Cocktail anno 8 numero 2
Sport time
Era una vittoria attesa da 26 anni, da quando cioè la "franchigia" di San Antonio nacque dalle ceneri dei Dallas Chaparrals della ABA. Finalmente, dopo tante stagioni di duro lavoro e di pesanti delusioni, i San Antonio Spurs hanno vinto uno dei titoli più singolari di tutta la storia dell'NBA. La stagione regolare, infatti, che ogni anno vede ciascuna delle 29 squadre NBA disputare 82 partite, è stata mozzata dallo sciopero dei proprietari che si era protratto per alcuni mesi. Quando poi finalmente le due parti (proprietari e giocatori) si sono accordate, è cominciata a Febbraio una mini stagione che prevedeva 50 partite di Regular Season (Stagione Regolare) per ciascuna squadra.
I San Antonio Spurs si sono dimostrati inarrestabili con un David Robinson motivatissimo e un Tim Duncan, al suo secondo anno in NBA, semplicemente stellare.
Al
termine della Regular Season gli Spurs hanno avuto il miglior record di tutte
le NBA col 74% di vittorie, traguardo questo che ha consentito alla squadra di
affrontare i play-off con il vantaggio del campo (secondo il quale la squadra
che lo possiede, in ogni serie di play-off, gioca in casa la maggior parte
delle partite tra cui la prima e l'ultima).
Al
primo turno di play-off (al meglio delle 5 partite) gli Spurs si sono trovati
di fronte i giovani Minnesota Timberwolves di Kevin Garnett e nonostante gli
Spurs siano passati agevolmente vincendo la serie per tre a uno, rimane
comunque quell'unica partita persa e l'ottima prestazione di Kevin Garnett che
si è rivelato l'anti-Duncan, dimostrando statistiche migliori di "Dream
Tim" e limitandolo parzialmente.
Al
secondo turno gli Spurs si sono trovati davanti degli avversari che nessuno
vorrebbe mai trovare sul proprio cammino: i Los Angeles Lakers di Shaquille
O'Neal e di Kobe Bryant. In pochi avrebbero scommesso sulla vittoria degli
Spurs, o almeno non per 4 a 0, ma grazie al lavoro di squadra, al talento
smisurato di Tim Duncan, all'esperienza e al duro lavoro di David Robinson, ed
anche (bisogna dirlo) ai problemi difensivi dei Lakers, rei di aver scacciato
il turbolento ma fondamentale Dennis Rodman, gli Spurs hanno spazzato via con
estrema soddisfazione i californiani. Nelle finali di Conference (le semifinali
del campionato) si sfidano da una parte le due migliori squadre dell'Est,
dall'altra le due migliori dell'Ovest. Gli Spurs si sono trovati di fronte i
talentuosi Portland Trail Blazers, squadra giovane nel suo complesso ed
estremamente difficile da battere, autrice tra l'altro dell'eliminazione nei
quarti dei fortissimi, ma ormai vecchi, Utah Jazz, finalisti nelle ultime due
stagioni (ma sempre sconfitti dai Chicago Bulls di Michael Jordan). Anche qui
dopo aver eliminato i Lakers si poteva immaginare una vittoria degli Spurs, ma
non così clamorosa! Un altro secco 4 a 0 e anche i Blazers sono fuori dai
piedi, grazie in modo particolare alle "Twin Towers" (Torri Gemelle)
di San Antonio Robinson e Duncan, e alla felicissima prestazione del
funambolico playmaker Avery Johnson che ha risposto al play avversario Damon
Stoudamire, che l'accusava di non essere un playmaker da titolo NBA,
sculacciandolo ben benino sul didietro.
La
finale NBA: un sogno che diventa realtà! Gli Spurs non ci erano mai arrivati
prima, ed ora che ci sono, hanno il favore del pronostico e il fondamentale
fattore campo. Dall'altra parte gli storici New York Knicks, dopo un inizio di
campionato difficile (rischiavano di restare fuori dai play-off), grazie ai due
assi Latrell Sprewell e Allan Houston, si sono fatti strada nei play-off senza
guardare in faccia nessuno, ed ora sono di fronte agli Spurs senza il loro
centro Patrick Ewing. In una finale NBA la tensione si può tagliare col
coltello e nonostante l'immensità dell'impianto lo stadio degli Spurs, il bellissimo
"Alamodome", è stracolmo di tifosi urlanti e decisi che stavolta si
va fino in fondo. Lo sfondo in cui si gioca questa finale è storico: si
deciderà chi sarà il padrone dell'NBA del "dopo-Jordan" e la squadra
campione dopo l'era d'oro dei Chicago Bulls. Negli Spurs tutto gira a mille, la
difesa è la migliore dell'NBA per il secondo anno consecutivo (con quei due li
sotto, chi segna?), l'attacco presente ha tutte le armi necessarie affilate al
massimo, la squadra è compatta, e la panchina, abilmente amministrata dal coach
Greg Popovich (ex agente della CIA), produce punti e difesa in quantità.
E
adesso, come cantava Freddie Mercury con i mitici Queen, «The show must go
on» («Lo spettacolo deve andare avanti»). Fondamentale per ciò che gli
Spurs hanno costruito è stata la voglia di rivincita dell'eccelso David
Robinson, che con una carriera d'oro alle spalle e dopo aver vinto tutto
(capocannoniere, miglior difensore, miglior giocatore, matricola dell'anno, due
medaglie d'oro con il "Dream Team" e l'inserimento nella lista dei 50
migliori giocatori di tutta la storia), continua a portarsi dietro
(ingiustamente) l'appellativo di perdente, per la presunta mollezza dimostrata
nei momenti più importanti. Si aggiunga alla determinazione di Robinson lo smisurato
talento di Tim Duncan che lo porterà a vincere l'MVP (miglior giocatore della
finale), la tecnica sopraffina di Sean Elliot, la foga di "super"
Mario Elie e la velocità e l'inaspettata freddezza del folletto Avery Johnson.
Il
risultato è ormai chiaro: dopo uno schiacciante 4 a 1 dove non è mai stato
messo in discussione chi fa la parte del padrone, gli Spurs sono Campioni del mondo!!! E vi garantisco che l'anno prossimo sarò qui a celebrare il
secondo titolo consecutivo di San Antonio. Back
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Non è finita!
Fudo della Montagna
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