L'olocausto di Srebrenica

 

“E adesso andiamo a Potocari”, esclama euforico il generale Ratko Mladić prima di dirigersi con i suoi soldati verso la base del contingente olandese Onu. 11 luglio 1995, per Srebrenica è la fine. Nelle due settimane successive la città bosniaca, dichiarata zona di sicurezza dall’Onu nel 1993, è il teatro del più orrendo massacro avvenuto in Europa dalla seconda guerra mondiale. La popolazione maschile dai 12 ai 70 anni viene deportata in campi di concentramento per essere torturata e uccisa. Quelli che conoscono la crudeltà dei militari di Mladić tentano la fuga attraverso i boschi. Ma la salvezza dista 60 chilometri e le truppe serbo-bosniache controllano tutta la zona circostante. 

“Non abbiate paura, siamo delle Nazioni Unite”, urlano i soldati serbi con gli elmetti azzurri sottratti agli olandesi. I fuggiaschi di Srebrenica si consegnano fiduciosi ai loro carnefici.

Il bilancio, ancora oggi provvisorio, parla di 8000 vittime.

 

Le responsabilità dell'Onu

Qual è l’icona più rappresentativa del fallimento delle Nazioni Unite a Srebrenica? Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Si parte dal generale francese Philippe Morillon, capo dell'Unprofor (la forza di protezione dell'Onu), che nel marzo del 1993 assicurò protezione alla popolazione di Srebrenica, prostrata dall’assedio serbo-bosniaco, per arrivare al brindisi, datato luglio 1995, tra Ratko Mladić e Ton Karremans, comandante del contingente olandese preposto alla difesa dell’enclave. Un brindisi che sancì la resa della città e la consegna dei suoi abitanti alle forze militari serbo-bosniache.

Nessun responsabile dell’Onu pagò per aver abbandonato Srebrenica alla sua sorte, che peraltro sembrava già segnata da tempo. Nei giorni precedenti alla caduta della città, cinta d’assedio dai blindati serbo-bosniaci, gli abitanti aspettarono invano con gli occhi al cielo l’intervento degli aerei della Nato. A pagare, dopo oltre sette anni, è stato invece il primo ministro olandese dell’epoca Wim Kok, costretto a dimettersi dalle incandescenti polemiche interne. L’accusa è di non avere ordinato alle truppe olandesi di proteggere la popolazione di Srebrenica.

 

Il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia

Con la risoluzione n.827 del 1993, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva istituito il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, con sede all’Aja, in Olanda. Alla base della creazione dell’organismo internazionale, il primo a perseguire i crimini di guerra dopo Tokio e Norimberga, due obiettivi: da una parte impedire il ripetersi di episodi di pulizia etnica, dall’altra la perseguibilità dei militari implicati in quel tipo di azioni.

La funzione di deterrenza è rimasta lettera morta. Lo confermano l’agonia di Sarajevo e le numerose stragi di civili compiute fino al 1995. Resta il compito di arrestare i responsabili dei crimini contro l’umanità avvenuti durante il conflitto.

Attualmente sono 49 i detenuti nel carcere di Scheveningen. Tra questi spicca il nome di Slobodan Milosevic, ex presidente della Jugoslavia. L’imputazione, formulata dal procuratore Carla Del Ponte, è di essere stato l’ideatore della pulizia etnica in Croazia, Bosnia e Kosovo. Sono ancora in libertà, invece, Radovan Karadzic e Ratko Mladić, mente ed esecutore dello sterminio in Bosnia.

Fonte: http://www.sgrtv.it/link/numeroiraq/FortunaDaniele/srebrenica.htm