliorare. Poi, però, indulgi sui loro limiti, quasi questi ultimi cancellassero tutto quanto di buono tu stesso avevi prima segnalato. Limiti, errori, difetti e peccati ne abbiamo avuti a bizzeffe pure noi: cosa dovremmo dire di quei cristiani che, negli Stati Uniti, per 400 anni hanno tranquillamente ridotto in schiavitù altri fratelli e sorelle differenti solo per colore della pelle, negandone tutti i diritti? E questo è successo fino a pochi decenni fa!».

·        Jesus: Padre Gheddo poneva una domanda centrale: che cosa possiamo fare?

Zanotelli: «È una domanda che non mi piace. Cosa possiamo fare noi per i poveri? Ma chi siamo noi? Per prima cosa dovremmo cominciare a mettere in discussione noi stessi. Qui sembra, invece, che quasi quasi facciamo l’elemosina ai poveri. Invece è una questione di giustizia. È giunto il momento di affrancarci dal dilemma "elemosina sì/elemosina no", per puntare a una spartizione più equa dei beni di questo mondo. L’umanità ha tra le mani potenzialità mai avute prima per poter stare tutti meglio sul pianeta, se solo lo volessimo realmente. Bisogna però cambiare radicalmente rotta. Se il 20% del mondo continuasse a vivere come vive ora e se l’altro 80% riuscisse d’un tratto a vivere con i medesimi standard della parte ricca e sviluppata della Terra, avremmo bisogno di quattro pianeti per tirare avanti».

·        Jesus: E quindi?

Zanotelli: «Non ci sono altre vie d’uscita: il mondo deve essere rimesso in discussione. Sono convinto che abbiamo la tecnologia e il know-how per far fare a tutti passi avanti. A un patto, però: ridimensionare le pretese della parte opulenta (e fin qui sorda) del pianeta. Padre Gheddo, tu dici che si fa solo denuncia. Ma no, non è vero. La società civile che si sta organizzando in Italia e nel mondo va ben oltre le sterili denunce. Abbiamo proposto un sacco di iniziative concrete che – per quanto mi riguarda – gettano profonde radici nella mia fede e, partendo da un giudizio pesante sul sistema così com’è oggi, mi portano a dire che altre strade sono possibili. Un solo esempio: per quanto riguarda il commercio mondiale, dovremmo tornare a un sistema più lineare, dal produttore al consumatore. Basterebbe semplificare il lungo ed esoso giro delle intermediazioni. Insomma, dobbiamo avviare una riflessione globale. Non posso accettare l’Occidente e il progresso così com’è concepito oggi, perché è un mondo di peccato. E dire che il cristianesimo è l’unico motore dello sviluppo, affermare che siamo arrivati a questo livello di benessere perché siamo cristiani e sostenere che le altre civiltà non generano sviluppo, non solo significa dire cose storicamente non vere, ma significa anche negare le istanze profetiche presenti nelle altre esperienze religiose. Credo che il Signore abbia messo dentro il cuore di ogni uomo, e dentro ogni cultura, un’identica voglia di vivere e di progredire».

·        Jesus: Anche sui dati statistici, comunque, pare che non ci sia accordo. Secondo Padre Gheddo la forbice tra ricchi e poveri in questi ultimi 20-30 anni si è ristretta, mentre per Zanotelli si è allargata.

Gheddo: «Ci sono dei popoli che continuano a rimanere ai margini del progresso, ma il grosso della popolazione mondiale migliora, eccome. Migliorano interi Paesi poveri. Lo dice la Banca Mondiale».

Zanotelli: «No, la forbice si allarga sempre di più tra chi sta molto bene e chi sta così così».

Monaco: «Una piccola osservazione, se permettete. La Banca Mondiale ha dei parametri soltanto economici. Mentre l’Undp, l’agenzia dell’Onu che si occupa proprio dello sviluppo socio-economico della popolazione mondiale, tiene in conto anche altri parametri come, ad esempio, l’accesso all’acqua potabile, il numero dei medici o delle scuole... E questi rapporti documentano come la forbice si stia allargando».

Gheddo: «Io ho detto che, nel suo complesso, la popolazione mondiale ha migliorato le condizioni di vita e che i poveri, in termini assoluti, sono diminuiti. Se poi voi andate a prendere alcuni Paesi non globalizzati, allora quel che dite è vero».

Zanotelli: «Padre Piero, spiegami allora il perché della crisi economica dell’America latina di questi giorni. In Argentina, è crollato tutto. L’Uruguay e l’Ecuador sono a terra...».

Gheddo: «Il caso dell’Argentina non lo conosco bene. Ma la Banca Mondiale dice che, dal 1990 al 1999, nell’Asia orientale e nel Pacifico il numero assoluto dei poveri è diminuito, passando dal 27,6% al 14,4%; mentre, invece, queste stesse statistiche affermano che in Africa, nei Paesi sub-sahariani, dal 1990 al 1999 i poveri sono aumentati dal 47,7% al 48,4%. Di nuovo: bisogna domandarsi il perché. La risposta che, dopo molte analisi, ho dato è che il sottosviluppo poggia sull’analfabetismo, cioè sulla mancanza di un’istruzione diffusa, sul fatalismo, su governi corrotti, sulle dittature militari... Ammettiamo anche che l’Occidente giochi una sporca partita in alcuni Paesi. Ma gli altri? Nessun Paese dell’Africa è migliorato!».

·        Jesus: Al di là dell’interpretazione dei dati, non pensate che noi, cristiani del Nord del mondo, dovremmo recitare un mea culpa per il modo in cui funziona questo mondo occidentale?

Gheddo: «In termini generali sono d’accordissimo. Il Papa chiede perdono, chiediamo tutti perdono, perché conosciamo benissimo le colpe storiche dell’Occidente: schiavismo, colonialismo di rapina... Tra le colpe storiche io annovero però anche quella di aver concesso la rapida indipendenza a nazioni e a popoli che non erano ancora preparati».

Zanotelli: «Ma che diritto avevamo noi di andare ad occupare l’Africa? Quale diritto avevamo noi italiani di andare ad occupare l’Etiopia, che non ci aveva fatto proprio nulla? Parlo da cristiano: che diritto? Penso che, oggi, l’Africa sia il più importante e trascurato "polmone antropologico" del mondo. Lo è a livello culturale e religioso, oltreché ambientale. Dovremmo tutelarla. Invece, la stiamo distruggendo...».

Gheddo: «Però non puoi dare una lettura "esterna" dell’Africa. Quando mai poniamo l’accento sul tema "educazione"? Quello che mi ha scandalizzato del G8 – accomuno in questo giudizio sia gli Otto Grandi sia i no-global – è che si è parlato quasi esclusivamente di soldi. Nessuno ha protestato perché non ci sono abbastanza scuole! Nessuno protesta perché la nostra televisione e i nostri giornali dedicano poco spazio all’educazione della nostra gente circa i problemi che stiamo dibattendo in questa tavola rotonda. Per il resto, sono d’accordo: dobbiamo cambiare il nostro modello di sviluppo».

Bartolomei: «Forse dobbiamo chiederci: come occidentali abbiamo una responsabilità particolare? Sicuramente ce l’abbiamo, se non per le colpe – che io ritengo esserci, ed essere gravissime – certo almeno riguardo alle possibilità che abbiamo di cambiare il corso delle cose. In altre parole, dobbiamo stare attenti ai peccati di omissione. Dobbiamo riportare il giudizio del Vangelo: c’è una ingiustizia terribile che grida vendetta al cospetto di Dio. Possiamo essere in disaccordo sull’analisi dei meccanismi che la producono e dei rimedi, ma se non ripartiamo da qui, allora non facciamo risuonare la parola del Vangelo al momento giusto».

Gheddo: «Sono d’accordissimo. Lo dice anche il Papa. Diamo un giudizio del tutto negativo di come il mondo occidentale vive questo sviluppo. Sarebbe ridicolo sostenere altre tesi. Però dobbiamo saper discernere: nel nostro modello di sviluppo, che sappiamo emendabile, ci sono cose estremamente positive: i diritti dell’uomo e della donna, la democrazia...».

Zanotelli: «Ma quando tu scrivi, e l’hai fatto proprio su Jesus, che il segreto dello sviluppo è l’educazione e la maturazione delle culture non adatte al progresso moderno, tu intendi una cosa ben precisa. Abbracci incondizionatamente un modello, il nostro, e svaluti tutto il resto. Può darsi invece che un’altra cultura possa insegnarci delle cose e sia apprezzabile tanto quanto la nostra».

Gheddo: «Le culture mutano, evolvono. Il Vangelo ha umanizzato la cultura occidentale. Le culture dell’Africa, dell’Asia, del Giappone, sono umanizzate dal Vangelo. Siamo d’accordo su questo?».

Bartolomei: «In un certo senso sì; in un altro, no. Il cristianesimo, in particolare di tradizione cattolica, per esempio, ha a lungo osteggiato la modernità, sconfessandola e condannandola, forte di pronunciamenti ufficiali del Magistero. Adesso, quando ci conviene, diciamo che i valori della modernità sono i nostri. Non è solo una inesattezza storica. È scorretto, anche se in buona fede, perché sottende l’affermazione che ogni cosa buona viene da "noi", da noi come soggetto politico-storico-culturale, che si arroga il diritto di identificarsi col Vangelo. Lo Spirito soffia dove vuole, la profezia è anche straniera, il Vangelo agisce anche in e attraverso chi non è cristiano. Dobbiamo smascherare ogni anche larvata pretesa egemonica e riconoscere che l’altro può essere portatore di valori e che le Chiese spesso sono state indotte a riscoprire le implicazioni storiche del Vangelo che pure annunciavano da chi era loro estraneo e opposto».

Gheddo: «Sì certo, Pio IX ha scritto Il Sillabo, condannando la modernità, però...».

Bartolomei: «Non è soltanto Il Sillabo. A lungo sono stati negati i diritti fondamentali dell’uomo come la libertà di coscienza, la libertà religiosa, l’uguaglianza. A lungo la Chiesa è stata sorda dinanzi alle rivendicazioni del movimento operaio. Per circa un secolo, tutti i diritti moderni o quasi sono stati vissuti in opposizione al cristianesimo. Badate: non contro il Vangelo, ma contro i cristiani, intesi come istituzioni ecclesiastiche».

Gheddo: «È vero che i cristiani non hanno capito tante cose, però spiegami come mai tutti questi movimenti – dalla democrazia ai diritti dell’uomo, dal sindacato alla lotta per l’affermazione di una maggiore giustizia sociale – sono nati nell’Occidente cristiano e non, per esempio, nel mondo buddhista?».

Bartolomei: «Non c’è dubbio che il Vangelo ha prodotto frutti. Ma bisogna fare delle distinzioni. In Occidente ci sono state molte altre condizioni, altre spinte. Per esempio, la civiltà romana – che ha avuto un grande fattore propulsivo in termini di progresso tecnicoscientifico – non era certo una civiltà evangelizzata. Anzi per molti aspetti era decisamente anti-evangelica! Anche questa, però, è un’eredità dell’Occidente, con tutte le sue ricchezze e le sue ombre tragiche. È estremamente difficile dire in modo apodittico e univoco: "È stato il Vangelo a produrre questo"».

Monaco: «Io tornerei alla domanda. Serve una conversione, abbiamo detto. Decliniamola in tre direzioni. La prima, quella della coscienza e dei comportamenti: dovremmo cambiare modelli di vita. Poi, quella delle culture: bisognerebbe che ogni civiltà abbandonasse la pretesa di autosufficienza, e questo comporterebbe un maggior dialogo tra le culture e le civiltà, pur nella consapevolezza che ciò non deve degenerare nel sincretismo. Infine, terza direzione, l’àmbito delle strutture, che è quello della politica. Penso che la politica come azione tesa a plasmare le strutture della convivenza, anche su base internazionale, debba adoperarsi per un ordine economico e politico che diventi davvero multipolare. Ecco perché è tanto più sorprendente – e da respingere – la dottrina della guerra preventiva e unilaterale: è in contrasto con la lezione dell’11 settembre, che ci dice che dobbiamo metterci dietro le spalle non solo il mondo bipolare – quello dell’equilibrio del terrore – ma anche il mondo della pretesa unilaterale che poi, una volta, si sarebbe detto imperialista. Se la prospettiva è questa, dobbiamo riformare, ma anche valorizzare, tutte le organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Onu fino a quella più recente della Corte Penale Internazionale. Questo è il profilo buono della globalizzazione, dei diritti e della democrazia. E poi l’Unione europea, che ha tanti limiti, tante contraddizioni, ma che è comunque la risposta nel mondo più avanzata dal punto di vista politico e di governo alle sfide della globalizzazione. Non dobbiamo disprezzare questo esperimento. È una stupidaggine l’anti-europeismo della Lega, malcelato anche all’interno di Alleanza Nazionale. Certo, non deve essere l’Europa-fortezza, né l’Europa della tecnocrazia, dev’essere un’Europa politica. Insomma, occorre valorizzare le istituzioni sovranazionali e segnatamente l’Unione europea per rispondere per via politica alla sfida della globalizzazione».

Zanotelli: «È importante questo ritorno di tanti giovani al "noi" della politica. Concordo con quanto dice Monaco sull’Europa. Rischiamo anche noi di diventare "fortezza", basta vedere quello che avviene con gli immigrati. Non so cos’è avvenuto in Italia in questi ultimi 15 anni, ma quando sono rientrato da Korogocho e ho visto la legge Bossi-Fini mi sono vergognato di essere cristiano e di essere italiano. Noi, una volta, mandavamo gli antropologi a fare studi sulle società "primitive". Penso sia giunto il momento di chiedere agli antropologi africani di venire da noi a studiare la "tribù" bianca italiana, per spiegarci cosa sta avvenendo geneticamente e antropologicamente in questo Paese e raccontarci come abbiamo fatto ad arrivare a una legge come la Bossi-Fini».

Gheddo: «Siamo sempre al livello della passione per l’uomo che si esprime soltanto con un incitamento a cambiare rotta. Sì, ma come?».

Zanotelli: «La società civile organizzata ha avanzato delle proposte. Ma tu le contesti, padre Gheddo».

Gheddo: «Quelle proposte non partono dall’uomo. Per carità, sono d’accordo nell’eliminare il debito estero, nel non vendere le armi... Ma ci si deve anche rendere conto della situazione locale. Per esempio, in Rwanda il genocidio è stato perpetrato con i bastoni e i machete. Come si vede, non basta dire "non vendiamo armi". Dobbiamo orientare meglio la nostra buona volontà di aiutare i poveri».

Bartolomei: «Sono d’accordo con Monaco a proposito dell’importanza dell’azione "costruttiva" della politica. L’unico modo per contrastare i poteri senza volto è rinforzare le organizzazioni politiche sovranazionali, in modo che abbiano potere reale e che siano espressione di un controllo democratico. Tuttavia sono convinta che questa azione politica costruttiva non sia sufficiente. O meglio: penso che anche la critica sia estremamente costruttiva, soprattutto nell’aprire gli occhi alla gente, cioè quando diventa comunicazione e controinformazione. E poi, padre Gheddo, c’è un punto in cui lei è in contraddizione con sé stesso. Accusa i no-global di preoccuparsi soltanto di questioni finanziarie e di "non pensare all’uomo", in particolare alla sua educazione e formazione. Ma poi, quando "si occupa" dell’uomo, parla (e come non farlo) di cose per cui si richiedono interventi economici».

Gheddo: «Qual è l’obiezione?».

Bartolomei: «L’obiezione è che l’educazione prevede scuole, investimenti, finanziamenti. Anche la "non alfabetizzazione" è stata una strategia. Faccio un caso che riguarda il nostro mondo occidentale: per tantissimi anni, l’impedimento alle donne di accedere alla cultura è stato voluto, in Italia e altrove. Le donne non erano di un’altra razza, non venivano da un altro pianeta, e tuttavia erano una parte dell’umanità che in quel momento doveva essere mantenuta in una condizione di subordinazione. E come si otteneva questo? Non facendole studiare. L’alfabetizzazione degli oppressi è un elemento di sviluppo addirittura rivoluzionario. Si pensi a don Milani e a Paulo Freire. Lo stesso discorso vale per il Terzo mondo e, ad esempio, per le strutture sanitarie che citavi prima. Dunque tu per primo mostri quanto è profonda la spiritualità dell’economia e della finanza. Il "date loro da mangiare" non è materialismo. Come cristiani, certamente abbiamo a cuore l’annuncio del Vangelo, ma tutto il resto possiamo e dobbiamo farlo insieme a coloro che si battono per una maggiore giustizia. Il problema della mia identità di cristiana viene dopo. Il mio annuncio cristiano sarà credibile dopo che avrò lottato insieme a tutti per una causa giusta: "Dai loro frutti li riconoscerete"».

Vittoria Prisciandaro

Non c'è Pace senza Giustizia