L’ETNA E IL MONASTERO

DI S.NICOL0’

 

 

Secondo figlio di Giove e di Giunone fu Efesto che, per la sua bruttezza, fu precipitato dalla madre giù dall’Olimpo sulla terra e in conseguenza di questa caduta rimase zoppo. Riuscito a risalire nell’Olimpo, dal padre irato venne un’altra volta precipitato in terra nell’isola di Lemno, dove impiantò un’officina di fabbro, nella quale, aiutato dai Ciclopi, prese a foggiare meravigliosi capolavori.

Da Lemno Vulcano si portò in Sicilia e nelle isole Lipari e quivi pure impiantò nel sottosuolo colossali officine, le cui fiamme uscivano dai vertici dello Stromboli e dell’Etna (Vulcano era anche onorato come Dio dal fuoco).

La fama di Efesto si diffondeva e gli dei andavano a gara per averne i lavori che uscivano dalle operose officine.

Fra l’altro Vulcano costruì lo scettro del padre ed un trono tutto d’oro per la madre, finemente lavorato. Ma appena Giunone tutta impettita vi si sedette sopra, si trovò imprigionata da una fittissima rete e non poteva in alcun modo liberarsene.

Era la rivincita di Vulcano. Infatti il divino fabbro, subito chiamato per liberare la madre, accondiscese a rompere quel groviglio di fili, ma a patto di essere riammesso definitivamente nell’Olimpo. E così ottenne; ed inoltre, perché fosse compensato della bruttezza avuta dalla sorte, gli fu data in moglie la stessa dea della bellezza e dell’amore, Venere, ma fu un’unione poco felice.

Pure nell’Olimpo Efesto impiantò un’officina nella quale costruì per Giove l’egida, per Diana e Apollo le infallibili frecce, e, il capolavoro dei suoi capolavori, Pandora, la prima donna..

Efesto era rappresentato nelle sembianze di un uomo vigoroso e barbuto, con o senza gli arnesi del mestiere, vestito d’una corta tunica. Tra gli animali gli era sacro il leone. In Roma Vulcano ebbe culto antichissimo e fu anche ritenuto dio protettore delle abitazioni contro gl’incendi, nume tutelare delle riunioni politiche

Le feste Volcanalia si celebravano in suo onore il 23 agosto nel Volcanal, un luogo a lui consacrato e adibito anche alle adunanze".

(Mitologia Classica, G. Beltramini, Ed. Signorelli, Mi)

I continui brontolii, le esplosioni, gli sbuffi di gas e i vapori, che richiamano un paesaggio dantesco, suscitano timore in chi si trova al cospetto del grande vulcano. Il senso di fascino che attrae il visitatore perdura in qualsiasi periodo dell’anno, sia quando la neve crea dei forti contrasti con il suolo imbrunito dalla lava, sia quando la natura verdeggiante ricopre i suoi fianchi scoscesi.

La "montagna di fuoco" fa sentire la sua presenza fino ai paesi limitrofi, i cui abitanti si sono abituati a convivere con il vulcano.

 

In Sicilia, non esiste una natura del tutto incontaminata, ed alcuni territori, poco marcati dalla presenza dell’uomo, sono testimonianza della storia naturale della nostra regione.

Nel Marzo del 1987, con un decreto del Presidente della Regione Siciliana, è stato istituito il Parco dell’Etna, un’area di 59mila ettari, dentro cui ricadono 20 comuni con i loro 200.000 abitanti, per consentire alla natura il suo corso, limitando l’intervento umano. E’ uno dei più grandi parchi regionali d’Italia.

Salendo verso i crateri sommitali sono evidenti le case lesionate o distrutte completamente dalle eruzioni.

Con il passare degli anni l’altezza dell’Etna è cambiata a causa delle colate laviche, esso è il più grande vulcano d’Europa attivo e la più alta montagna della Sicilia.

 

 

 

 

Una delle eruzioni più importanti, quella del 1669, distrusse una decina di paesi e parte della città di Catania.

Nel 1843 una colata arrivò a Bronte e provocò lo scoppio di una cisterna, causando la morte di 50 persone; nel 1983 l’esplosione dei crateri sommitali provocò la morte di 11 turisti. Nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1991 il cratere di sud-est eruttò e la lava scese fino alla Valle del Bove.

 

Oltre i 2000 metri troviamo un clima rigido e freddo con forti venti e frequenti nevicate, per cui partendo da circa 600 metri per raggiungere i 3000 metri si è soggetti a sbalzi di temperatura. Ciò condiziona la vita animale e vegetale.

 

 

Nel Parco dell’Etna si conoscono parecchie grotte, oltre 200, tutte interessanti e suggestive. Nell’antichità esse vennero utilizzate come luoghi sacri di sepoltura o sfruttate dai viandanti come abitazioni.

Tra le più importanti ricordiamo: la grotta delle Palombe, a nord dei Monti Rossi di Nicolosi; la grotta dei Lamponi, che si trova all’interno di un affascinante campo di lave, nel 1989 conosciuta come la più lunga grotta, con una profondità di oltre 800 metri; la grotta dei Tre Livelli, che detiene oggi questo primato, ha uno sviluppo complessivo di 1100 metri, ed è la grotta vulcanica con il quarto maggior dislivello.

 La trasformazione del territorio etneo non è stata causata solo dal vulcano, un ruolo importante ha avuto l’esasperata antropizzazione; infatti l’insediamento umano ha determinato un eccessivo disboscamento per la costruzione di case e strade.

Nel parco dominano quattro crateri attivi: Centrale, Bocca Ovest, Cratere Nord-Est, Cratere Sud-Ovest. Per diverse centinaia di ettari si estende un deserto lavico a cui si contrappongono dirupi, scarpate, valloni, muraglioni di lava, ecc.

Su tutto domina la Valle del Bove. Essa è situata sul fianco orientale del vulcano ed è lunga circa 7 Km. ed è larga 5. Un tempo era ricoperta da boschi e vegetazione arborea ed erbacea, oggi le sue pareti laviche raggiungono i mille metri ed ospitano i

famosi "dicchi" cioè pietre levigate che somigliano a delle vere sculture.

Il Parco ospita anche architetture rurali, caratterizzate da piccole case di boscaioli, da vecchi ricoveri di pastori e di greggi, , costruiti con materiali locali.

Caratteristici sono i paesi etnei, che hanno un arte propria e particolare; in alcuni, come Randazzo, vi sono importanti beni culturali e testimonianze storiche che vanno dal medioevo ad oggi.

Il paesaggio dell’Etna, dai 1200 – 1300 metri, caratterizzato da colate laviche antiche e recenti, oltre ai castagneti, presenta, per ampi tratti, vigneti, pereti, noccioleti, pometi, fragoleti, pistacchieti e una fitta vegetazione di arbusti e boschi. Il suolo è particolarmente fertile per la presenza di calcio, fosforo, ferro e potassio; il terreno vulcanico inoltre conferisce particolare sapore ai prodotti.

L’allevamento tipico è quello della pastorizia, un tempo diffusa, oggi notevolmente ridimensionata; essa ha carattere stagionale ed è soggetta alla transumanza. Il bosco offre anche buonissimi funghi e castagne.

L’Etna è circondata da bellissimi boschi, che vengono oscurati dalla più importante attività eruttiva; rigogliose sono le distese di leccio, pino laricio, roverella.

Dai 3000 ai 3500 metri troviamo il deserto lavico, qui non cresce vegetazione e non vive nessun essere vivente: il profondo silenzio domina il paesaggio quasi infernale.

Scendendo fra i 3000 ed i 2500 metri " l’orizzonte delle pioniere di altitudine" determina le specie vegetali che riescono ad adattarsi alle condizioni climatiche proibitive: le piante endemiche, che crescono solo sull’Etna; tra esse ricordiamo il romice dell’Etna, la camomilla dell’Etna, il senecio Glauco, la costolina appenninica. Dai 2500 ai 2000 metri vive una vegetazione tipica del vulcano, che costituisce "l’orizzonte dei pulvini spinosi". Il vegetale più caratteristico è lo spino santo, anch’esso endemico.

 

 

 

Sopra i 2000 metri sopravvivono faggi, betulle e pioppi, questo orizzonte infatti è chiamato "orizzonte del faggio", alberi che sono stati ridimensionati dalla lava e dal disboscamento.

Sull’Etna ci sono esemplari in via di estinzione come lupi, cinghiali, caprioli, daini, grifoni e lontre.

Nel 1990 si è scoperto un nido con dentro un piccolo di aquila reale su un pino larice; questo rapace che nidifica negli strapiombi, ha tentato di riprodursi anche tra lava

dell’Etna

Tra i mammiferi carnivori abbiamo: la volpe, il gatto selvatico, la donnola e la martora; tra i roditori: il ghiro, il ratto, l’istrice, il quercino ecc.; tra i rapaci notturni: il barbagianni, la civetta e l’assiolo; tra i rapaci diurni: il falco pellegrino e l’aquila reale .

Sono presenti molti passeri come il cardellino, il corvo, il pettirosso. Ci sono molti rettili, la vipera, il biacco, la biscia dal collare e il colubro leopardino.

Poco presenti sono gli anfibi per la scarsità di ambienti umidi.

Il Monastero di S. Nicolò è ubicato nella zona pedemontana dell’Etna, vicino agli ex crateri, oggi delle piccole colline. Il suolo è costituito da sabbia e pietrisco vulcanico dal colore nero detto "azolo". Sorge a quota 1000 sul livello del mare, nel punto in cui il terreno comincia a degradare e l’ambiente, attraverso vari insediamenti, indica la presenza dell’uomo.

L’abbazia benedettina , semplice nella struttura, rispecchia la cultura e il tempo in cui venne costruita.

Lo scopo di questa costruzione, proprio alle falde dell’Etna, fu quello di una grande trasformazione agricola a vigneto e a frutteto; si diede anche impulso alla attività

della seta con la piantumazione del gelso che sostituì in parte il bosco.

 

Le limitate possibilità economiche della comunità benedettina non consentirono di elaborare l’architettura dei fabbricati, che rimasero piuttosto poveri ed appartennero alla cultura popolare contadina, tuttavia esse ebbero importanza per i luoghi di ubicazione e per le tecniche costruttive usate, in modo particolare ci si riferisce ai pilastri in legno della struttura stessa.

In epoca classica tutto il territorio etneo era ricoperto da boschi, esso riforniva legname alla industria navale di Siracusa, ne sono testimonianza denominazioni come "Barriera del bosco", "villaggi del bosco", "vini del bosco".

I normanni, grandi difensori della cristianità, affidarono nel 1082, Catania e i territori etnei all’abate Angerio. Era chiaro che questa concessione era determinata dall’uso del sistema feudale, il cui risanamento delle terre da parte della comunità assicurava il controllo dell’economia regionale.

Altri monasteri vennero edificati a S. Maria La Scala, S. Maria di Novaluce, S. Leone di Pannacchio, S. Maria di Licodia, S. Maria Maniace, qualcuno di questi, che esisteva già come cenobio di origine basiliana, fu assegnato poi ai benedettini per un migliore controllo del territorio.

La politica religiosa dei normanni infatti tendeva alla eliminazione del monachesimo greco, con la costruzione delle abbazie benedettine, le quali ebbero assegnate molti antichi cenobi ed edifici basiliani. Il vescovo di Catania concedeva, come signore feudale, ai contadini di raccogliere rami dai boschi o di arare qualche pezzo di terra.

La storia di Nicolosi è legata alle vicende del monastero, da cui prese il nome, e ai rapporti che esso ebbe con gli altri monasteri. Nel XIII secolo S. Nicolò era costituito da una chiesa e un ospizio, dove si recavano i monaci infermi del monastero di San Leone Pennacchio.

"Sito e posito dello ditto banco di Paternò, sotto lo Monte Panachi, e nel piano di Santo Lio".

Fondato da Enrico del Vasto, conte di Policastro e signore di Paternò, nel 1136, fu dato al suo amico Giovanni Amalfitano.

Nel 1143, il figlio di Enrico del Vasto, il conte Filippo, fondava il monastero di S. Maria di Licodia, stabilendo che il monastero di S. Nicolò doveva dipendere da quello di S. Leone. Nel 1205 quest’ultimo venne unito a quello di Licodia, che era divenuto sede di abbazia, per cui, i tre monasteri si unirono.

Federico II di Aragona volle costruire accanto all’ospizio di S. Nicolò un monastero, questo fatto fece sorgere però una disputa tra il nuovo monastero e quello di Licodia, per la sede abbaziale. Il privilegio ottenuto, con il decreto del vescovo di Monreale, divenendo sede di un priore pro tempore, determinava per S. Nicolò il primo passo verso la completa emancipazione.

Nel XIV secolo nasce Nicolosi. Prima della costruzione del monastero era impensabile che una moltitudine di persone si organizzasse attorno ad uno ospizio.

La vittoria ottenuta dal monastero di S. Nicolò su quello di S. Maria di Licodia e la sua nomina a sede abbaziale richiese parecchio personale, per potersi dedicare alla regola e alle terre controllate. Contadini, pastori, servi, tutti avevano un lavoro che veniva offerto dal convento. Si formò così una colonia detta di S. Nicolò i cui componenti si chiamarono con il tempo "I Nicolosi". La cittadella dunque nacque spontaneamente, senza un piano urbanistico, accanto al monastero e si sviluppò in seguito lungo la strada che collegava Paternò con Acireale, attorno alla chiesa madre, poiché essendo un paese di montagna non aveva altre relazioni esterne.

Percorrendo un viale che per tanti secoli è stato percorso dagli abitanti della zona si

giunge alla chiesa dell’abbazia e nelle celle dei padri benedettini.

Sotto di esse si trovano le cantine, che servono a ricordare il legame che il monastero ebbe con il territorio.

Molti vigneti non aperti, ma delimitati da caratteristici muretti in pietra lavica a secco, sostituirono gli alberi di castagno e di quercia di cui era ricco il bosco dell’Etna. Questo tipo di agricoltura motivò la costruzione di alcune fabbriche adatte alla coltura e realizzate in epoche diverse, secondo l’architettura tardo – medioevale siciliana.

Le murature esterne delle costruzioni sono senza intonaco o presentano un riempimento di colore nero, per la sabbia presente nella malta, e delle pietre segnate solo da elementi lapidei di calcare bianco in corrispondenza dei portali di ingresso, dei riquadri dei balconi e delle finestre

Tra tutti i fabbricati quello del monastero costituisce il corpo principale, vi si trovano: la chiesa, l’ingresso principale, le celle per i monaci e per l’abate, la grande cantina.

L’ex trappeto invece, seconda costruzione, serviva ai monaci per fare il vino, che poi veniva messo in botti di notevole dimensione. Un grande locale con una serie di monovani serviva da deposito o da alloggio, per coloro che si dedicavano alle attività agricole, o per ricovero; esso costituiva il terzo fabbricato, oggi rudere.

Circonda l’abbazia un terreno agricolo, di circa 50.000 mq., che costituisce un complesso vegetale di insolita bellezza, si trovano infatti la betulla bianca, alquanto rara e la ginestra dell’Etna.

La scelta dell’Ente Parco di restaurare e di recuperare questa costruzione di grande interesse storico, che ne ospiterà la sede, servirà a dare alla struttura, che si sarebbe persa definitivamente, un nuovo scopo.

Il progetto conserverà le fabbriche esistenti, per l’alto valore storico e culturale che esse assumono come documenti e testimonianza di storia, di arte e religione. La nuova destinazione viene giustificata dalla promozione culturale e sociale che l’Ente svolge in tutto il territorio etneo.

Il restauro consentirà a S. Nicolò di diventare un "museo" vivo, che contribuirà a creare una nuova sensibilità per il nostro patrimonio culturale.

 

 

Gli interventi prevedono di dare ai vani di piano terra (trappeto e cantina) la destinazione di museo, creando le attrezzature adatte; l’ex chiesa sarà la sala dei convegni, delle mostre o delle riunioni.

Le celle del primo piano diventeranno gli uffici dell’Ente e lontani dal complesso degli altri fabbricati storici saranno costruiti: un garage per gli automezzi, la centrale termica per i riscaldamenti e l’alloggio per il custode.

Saranno inoltre restaurati gli edifici agricoli che presentano gli impianti con le murature di spiccato delle fabbriche, esse daranno l’idea dell’insediamento benedettino.

Il progettista è l’arch. Salvatore Boscarino, prof. Ordinario del Restauro Architettonico nella facoltà di Architettura dell’Università di Palermo.

 

 

S. Nicolò potrà finalmente ritornare a vivere e il ricordo dell’antica abbazia non sarà cancellato dal tempo e dall’incuria

I monaci benedettini di San Nicolò, Padre Giovanni Scicolone e Padre Andrea, rimasti solo in due, vivono nel nuovo Monastero G. B. Dusmet, sito anch’esso sull’Etna, a poca distanza da quello dove ebbe origine la comunità.

 

 

Dedicano molto del loro tempo alle attività culturali tenendo dei corsi di pittura su legno per i giovani e gli anziani. Padre Giovanni, nel suo piccolo laboratorio, con competenza ed interesse, trascorre diverse nel restauro di libri, che il tempo ha rovinato, per restituirli al patrimonio culturale dell’umanità.