DON NICOLA

 

 

E' presente nel Carnevale napoletano almeno a partire dal Settecento. Copre la testa col tricorno, il cappello a tre punte, gallonato da un nastro nero con fiocchetti a ciascuna delle punte, che poggia su una parrucca di stoppa; porta l’occhialino o gli occhiali tondi ri­cavati da una buccia d’arancia; la camicia ha il colletto a vela, spropositatamente grande e appuntito, di carta; indossa ancora una giamberga arabescata, un panciotto fiorato, i pantaloni al ginocchio, a calice, secondo l’uso settecentesco, le scarpe a fibbia. Quando passeggia di Carnevale per le strade di Napoli si fa precedere da un servitore in livrea con l’ombrello e la sacca da viaggio. Sosta davanti alle botteghe, saluta i bottegai con lunghe rime a tiritera, caccia dalla tasca uno scartafaccio, lo apre e con un gesto largo dedama fingendo di leggere. Si tratta di filastrocche carnevalesche, orazioni funebri per Carnevale morto, capitoli matrimoniali, testamenti di Carnevale. «Doveva parlare in fretta, trovare un seguito di rime uguali e ricambiarle ogni dozzina di versi. Guai a impaperarsi: la folla tumultuava, fischiava, lo trascinava via mettendolo in berlina, facendogli perdere il regaluccio o il soldo del bottegaio» (Bou­tet 1901, pp. 84-85).

Il ruolo sociale che incarna è quello dell’avvocato o notaio; gli attori invece appartengono alla plebe, e nella maggior parte dei casi si tratta di attori improvvisati che, in occasione di Carnevale, si mascherano da Don Nicola come potrebbero mascherarsi da Pulcinella, Pasqualotto e così via. Ma a volte si tratta di vere e proprie specializzazioni: alcuni Don Nicola particolarmente bravi diventavano famosi ed erano attesi ed accolti con applausi fragorosi e portati in trionfo.

In questi casi l’identificazione del personaggio con la maschera era più frequente, e non pochi per tutto l’anno aspettavano l’occa­sione propizia per indossare il costume e la parte di Don Nicola; come faceva, intorno al 1847, Agostino, il banditore di maccheroni, adattandosi «un camicino colla lattuga, un gilè che gli giungeva all’anguinaia e che mostrava le tracce della seta e dei ricami così detti; una giamberga giallastra una volta, coi rivolti rossi, e con grossi bottoni di metallo, ed un cappellaccio a tre punte sormontato da quattro gigantesche penne di gallo» (Colucci 1974, pp. 415-16). Alla fine della recita Don Nicola stende la mano: la generosità del pubblico è direttamente proporzionale alla bravura dimostrata. La questua rappresenta un elemento indispensabile dello spettacolo; nei Don Nicola modesti, che sono quelli che prevalgono soprattutto a partire dalla metà dell’Ottocento, si trasforma in una sorta di domanda di elemosina insistente e penosa, se dobbiamo credere ad alcune annotazioni del tempo: «La mano stongo a stennere / Doppo p’avè quaccosa; / Lo cielo v’ha da rennere / Zzò che facite a mme! / Da ccà a cient’ anne! a schiovere / Io stongo ad alluccare, / E non me stongo a mmòvere, / Si niente mmano nc’è!» (Jaccarino 1875, p. 208).

La massa dei Don Nicola faceva un teatro d’altro genere: gli scugnizzi travestiti sommariamente da avvocati e notai e professori di legge si sfidavano a colpi di “motti arguti e graziosi”, filastrocche, insulti conditi di oscenità. C’è stato conservato un esempio di queste risse rituali, che sembra preso dal vero: «“Ohè! Don Nicò, ce vedarrammo alla quarta cammera”. “Sì, là mme darrai cunto de tutta la tua schiatta”. “Costitò de accordio stance all’ accordo”. “Ce la vedremo colla Pramatica alla mano: ce la vedremo ccu Pacuvio, Ainnecio, Pampiniano, Vetruvio, Tertulliano e co tutti i muorti tuoi”» (Bidera 1844).

Funzione di Don Nicola pare fosse anche quella di provocare le maschere seriose dei ceti medi che a tarda sera passavano per strada per recarsi nelle case: «Don Nicola che tiene il governo della strada gl’insidia e si senton dietro parole sconce e modi scurrili alle quali (le maschere) non rispondono, e tirano avanti facendosi spettacolo e spettatori» (Torelli 1840, p. 387).

Nel corso dell’ Ottocento la maschera di Don Nicola si carica di umori polemici e di spunti di critica sociale, che superavano i limiti della parodia giocosa dell’uomo di legge, sostanzialmente innocua; questo spiega perché essa potesse essere assunta come il ritratto grottesco del “paglietta”, immorale difensore e complice dei disonesti: «Vecco ccà, vecco ccà Don Nicola, / Lo paglietta de cinco a tornese. /A lo Muolo io so ghiuto a la scola /Qua Rinaldo a mmezzarme a rrobbà. /E... Io defenno de tale manera /Chelle ccause cchiù storte e sballate, /Ca na cosa ch’è sporca, ed è nera, /Faccio ianca, e ppolita parè» e così via (Anonimo 1838, pp. 10-11). I compilatori del «San Carlino» diedero voce al malcontento della Napoli di fine secolo usando la maschera e l’arte verbale di Don Nicola: «Sempre male governati, /Da maligni sfaccendati, /Patentati, autorizzati, /Oggi grandi titolati, /Proprietari decantati /Di poderi e fabbricati /Mentre un giorno indebitati, /Sequestrati, ipotecati, /Eran veri.., disperati» ecc. (Anonimo 1888). Anche quando era ormai prossimo a sparire dalla scena del Carnevale e del teatro stesso, a Don Nicola sarebbe stato riconosciuto, pur con qualche esagerazione, che «le sue infilzate d’assonanze sferzano il mal governo e additano le cause della miseria popolare, miseria di pane di spirito. Un tempo fu cortigiano, ora è figlio del popoìo e libero» (Di Giacomo 1967, p. 39).

Il testo che segue, pur potendo essere recitato anche da altre maschere, era uno dei pezzi forti delle esibizioni di Don Nicola.

Capitoli matrimoniali conchiusi, chiusi, e pelusi mediante l’aiuto di Cola Caruso che da Monte Peluso venne tutto nfuso, perché stava scaruso. E il tratto di comune amici, e parenti, tra il sig. Don Scarrafone Capone della città di Tripoli e Annipoli, e Costantinopoli da una parte.

E la signora Donna Dionora Pommadora, sora di Zi Nicola, che cacava de core sempre a un’ora della stessa Città, dall’altra parte.

Sopra il patrimonio felice, che con certi amici che compravano alice per metterle nella balice.

Figlia della signora Donna Menechella Stentenella, fiche e sciuscelle, sciuscelle e fiche, vota ncoppa sto vico che nc’è n’amico che vò venì co fico, Lodovico a Vico, pe no ruotolo de fico e formai nu bello ntrico.

Primieramente esso signore Don Scarrafone Capone, promette che questo affetto si mettesse nella linea di parapetto che si annetta co la vainetta per trovare tutto nchiuso a Monte Miletto con l’amicizia della signora Donna Micheletta.

E di contrarre detto matrimonio per VIS, ET VOLO, e prima che va a Nola per andare a vedere il traforo ed ha dato parola a Cola, che le portasse na scatola da fora per fare un regalo a Donna Dionora, cognata dell’Abate che li furono regalate doie belle sopressate, ben allazzate, che andato a lato con un suo cognato gli fu tirata una sassata nel vico scampagnato e li ruppe il pignato pieno di salato.

E il matrimonio si faccia in saputa di Don Gregorio che sta a Casoria, in casa di Don Liborio negoziante di coria, patendo di rettorio, pe na caduta de no scrittorio, cha se revotai lo territorio, e correnno a se Vittorio pe temporio e mano portava no mazzo de cecorie e ce lo dette nfaccia alla memoria e se pigliaie tanta collera pecché steva dinta a casa di Don Liborio.

E per esso signore Don Scarrafone Capone, per la sua applicata contem­plazione, consolazione, sfogazione e scolazione, e per paura del fondamento, sostentamento, e senza fondamento era assai puzzolente.

Delli pesi di esso promette la dote; in nome, e parte di detta Donna Dianora Pommadora e per ragione e supplimento di esso, viat’esso che va in galessa accompagnata con la badessa e magnanno allessa co essi ed essa.

E per il paraggio, e altri paraggi, e perché nel mese di maggio vengono quattro paggi con carriaggio, o sia baliaggio, portando un viaggio de garge a Ciccio Arraggia.

Per qualsivoglia causa che si può competere sopra li beni, paterni, materni, fraterni, ziemi, averni, peperni, che senza lanterne ievano trovanno perne. Promette con giuramento, e si obbliga nel giorno de l’affitto, zitto zitto se ne và alla Galitta a trovare Sellitto pe na zuppa de soffritto.

Affittandosi la casa del signor Don Antonio Marino che sta con dolor di rine od il medico l’ha proibito di mangiare tonnine, e che facesse una lunga cura di corallina acciocché non cacasse le stentina.

E se a caso detto signor Don Scarrafone Capone avesse tuorto, e iesse stuorto, sia portato da no schiattamuorto, e lo sbattesse nfaccia a sieggio di puorto.E portandolo detto signor Don Scarrafone Capone un aniello regalato da Marco Rafaniello, perché due solachianielle vattevano no concia teniello, e pe paura dello budiello se mette arreto no stuiello.

E per l’affetto, e perché sta sopra il letto con Nicoletta Ficacchietta che se feceno na partita a tresette e se giocaieno quattro polpette.

E che detto signor Don Scarrafone debba prendere una casa senza provase, nante che alla casa nee trase masto Biase.

Onde per il LUCRO CESSANTE e DANNO EMERGENTE, cioè certi studenti, che l’erano caduti li denti, perché erano puzzolenti, ed essendo fuggendi come abienti, pe paura delli fondamenti.

E perché la signora Donna Francesca Ventresca ieva mangianno sempe mesca fresca e pe chesso sesca, perché non ha né fucilo, né esca.

Obbligandosi a tal effetto il signor Don Scarrafone Capone, Gazio Magazio medicato di agniente di Tuzio e il signor Don Sparacazio lo speziale che mo è asciuto dello spedale, che teneva da fora tutti li stommacali, ed avanti il Notaio, che si trova a Marano, Magnano, Sedignano, Agnano, Arzano, Carvezzano, Marzano, Giugliano, Marano, Caiano, Vairano, Ottaiano, Antignano, Pomigliano, e doie Vammane, ievano vennenno pane e lana, per l’aria Catalana.

Not. Crescenzo Crescitore certifica i suddetti Capitoli, e testimoni.

Agostino Puorco — Alesandro Capo — Antonio Mascella — Baldassarre Musso — Bartolomeo Core — Carlo Voccolaro — Carmine Spalla — Cre­scenzo Cervello — Dezio Recchia — Fabrizio Rosolo — Filippo Pede — Fran­cesco Filetto — Gasparre Ventre — Gabriele Polmone — Geronimo Fegato —Giovanni Meuza — Giuseppe Zanna — Innocenzo Fele — Luca Campanaro —Liborio Presutto — Marchionne Pile — Manuele Cotena — Mattio Tracchia —Marco Lardicello — Michele Cicola — Mineco Stentine — Natale Nzogna —Nicola Verrinea — Paolo Gamba — Pascale Costato — Pietro Coda — Rinaldo Zampa — Raimunno Setole — Santolo Nnoglia — Stefano Salciccio — Isidoro Sopressata — Tommaso Longa — Vincenzo Lardo (Foglio volante, xix secolo).

 

Il contratto matrimoniale carnevalesco è ovviamente una parodia dei veri contratti di matrimonio, e ne segue entro certi limiti lo schema, col metodo della contraffazione e della deformazione, sfruttando fino all’esasperazione tutte le risorse dei tradizionali lin­guaggi carnevaleschi: l’equivoco verbale, il discorso all’ ncontrano, l’alterazione onomastica, l’associazione sonora, l’analogia libera, la manipolazione lessicale, il non senso, la tautologia, l’iterazione fonica, l’allusione erotica e scatologica: un linguaggio sregolato e demenziale, tuttavia orientato dal gusto dell’inversione e della trasgressione.

Soprattutto nel Settecento Don Nicola aveva avuto forti connotazioni calabresi.

Questi tratti di maschera etnica rimasero per quasi tutto l’Ottocento al Don Nicola della Zeza, che è lo studente calabrese (verosimilmente, studente di legge) caratterizzato da una ira­scibilità un po’ ridicola e da una arroganza simpatica, oltre che da una sensibilità amorosa un po’ grossolana, che alla fine diventa vincente; parla una lingua di fatto inventata, che vorrebbe essere la deformazione grottesca del dialetto calabrese: «Bennaia tuttu lu munnu, /Stu spantu di beddizza /Comm’ a sumaru mi tira a capizza, / È bedda e graziosa /Pe chidda facci bedda /Eu mi sentu venì la cacaredda» e così via. Finito il tempo delle maschere etniche Don Nicola sarà spesso sostituito alla fine dell’ Ottocento nella Zeza napoletana da Tartaglia (Boutet 1901, p. 87).

 

 

DOMENICO SCAFOGLIO - Il Carnevale napoletano - Newton & compton editori, 1977.

 

Torna alla Ciucciuettola

SCHEDA TECNICA | SPETTACOLI | DATE FESTE POPOLARI | DANZE ITALIANE | ZEZA | DON NICOLA | FLAUTI | CIARAMELLA | LIRA CALABRA | PUTIPU' | ORGANETTO | TAMBURELLO E TAMMORRA | TROMBA DEGLI ZINGARI | CHITARRA | CHITARRA BATTENTE | MANDOLA | CASTAGNETTE | TRIANGOLO |