"Noi all'altezza della sfida ma sarà una guerra lunga"


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Un'altra globalizzazione


Bruxelles - «Il fenomeno bin Laden non è passeggero e non è

da sottovalutare: anche per questo non è un pericolo da affrontare con appeasement, con accomodamento nei

confronti dell'Islam. Il mondo deve assumere con i paesi islamici in cui le teorie di bin Laden possono trovare proseliti

un rapporto che limiti la crescita di questi fenomeni. C'èbisogno di un confronto, di un impegno attivo che faccia valere le ragioni che abbiamo, quelle di chi vuole arginare una deriva pericolosa per la sicurezza del mondo civile».

E' uno dei passaggi chiave del una lunga intervista a Guido Venturoni, l'ammiraglio italiano presidente del Comitato militare della Nato. Un'intervista in cui Venturoni parlerà di bin Laden, della guerra ai Taliban, della Nato e dell'impegno dell'Italia.

Ammiraglio, dopo la fase iniziale in cui sembrava che la Nato dovesse essere coinvolta direttamente nella guerra oggi quasi sembra che l'America abbia preferito mettervi da parte.

«La Nato non è un'organizzazione esclusivamente militare, non lo è mai stata anche se la fase calda del confronto con il patto di Varsavia ha fatto emergere soprattutto questo aspetto. Quando gli Stati Uniti hanno invocato l'articolo 5 quello che prevede la difesa automatica di uno Stato membro aggredito dall'esterno, hanno fatto innanzitutto un gesto politico. Hanno chiesto la solidarietà dei loro alleati, hanno indicato con drammaticità politica la portata della minaccia degli attacchi di bin Laden e del terrorismo coltivato in Afghanistan».

Ha letto cosa dice Cossiga? Nella sua provocazione si spinge a dire che l'Italia dovrebbe uscire dalla Nato.

«Se la "provocazione" di Cossiga come la chiama lei ha l'obiettivo di scuotere la classe politica italiana ed europea, lo stimolo mi trova d'accordo. Ma la Nato non solo non è inutile ma è anche cambiata e si è aggiornata profondamente». Cossiga dice che l'Alleanza è in possesso di un hardware solido, sperimentato, le sue capacità militari. Mentre quello che mancherebbe sarebbe il software, ovvero il pensiero l'elaborazione e la motivazione politica e strategica». ei per contratto immagino non sia d'accordo...

«Io non sono d'accordo per convinzione. Innanzitutto perché in Europa c'è ancora oggi la fila per entrare nella Nato. Ma poi il software della Nato in questi anni è stato aggiornato in maniera impressionante vorrei quasi dire che il software, la capacità politica sta sopravanzando la capacità militare».

Faccia degli esempi.

«La gestione dei conflitti dei Balcani da parte della Nato è in continua evoluzione e miglioramento. Se avessimo avuto nell'estateautunno del ‘98 la capacità di gestione politicomilitare che oggi l'Alleanza ha sviluppato, il conflitto in Kosovo forse avrebbe avuto un'altra storia. Questa estate uno Stato balcanico, la Macedonia, era sull'orlo di una guerra civile. Truppe armate erano pronte a portare la guerra a Skopje. E questo è stato evitato perché la Nato con l'Unione europea ha saputo usare lo strumento militare in maniera preventiva. Una novità assoluta per la Nato».

Lei non crede che ormai per l'Italia sia impossibile "vivere di rendita" nella Nato? Che il suo ruolo sia marginalizzato da quando non c'è più la grande minaccia del Patto di Varsavia?

«So che questa è la percezione di qualcuno in Italia. La mia è esattamente contraria. Mentre prima l'Italia viveva inglobata in un sistema di sicurezza in cui la rendita di posizione era praticamente sottomissione a un pensiero unico, oggi l'Italia gode di una rendita di posizione per la capacità d'intervento politico e anche militare che ha avuto nelle ultime crisi. Bosnia, Kosovo, Macedonia non sarebbero state possibili senza l'Italia. In futuro, il Dialogo Mediterraneo, il rapporto con il mondo islamico non saranno possibili senza l'Italia».

Veniamo alla guerra di oggi, quella contro bin Laden e i Taliban.

«C'erano state avvisaglie serie, come l'attentato del ‘93 alle Torri Gemelle. Non siamo stati in grado di capirle. Ma oggi dobbiamo comprendere meglio: l'obiettivo di bin Laden non è colpire gli Usa, o meglio quello è un obiettivo pagante, che mobilita solidarietà dei nemici del mondo civile attorno ai vari bin Laden. Ma il vero obiettivo di Al Qaeda è il mondo.islamico: quello è un obiettivo per loro realistico, "conquistabile". Provocare cambiamenti fra i governi islamici moderati in maniera da sostituirli con regimi vicini al fondamentalismo. E per questo anche l'Onu, in cui i paesi islamici moderati hanno una grande funzione, diventa un obiettivo da neutralizzare, da rendere politicamente e militarmente inutilizzabile».

Lei crede davvero che bin Laden, la sua rete oppure i suoi emuli nel mondo siano in grado di portare a segno una sfida del genere?

«Non lo so, ma so che questa è la sfida. E per contrastare questa sfida l'accomodamento non è la risposta. La rete di Osama bin Laden è una vera rete multinazionale: noi dobbiamo stabilire con il mondo islamico un rapporto che limiti la crescita di questi fenomeni, dobbiamo sviluppare la collaborazione e il sostegno economico, il confronto politico e culturale, ma dobbiamo giocare la carta della reciprocità. Dobbiamo costruire con l'Islam moderato e pretendere un impegno attivo che porti tutti insieme a denunciare e correggere errori e tendenze sbagliate».

Pensa che ci sia un ritardo nella campagna militare in Afghanistan?

«Quando la dirigenza americana ha detto che la guerra sarà lunga ha detto qualcosa che è vero politicamente ma soprattutto tecnicamente. Non bisogna dimenticarsene oggi, la guerra sarà lunga perché il processo in atto è questo: gli attacchi aerei e i prossimi attacchi dei gruppi afgani contrari ai Taliban avranno lo scopo di fiaccare progressivamente il regime. L'isolamento del paese significherà mancanza di munizioni, di armi, di combustibile per i Taliban. L'inserimento di truppe speciali significherà bombardamenti mirati, che progressivamente ridurranno la capacità offensiva dei Taliban; ma non credo sia opportuna o necessaria una vera e propria invasione di terra».

In questo quadro Bush ha accettato l'offerta di sostegno militare italiano. Servirà il dispositivo che la Difesa ha messo a punto?

«Serviranno anche gli otto Tornado, i soldati dell'esercito, le navi della Marina e il Garibaldi che negli anni - lo dico da ex capo della Marina Militare - abbiamo voluto mantenere in grado di proiettare in aree di crisi lontane dal Mediterraneo che era il nostro scenario abituale. Serviranno non solo come strumenti militari ma anche come leva di un'azione politica e di sicurezza complessiva».

Lei ritiene l'attuale classe politica italiana in grado di gestire con accuratezza il mix di politica, diplomazia e violenza che una guerra del genere impone?

«Una cosa è essenziale: il dibattito politico interno deve condividere con chiarezza gli obiettivi dell'interesse nazionale. Fra l'altro: non è vero (o non è ancora vero) che non esistono più gli interessi nazionali. Esiste un interesse nazionale italiano l'Italia ha deciso di coniugare in Europa e con gli Stati Uniti. E allora questo interesse va definito, perseguito, costruito e tutelato assieme agli alleati ma con grande chiarezza dalle forze politiche interne».

Il suo collega e amico generale Arpino dice che in Italia è come se la campagna elettorale non fosse ancora finita...

«Assieme alla Germania, l'Italia è l'unico grande paese dell'Europa occidentale a essere stato drammaticamente coinvolto dalla caduta del Muro di Berlino. La fine della contrapposizione fra i blocchi ha permesso la riunificazione della Germania, ma ha anche sgretolato un sistema politico - quello italiano - che dalla guerra fredda era rimasto congelato. Da allora la politica italiana sta cambiando, fra mille dolori e problemi. Ma si sta rigenerando, si sta ricreando: il processo sarà ancora lungo ma bisogna rendersi conto che fuori il mondo non aspetta. Che le sfide poste da bin Laden, dal terrorismo, dalle scelte in politica estera e di sicurezza non aspettano. E che sugli interessi nazionali il confronto deve diventare sempre più costruttivo».

                Vincenzo Nigro

Pace e Giustizia