Solo la politica può sconfiggere il terrorismo

 

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Un'altra globalizzazione

 


Non ho votato la risoluzione della Margherita e dei DS che definisce l'atteggiamento dell'azione di guerra in Afghanistan. Il mio orientamento era stato da me già anticipato nel corso di una assemblea dei gruppi parlamentari della Margherita due settimane fa.

Le ragioni della mia astensione dal voto sono di due ordini: di natura politica e di natura etica.

Dal punto di vista politico ritengo che la giusta lotta contro il terrorismo, organizzato su scala mondiale, non potrà essere vittoriosa con il ricorso alla forza armata. Raggiunto un obiettivo, pur ritenuto fondamentale, alti focolai del terrorismo rimarranno attivi; anzi ne sorgeranno di nuovi se non si provvede ad eliminare le cause del fanatismo e dell'esaltazione distruttiva. E tra queste cause vanno certamente annoverati la condizione di povertà di molte popolazioni e il mancato riconoscimento dei loro diritti. E' sommamente ingiusto attribuire agli americani la responsabilità di tutte le situazioni di ingiustizia del mondo, ma è erroneo non riconoscere che i Paesi più sviluppati non hanno compiuto gli sforzi necessari per eliminare o ridurre le violazioni della giustizia.

Il ricorso alla guerra, sia pure con precisi limiti, non assicura alla giustizia gli autori dei crimini orrendi e i loro complici, ma soprattutto lascia aperte le piaghe di popoli che non riusciranno a distinguere la violenza dei loro reggitori da quella di coloro che vorrebbero essere loro liberatori.

L'azione bellica - una volta iniziata - non si sa come, dove e quando potrà essere conclusa. Non basta dire che con l'11 settembre è cambiato tutto; la guerra purtroppo muta nei suoi strumenti ma non nel suo carattere di concatenazione imprevedibile.

L'area ove si svolgono le operazioni è poi una delle più delicate del mondo: crocevia di culture e civiltà, punto nevralgico e strategico, nodo di interessi economici. L'azione politica, economica e militare delle grandi potenze nella seconda metà del Novecento è stata contraddittoria e spregiudicata; è molto difficile oggi distinguere amici e avversari e potrebbe esserlo ancor di più in un prossimo avvenire.

La via della politica intrapresa dagli Usa e avvalorata dall'Onu nel creare uno schieramento internazionale di lotta contro il terrorismo è la scelta migliore, se unita alla ricerca di soluzione per le questioni aperte del Medio Oriente, e in altre zone critiche. Tale lotta, tesa ad individuare ed isolare i terroristi, a recidere la rete dei loro finanziamenti, ad assicurare alla giustizia in ogni Paese i fiancheggiatori può dare grandi risultati. Il terrorismo perderà complici ed amici. Spetta agli afghani, che si battono per la loro libertà, di agire per rovesciare il governo oppressore e tutore dei terroristi; a loro può essere dato ogni aiuto, senza sostituirsi con una guerra.

Sul piano etico credo si debba tener conto delle possibili - e già presenti - vittime civili dell'azione militare. Certamente di quelle che nei bombardamenti e nelle operazioni di terra ci sono e ci saranno nonostante la ricerca di colpire obiettivi militari e campi di addestramento di terroristi. Ma soprattutto della sterminata schiera di profughi che abbandona le città e preme inutilmente sulle frontiere dei Paesi confinanti. E' un dramma terribile che i soccorsi umanitari non riusciranno che minimamente ad alleviare. No la guerra non è azione di giustizia: anche i profughi chiedono giustizia. La difesa del terrorismo chiede vie nuove che il grande popolo americano e l'Europa sono certamente capaci di trovare.

Non posso perciò neanche indirettamente sostenere le scelte del governo italiano di accettare qualunque richiesta degli Usa e della Nato, anche di partecipazione militare del nostro paese in Afghanistan e altrove.

La giustizia e la pace devono andare di pari passo.

         Alberto Monticone

Pace e Giustizia