Somalia, il regno del caos

Si fa sempre più preoccupante la situazione politica in Somalia: nonostante l'invio a giorni da parte dell'Unione Africana di una missione iniziale di 1.700 peacekeepers che dovrebbero aiutare a pacificare il paese e l'impegno preso a inizio settimana dai signori della guerra di Mogadiscio di smantellare i gruppi armati in città, la tensione tra le fazioni politiche resta alta, tanto da far temere per la vita stessa delle neo-istituzioni somale.

 

Il Parlamento dissidente

 

La nuova crisi politica in seno al Parlamento è stata causata lo scorso mercoledì dall'ormai annosa questione dei peacekeepers che dovrebbero essere impiegati nel paese per facilitarne la pacificazione. I fedelissimi del presidente Abdullahi Yusuf avrebbero infatti tenuto una riunione parlamentare "clandestina", per approvare l'invio dei peacekeepers nel paese e lo spostamento delle istituzioni di transizione a Baidoa e Johwar, in attesa che la sicurezza nella capitale Mogadiscio migliori.

 

La riunione è stata però contestata dallo speaker del Parlamento Sharif Assan Shaykh Aden, l'unico secondo la Costituzione che ha la possibilità di convocare l'assemblea. Aden ha quindi deciso di dichiarare nullo il voto di mercoledì, annunciando inoltre che la prossima seduta parlamentare, prevista per il 17 maggio, si terrà a Mogadiscio.

 

L'intenzione di Aden sarebbe quella di spostarsi da Nairobi, dove risiedono ancora le istituzioni di transizione, a Mogadiscio portando con sé il maggior numero possibile di parlamentari. Una specie di secessione, che rischia ovviamente di far saltare l'intero apparato costituzionale.

 

La questione peacekeepers

 

E dire che la settimana era cominciata con una buona notizia: la decisione, presa dai quattro signori della guerra che controllano Mogadiscio, di unire le proprie formazioni armate e addestrarle per creare una sorta di polizia che sia in grado di controllare la città. Anche se la decisione non riguarda le milizie indipendenti e quelle facenti capo alle corti islamiche, è comunque un progresso rispetto alla situazione precedente.

 

La mossa dei signori della guerra mira anche a dimostrare come i Somali siano in grado di provvedere alla sicurezza della nazione senza l'aiuto dei peacekeepers, che non sono visti di buon occhio da una larga parte della popolazione.

 

L'Unione Africana ha comunque deciso di inviare un primo contingente di peacekeepers nel paese, circa 1.700 soldati provenienti da Uganda e Sudan. Se non altro l'UA ha accettato la richiesta dei signori della guerra locali, che si opponevano all'invio di contingenti etiopi nel paese a causa delle pesanti ingerenze di Addis Abeba nella guerra civile somala.

 

I peacekeepers, la cui missione dovrebbe durare dai 6 ai 9 mesi, saranno schierati a Baidoa e Johwar per proteggere i lavori delle istituzioni di transizione, che entro il 31 maggio dovrebbero far ritorno in patria da Nairobi. La decisione dell'UA è una sorta di appoggio neanche tanto mascherato alla tesi di Yusuf e del premier Mohammed Ghedi, che premono appunto per evitare di insediarsi a Mogadiscio almeno per un primo periodo.

 

Una mossa che però potrebbe suscitare le proteste dei signori della guerra che controllano la città, visti anche i loro recenti sforzi per migliorare la sicurezza della capitale. Senza contare che la decisione di Aden di spostarsi a Mogadiscio potrebbe rimettere tutto in discussione.

 

Una nazione allo sbando

 

Che le nuove istituzioni somale abbiano poco séguito è stato d'altronde dimostrato dalla recente visita fatta dal premier Ghedi a Mogadiscio ad inizio maggio. Il premier è stato accolto allo stadio da migliaia di cittadini festanti, ma ha dovuto subire il primo attentato da quando è in carica: una granata è esplosa poco distante dal premier, provocando la morte di almeno 15 persone.

 

Ghedi ha minimizzato l'accaduto, facendolo passare come l'errore di un soldato che avrebbe fatto esplodere la granata per sbaglio. Una versione che contrasta con quella di alcuni diplomatici a Nairobi, che sostengono come quello del 3 maggio sia stato un vero e proprio attentato.

 

In una situazione del genere è ovvio che il continuo tentativo di far approvare l'invio nel paese di contingenti etiopi, ed il blitz parlamentare condotto mercoledì scorso che potrebbe avere conseguenze pesanti, non fanno altro che esacerbare gli animi in un conflitto politico che rischia in ogni momento di precipitare nuovamente in scontro armato.

 

Non è un caso che recentemente alcuni signori della guerra abbiano accusato l'Etiopia di avere infiltrato propri uomini ed un ingente quantitativo di armi nel paese, allo scopo di creare una sorta di "milizia pro-Yusuf" a Baidoa. Accuse che, fondate o meno che siano, danno un'idea del deteriorato clima politico che regna nel paese.

 

Un primo riscontro delle condizioni del processo di pace si avrà già nei prossimi giorni, quando Aden dovrebbe dare séguito alle proprie parole e trasferirsi con gli altri "dissidenti" a Mogadiscio. Se così fosse, per il processo di pace sarebbero guai seri.

 

Matteo Fagotto

 

 Fonte: www.warnews.it