Lilia: Iniziamo allora dalla scelta del titolo... De André sceglie di intitolare questo lavoro "le Nuvole", come una celeberrima commedia di Aristofane. Evidentemente la scelta non è casuale: innanzitutto essa rimanda a un periodo molto particolare della storia ateniese, un periodo di grande ricchezza materiale e culturale, ma anche di decadenza morale e di grande incertezza. Credi che la stessa cosa si possa dire della società italiana dei primi anni '90?

Franco: Non credo. Mi viene da rispondere no. E si, forse. Il periodo in cui aristofane scrive la sua commedia è il periodo in cui la breve vita dell'esperienza "tragica" volge al termine. Già, anche prima, Sofocle, nelle sue opere tarde (Edipo re) aveva cominciato a vedere gli dei più lontani e gli uomini meno sicuri. Euripide, di poco più giovane, è profondamente penetrato dall'illuminismo sofistico. Nei suoi drammi echeggiano aspre accuse, contro gli dei.
E, tuttavia, è tut'altro che ottimista sulla "ragione". Sa che la condotta dell'uomo è determinata dalle passioni.
Si è spezzata l'unità classica fra giustizia e destino. Così è destinata anche a spezzarsi la forma classica della tragedia.

Perchè questo "enorme preambolo"?
Per dire che questo duplice spezzarsi si concretizzava in un uomo. Si concretizzava in Socrate. E ne "Le Nuvole" di Aristofane, è Socrate che viene sferzato. E, attraverso Socrate, tutta la sofistica e la moderna filosofia della natura. Forse, riprendendo, un discorso sfiorato in ml è Aristofane, e non Sofocle, il "bigotto". E' Aristofane che si batte contro l'esaltazione dell'autonomia dell'individuo (o addirittura il "diritto naturale del più forte") E così, in ossequio al sillogisma, dovremmo stabilire che è Fabrizio il bigotto. O meglio, il moralista.
Ecco, a questo punto si potrebbero cominciare a fare i debiti raffronti. Si potrebbe dire che negli 'anni 90 si chiude, con la caduta del muro di berlino, un'epoca comparabile a quella "tragica", di cui si parlava sopra. I nuovi valori, che emergono, sanciti dalla caduta di questo muro, o meglio dal modo in cui viene recepita la caduta del muro parlano, per l'appunto, ancora una volta, del diritto naturale del più forte (o del più scaltro).

Lilia: Che Aristofane sia "bigotto" è un'opinione largamente diffusa, visto che anche in altre opere si fa difensore dei valori tradizionali, criticando i "nuovi tempi". Tuttavia il bigottismo delle "Nuvole" nasce da un errore di fondo: quello che compie Aristofane quando accosta Socrate ai sofisti, dimostrando così di non comprenderne affatto il pensiero. La critica del commediografo ateniese è rivolta infatti alle idee smaliziate della gioventù rampante, cresciuta dai sofisti. In questo senso, la sua posizione ideologica è molto vicina a quella di Fabrizio de André, che della società del suo tempo critica la vanità, la fretta, lo smarrimento. E' possibile che che il parallelismo tra le due opere si possa spingere fino al punto di individuare i "sofisti" degli anni '90, vuoti venditori di idee: nella "Domenica delle Salme" de André attacca i suoi colleghi cantautori con parole sferzanti, dipingendoli come intellettuali mercenari. (- voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio/ coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio/ voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti/ per l’Amazzonia e per la pecunia/ nei palastilisti/ e dai padri Maristi...).
Pensi che si tratti di un paragone troppo audace?

Franco: Tornando alle nuvole, rileggevo 'Amico Fragile', e vedo sottolineato il fatto che il rapporto di parentela con la commedia di aristofane si ferma al titolo. Il resto, in qualche modo, si capovolge. Le nuvole, ovvero tutti quei personaggi ingombranti che impediscono al popolo di vedere la verità, sono il potere, ancora una volta, in tutti i suoi aspetti e filiazioni. In questo senso, forse, anche i "cantanti" che, evitando di dire la verità, avallano le menzogne di stato. C'è da interrogarsi, semmai, proprio sul fatto che in questo scorcio di fine secolo, forse per la prima volta, si invertano i valori di conservatorismo e modernizzazione. Di questo forse andrebbe parlato più estesamente. Di come, nel mondo del pensiero unico, chiunque si opponga al liberismo selvaggio e allo smantellamento di qualsiasi struttura che non poggi sulla logica del profitto, venga tacciato di conservatorismo, di essere un retrograde. Forse, in fondo, gli 'aristofani' siamo noi. Rimane da affrontare anche la seconda facciata del disco, quella in cui parlano i senza voce. E parlano nel loro dialetto. Come fanno solitamente. Forse proprio per non farsi capire. :)

Lilia: Forse non si tratta di una vera e propria "inversione di valori", dal momento che anche la società ateniese della fine del V secolo a.C. si va evolvendo in un senso simile a quello della società moderna. Questo disco può forse essere interpretato come un invito a ripensare il significato del termine "progresso", che non deve essere inteso soltanto come cancellazione forzata dei vecchi valori.

Franco: Si certo, ma a grandi linee. A fronte di una società greca che viene sferzata dal vento del cambiamento. Che si interroga e non ha, per "confortarsi", un'idea immanente di "progresso". A fronte di una società complessa e ricca, abitata da uomini che hanno affinato il loro senso tragico della vita, a fronte di tutto questo noi ci ritroviamo con una società, la nostra, che ha perso il senso del ridicolo. Uomini che recitano in un farsa, destinata però ad avere tutte le connotazioni finali della tragedia.

Lilia:Ma passiamo al registro stilistico. Nell'antichità la tragedia aveva per oggetto dei ed eroi, e si serviva di un linguaggio aulico e forbito; la commedia al contrario descriveva uomini del popolo, e lo faceva con un linguaggio molto vicino a quello parlato: Aristofane, in particolare, fa un grande uso di espressioni gergali, anche piuttosto forti. Io credo che Fabrizio de André in questa opera riprenda esplicitamente il registro stilistico comico, sia nella scelta dei personaggi, tutti di bassa estrazione, sia in quella dei contenuti, con uso continuo dell'ironia (questo è uno dei dischi più esplicitamente ironici della sua produzione), ma soprattutto scegliendo di usare un registro linguistico molto vicino a quello della lingua parlata, fino ad arrivare al dialetto. E' una modalità di espressione che contrasta molto con quella di altri dischi, come "la Buona Novella", che possono a buon diritto essere definiti tragici. Che cosa ne pensi?

Franco: Cosa vorresti dire? Che la prima parte del disco, quella della "domenica delle salme" parte da un registro tragico, con il funerale dell'ultima dea di questo secolo, l'utopia? e poi, attraverso "Don Raffaè", ancora sulla prima parte, vira al comico dialettale della seconda parte? Potrebbe essere. Non credo però che un disco come La Buona Novella possa definirsi tragico. Non ci sono dei nell'opera di fabrizio.Non c'è nessun dio. Tantomeno nella buona novella.
Ma tornando a 'Le Nuvole' quello che a mio avviso è importante, al di là della struttura e delle dinamiche del disco e delle canzoni, è la frase sulla quarta di copertina del libretto che accompagna il cd. Come se la salvezza stesse altrove.
Non basta un cannone in cortile, per difendersi, per salvarsi.
Le catacombe non vanno più bene. per la clandestinità. La gamba di renato curcio è stata pagata come tributo. Nessuna resistenza è più possibile. Rimane solo la fuga. Il cannone è solo un' arma. Un'arma come quelle che si cercano, quando si scappa, inseguiti ma non terrorizzati. Senza panico. Gli occhi si volgono intorno e cercano un'arma, una qualsiasi. Mentre la fuga continua. E cosa c'è di meglio di un covo di pirati per continuare ad essere sempre in fuga?

Franco Senia, 21/03/2000