approfondimenti

Cebete

 

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Sommario

1. Il fanciullino di Cebete

2. Il fanciullino di Pascoli

 

1. Il fanciullino di Cebete

(da Platone, Fedone, 77d-78b)

«Però, mi pare che tu e Simmia volentieri approfondireste questo argomento, e che abbiate paura, come i fanciulli, che davvero il vento, non appena l'anima esca dal corpo, se la porti via e [77 E] la disperda: specialmente se ad uno toccherà di morire non quando il vento sia in quiete, ma quando soffi una forte bufera».

E Cebete ridendo disse: «O Socrate, cerca di persuaderci, come se noi avessimo davvero paura. O meglio, non come se avessimo paura noi, ma come se ci fosse un fanciullino dentro di noi e che avesse tali paure. Cerca, dunque, di persuadere questo fanciullino a non aver paura della morte come degli spauracchi».

«Ma bisogna fargli gli incantesimi tutti i giorni, - disse Socrate - fino a che non lo si sia placato con tali incantesimi!». [78 A]

«E un buon incantatore di queste paure, dove lo potremo prendere, dopo che tu ci avrai abbandonati?».

«L'Ellade - rispose Socrate - è grande, o Cebete; e nell'Ellade ci sono molti uomini capaci. E molti sono anche i popoli barbari. Dunque, dovrete cercare di scoprire fra tutti costoro un incantatore, senza risparmiare ricchezze né fatiche, perché non c'è nulla per cui potreste spendere meglio il vostro denaro. Ma dovrete cercare anche fra di voi, gli uni con gli altri, perché, forse, non troverete persone che sappiano fare questo meglio di voi».

«Lo faremo senz'altro - disse Cebete -; ma [78 B] riprendiamo il filo del nostro discorso, se ti fa piacere».

«Certo che mi fa piacere! E come non potrebbe?».

«Bene, disse».

[Seguo qui la traduzione di Giovanni Reale che si trova in Tutti gli scritti editi da Rusconi]

 

2. Il fanciullino di Pascoli

(da Giovanni Pascoli, Il fanciullino)

«E' dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi.

[...] Egli e' quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra di sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle, che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli e' quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli e' quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli e' quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo.

[...] E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli e' l'Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. Ne' il suo linguaggio e' imperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzo, ma prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni modo da' un segno, un suono, un colore, a cui riconosce sempre ciò che vide una volta. 

[...] Il poeta, se e quando e' veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce per ciò ispiratore di buoni e civili costumi, d'amor patrio e familiare e umano.

[...] Il poeta e' colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta. Ma non e' lui che sale su una sedia o su un tavolo, ad arringare. Egli non trascina, ma e' trascinato; non persuade, ma e' persuaso».

 

 

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Ultimo aggiornamento: giovedì 20 marzo 2003
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