Il
Sillabo (elenco), documento pubblicato
in appendice all'enciclica Quanta
cura del 1864, il papa condanna
quelli che dal punto di vista della Chiesa cattolica sono i principali
errori del mondo moderno. Dalla la negazione di Dio e della provvidenza
all'autonomia e autarchia della ragione, dalla validità di ogni forma di
religione all'intrusione della legislazione civile in materia ecclesiastica
(spirituale o temporale), e ancora il liberalismo, il socialismo, il
comunismo e, infine il pensare che il papa possa venire a compromesso con il
progresso e con la civiltà moderna.
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Struttura |
I
- Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto
II
- Razionalismo moderno
III
- Indifferentismo, latitudinarismo
IV
- Socialismo, comunismo, società segrete...
V
- Errori sulla Chiesa e i suoi diritti
VI
- Errori che riguardano la società civile...
VII
- Errori circa la morale naturale e cristiana
VIII
- Errori circa il matrimonio cristiano
IX - Errori intorno al civile principato del romano
pontefice
X - Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo
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Il
Sillabo di PIO IX Sillabo
dei principali errori dell'età nostra, che son notati nelle allocuzioni
concistoriali, nelle encicliche e in altre lettere apostoliche del SS.
signor nostro papa Pio IX (1864)
I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto
I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo,
che sia distinto da quest'universo, e Iddio non è altro che la natura delle
cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell'uomo
e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e
Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti
tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male,
giusto ed ingiusto.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del
male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue
forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione
umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l'uomo può e deve
conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse
appartengano.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e
indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non
solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono
invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di
indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei
miti; e Gesù stesso è un mito.
II - Razionalismo moderato
VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le
discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della
naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione, storicamente solo
coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza
di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla
stessa ragione proposti.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio
di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia
né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.
XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve
tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il
libero progresso della scienza.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici
coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al
progresso delle scienze.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla
soprannaturale rivelazione.
III - Indifferentismo, latitudinarismo
XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che,
sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via
della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza.
XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non
sono nella vera Chiesa di Cristo.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera
religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può
piacere a Dio.
IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società
clerico-liberali
Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella
Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell'allocuzione Quibus
quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8
dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera
Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863
V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti
XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è
fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore,
ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i
limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza
e consenso del governo civile.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della
Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce
a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono
proposte a credersi da tutti come dommi di fede.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della
loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di
fede e di costumi errarono.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà
diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che
è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il
quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di
possedere.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere
assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche
promulgare le Lettere apostoliche.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando
non sono state implorate per mezzo del Governo.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal
diritto civile.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse
civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la
Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può
abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti
dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal
civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono
secondo la forma del più libero governo.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione,
qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe
libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale
prevalse nel medio evo.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di
tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma
ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun
esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma
irretrattabile di operare.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del
Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla
divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.
XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode
un certo suo diritto del tutto illimitato.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi
della umana società.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà
indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il
diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per
abuso.
XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve
prevalere il diritto civile.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli
i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica
intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò
senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi
reclami.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la
religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle
istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al
loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno
all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per
riceverli.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la
gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari
vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente
attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di
intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella
collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli
studi è soggetto alla civile autorità.
XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle
cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e
generalmente gl'istituti pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle
lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù,
si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si
sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il
placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la
quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall'autorità della Chiesa e miri
solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno
primieramente ai fini della vita sociale.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di
comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può
esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi
ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del
ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose
che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età prescritta dalla Chiesa in
ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed
ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza
suo permesso.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle
famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può
dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita
religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del
tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i
benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i
loro beni e le rendite all'amministrazione ed all'arbitrio della civile potestà.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della
Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori
alla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è
necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da
Dio la forza di obbligare.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili
possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella
materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre
nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel
soddisfare le passioni.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono
un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità
del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto
non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa
logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione
scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da
riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando
si commettano per amore della patria.
LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il
matrimonio alla dignità di Sacramento.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto,
e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione
nuziale.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed
in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente
detto.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il
matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono
togliersi gl'impedimenti esistenti.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli
passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile
potestà.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano
negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono
dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in
quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il
matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.
LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella
ordinazione fa nullo il matrimonio.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani
il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani
è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il
sacramento.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro
civile.
IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale
disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe
moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale
disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe
moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.
LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si
ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali
che si vogliano.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge
che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto
proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e
similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e
qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più
facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste
dell'indifferentismo.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col
progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.
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