Cocktail anno 8 n. 4

 

Le  intuizioni  psicopedagogiche

di  don  Bosco

 

Al Sistema Preventivo sono legate profonde intuizioni psicologiche. Certamente don Bosco non aveva studiato la psicologia delle relazioni, e tantomeno la psicoanalisi per il fatto che… non erano ancora nate! Intuì, però, che lo scambio di contenuti tra educatori ed educandi non può avvenire se la relazione che li veicola non è improntata ad affetto e stima. L’educatore che ha sentimenti conflittuali nei confronti degli studenti comunicherà prima di ogni altra cosa questi suoi sentimenti, e la “vera” comunicazione sarà un messaggio molto eloquente che contraddice quanto si sforza di proporre a livello intellettuale.

Lo studente “sentirà” che non può fidarsi del tutto, che non può esprimersi spontaneamente, che il suo cuore non è contento e di conseguenza non accetta quello che gli viene proposto in modo così freddo e contraddittorio. Ecco perché don Bosco intuì che l’atteggiamento di fondo improntato a “simpatia e volontà di contatto” è il canale per il quale si possono scambiare contenuti e nozioni.

Attraverso il canale della simpatia vera, profonda e ricambiata, l’educatore-professore può entrare nel cuore dell’allievo e trasfondervi tutti quei contenuti di cui egli è ricco.

Ogni intervento, secondo la metodologia salesiana, viene fatto in prevalenza sulla parte emotiva perché questa aggancia e utilizza il sistema motivazionale che in un ragazzo è assai plastico e recettivo.  La motivazione è il motore dell’attività e permette all’individuo di indirizzare le sue energie verso mete di utilizzo, a breve e lunga scadenza. Essa si basa sostanzialmente sulla piattaforma dei bisogni personali e si forma nella lunga interazione con le figure parentali.

L’approccio amorevole, quasi materno, con il quale don Bosco interagiva con i suoi ragazzi, aveva diretto contatto con il sistema motivazionale. Questo permette all’educatore di raggiungere la ragione del giovane, e di legare ad essa, appena egli ne è capace, tutte le energie personali che egli dovrà mettere nel suo progetto di vita.

Il Sistema Preventivo fu l’intuizione più profonda che don Bosco ebbe come educatore. Egli mise la sua personalità, umanamente ricca e assai dotata di tante energie affettive che sono il motore delle relazioni tra le persone, a servizio dei giovani. Uomo, che per chiamata divina doveva rimanere celibe, non si spaventò della sua esuberanza pulsionale, ma la indirizzò, con un chiaro meccanismo di sublimazione, verso mete educative, per costruire una serie di relazioni, entro le quali i giovani potessero trovare corrispondenza ai loro bisogni. Proprio come ogni uomo fa all’interno della sua famiglia, accanto alla donna con la quale ha generato dei figli.

Alla base del dinamismo intrinseco al Sistema Preventivo, c’è quel meccanismo che, in fondo, sta alla base di ogni realtà umana: la relazione messa a servizio della crescita corretta, dell’apprendimento e della progettazione di un piano personale.

La relazione è considerata oggi il meccanismo con il quale ogni educatore agisce: serve per sostenere un processo di crescita in una persona non ancora adulta, per comunicare valori di vita e di cultura, per operare cambi di atteggiamenti in una persona difficile, per correggere anche disturbi di personalità o per venire incontro a difficoltà relazionali. E’ chiaro che la fonte del Sistema Preventivo rimane, sostanzialmente per don Bosco, il suo “carisma”, alla radice del quale stava l’atteggiamento umano-cristiano che ricercava, per motivi di fede solo il bene della persona, mediante una relazione amichevole, affettuosa, autentica. Seguendo il proprio carisma egli indirizzò la sua azione con i giovani verso mete di sviluppo a loro proporzionate: la loro giusta crescita, la loro culturizzazione, l’apprendimento di discipline, la loro progettazione di una loro vita autonoma, la loro preparazione professionale.

Il Sistema preventivo come lo insegnò don Bosco esigeva dall’educatore un forte impegno, che si poteva ben dire una “consacrazione” alla causa dei giovani. Don Bosco concepì i suoi insegnanti, salesiani e laici, come sorretti da una forte motivazione a sacrificarsi per il bene dei ragazzi. Una motivazione che in ultima analisi non poteva essere che religiosa e doveva contare sopra numerose doti umane, provenienti da una personalità armoniosa capace di adattamento e di comunicazione. Tutto ciò è incluso nell’essenza dell’atteggiamento “preventivo”; chi lo assume e lo vuole utilizzare nel corso della propria attività professionale, deve esercitare su di sé uno sforzo assiduo e guidato perché comporta l’utilizzo della propria personalità in funzione relazionale e comunicativa.

Nel campo educativo bisogna umilmente riconoscere che solo in tanti si può fare tutto, ma che una persona fa solo quello che è in grado di fare. Sarebbe illusorio pretendere di sapere fare tutto e di venire incontro personalmente alle necessità di tutti. Una simile posizione si avvicina a quella di “onnipotenza” infantile tipica del bambino, ma anche di parecchi adulti…

Noi insegnanti ci lamentiamo spesso di non avere risultati e ricerchiamo le cause in varie direzioni: nella struttura scolastica che gestisce male l’insegnamento, nella società che non sostiene la categoria, nelle famiglie che pretendono senza collaborare, nelle cattive disposizioni degli studenti disturbati, disorientati da tanti influenze sociali… Ma forse dovremmo cercarlo nell’unico settore dove potremmo intervenire, e cioè nelle proprie disposizioni interiori e nelle modalità di lavoro. Difficilmente una singola persona riesce ad influenzare le cause disturbanti che provengono dal contesto sociale, ma può intervenire abbastanza facilmente su quelle cause collegate alle modalità personali di essere in relazione e di esplicare un servizio. Noi insegnanti crediamo spesso che basti dare, dare generosamente, dare tanto… ma non ci chiediamo che cosa diamo e come diamo.

 

                             d. Antonello Cattide

 

 

 

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