"Mi
sono intestardito su una serie di effetti diversi....
Più vado avanti, più devo lavorare per riuscire
a rendere quanto cerco: l'istantaneità...le
cose facili venute di getto mi disgustano. Insomma sono preda
di un disperato bisogno di rendere ciò che provo, e
mi auguro di non vivere ancora a lungo in questa impotenza"
scrive Monet
a Gustave Geffroy nell'ottobre del 1890.
Chiusa la parentesi per la sottoscrizione dell'Olimpia,
il pittore si rimette al lavoro. La sua arte imbocca un
nuovo orientamento, già in nuce da qualche tempo: ormai
non dipinge più tele isolate, e i dipinti realizzati
negli ultimi sei mesi del 1890, come Campi di papaveri
e i Covoni, sono tutti ascrivibili in un procedimento
per serie.
Passando,
dunque, per la serie dei Covoni,
quella dei Pioppi,
per l'esperienza di Londra
e gli esperimenti con la
Cattedrale di Rouen, dall'ottobre al dicembre
del 1908, Monet compie in compagnia
di Alice l'ultimo grande viaggio. Lo consacra a Venezia,
città dei pittori per eccellenza, dove dipinge i delicati
arabeschi delle chiese e dei palazzi
del Canal Grande. La lunga visita a
Venezia è l'unica del suo genere anche perchè
Monet è accompagnato dalla moglie. In passato era andato
sempre da solo nei luoghi che intendeva dipingere, sia a Belle-Isle
che a Etretat,
a Bordighera
e Antibes.
Durante il soggiorno veneziano lavora molto, ma dalle sue
lettere si capisce che egli si gode la città anche
come turista "Sto vivendo delle giornate
deliziose", scrive a Gustave Geffroy, "dimenticando
quasi di essere il vecchio che sono in realtà".
Da
un balcone dell'Hotel Britannia sulla
Riva degli Schiavoni dove è alloggiato, segue l'animato
movimento delle barche in arrivo o in partenza sulla laguna,
e i vaporetti diretti al Lido o a Chioggia. Visita i musei,
le chiese e passeggia in Piazza San Marco,
come testimonia una foto che lo ritrae insieme a Alice mentre
dà da mangiare ai piccioni.
Le tele iniziate a Venezia e completate nello studio al suo
ritorno a Giverny, insieme ad altre eseguite interamente a
memoria, dimostrano che Venezia non gli fa cambiare il suo
modo di guardare le cose: osserva i monumenti e le facciate
dei palazzi allo stesso modo con cui aveva studiato la facciata
della Cattedrale di Rouen, registrando tutti i fenomeni della
luce, pronto a cogliere le infinite variazioni della forma
architettonica col mutare dell'atmosfera. Il motivo protagonista,
la chiesa di Santa Maria della Salute
o il Palazzo da Mula, fa da sfondo e
si riflette in quello che è l'interesse principale:
l'acqua e la luce
che colpisce la sua superficie, un acqua che rende con ricche
pennellate orizzontali a cui contrappone spesso i pali
di attracco.
Proprio come a Londra, l'artista prosegue la sua lotta con
l'architettura, l'acqua, la luce: è come se sacrificasse
la pietra dei palazzi veneziani a una "luce
unica", scrive ancora a Geffroy a dicembre 1908.
Sembra sorvolare sul passato, sulla storia della città
dei Dogi, soffermando il suo sguardo su quell'aspetto magico
e fiabesco che aveva già sedotto Turner. Venezia
è immersa in un'illusoria atmosfera di luce e colore
che mostra come l'artista si sia ormai distaccato dalla realtà
delle cose, trasformando liricamente le sue emozioni. Ecco
perchè nelle sue tele si è vista una Venezia
atemporale e immaginaria evocata da
Proust nella Ricerca del tempo perduto: "Guardammo
l'infilata dei palazzi tra i quali passavamo, riflettere la
luce e l'ora sulle loro rosee fiancate, e con esse mutare".
Decisamente nulla lo accomuna al Canaletto o al Guardi, mentre
si scoprono chiare analogie con Turner.
Nei dipinti di Venezia la visione di Monet tende a farsi più
romantica del solito, richiamando non solo Turner, ma anche
Whistler, che amò Venezia e descrivendola
a Monet con accenti entusiastici risvegliò in lui il
desiderio di conoscerla. "Che peccato non essere venuto
qui quando ero più giovane" scrisse a Geffroy.
Come
le Vedute del Tamigi anche i dipinti veneziani vengono
terminati negli anni seguenti nell'atelier di Giverny. Nel
maggio-giugno del 1912 la galleria Bernheim-Jeune
presenta ventinove Vedute di Venezia, suddivise in
alcune sotto-serie: Canal Grande, San
Giorgio Maggiore, i palazzi. In contemporanea viene
pubblicato un album illustrato dal titolo Claude Monet
"Venise" corredato da un saggio di Octave Mirbeau.
La grande eredità che la sua pittura e l'esperienza
nella città lagunare lascerà ai pittori dopo
di lui è chiaramente resa dalle parole di Signac "Ammiro
queste Venezie come massima espressione della sua arte,
dove tutto concorre ad esprimere la sua volontà, dove
nessun particolare cede all'emozione, dove ha saputo compiere
questo geniale sacrificio".
Alla fine del 1908 riparte con l'intenzione di ritornare l'anno
seguente, ma dopo la malattia e la morte di Alice, Monet non
rivedrà mai più Venezia.
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