Roma, 14 Maggio 2005. Un'inchiesta trasmessa da
RaiNews24 sulla presenza italiana a Nassiriya e un dossier del governo
italiano mostra come fu pianificata l'entrata in guerra contro l'Iraq a
fianco degli Usa già 6 mesi prima dell'inizio dell'emergenza umanitaria,
per sfruttarne il petrolio. Foto, mappe e documenti sull'attivita' del
contingente italiano mostrano che la presenza dei militari italiani a
Nassiriya abbia come chiaro obiettivo quello di proteggere oleodotti e
raffinerie di petrolio, in una zona ricchissima di giacimenti. Anche di
uranio.
Il giacimento di Nassiriya, il quinto in ordine di
importanza in Iraq con riserve stimate tra i 2,5 i 4 miliardi di barili.
Le immagini del reportage di RaiNew24 mostrano la raffineria di Nassiriya,
e mostrano come i soldati italiani abbiano scortato migliaia di bidoni di
petrolio e protetto zone ricche di giacimenti, anche giacimenti di uranio.
Il confine di competenza italiana in Iraq comprende, guarda caso, proprio
la raffineria di petrolio, il punto di stoccaggio e le paludi sotto cui
risiedono i giacimenti petroliferi da sfruttare.
Il reportage contiene interviste alla vedova
Intravaia (vedova di uno dei 19 italiani morti nell'attentato di Nassiriya),
a Marco Calamai - ex consigliere speciale della SPA (amministrazione
provvisoria) dimessosi in seguito all'attentato a Nassiriya che fra le
altre cose denuncia la cattiva prassi degli americani di non coinvolgere
gli iracheni nell'amministrazione "dal basso" della cosa pubblica. A
Calamai si aggiunge la testimonianze di Benito Li Vigni - ex dirigente
Gruppo Eni ed ex collaboratore di Enrico Mattei, autore del libro "Le
guerre del petrolio", che illustra l'enorme quantitativo potenziale di
giacimenti petroliferi realmente presenti in Iraq (che l'Eni appurò essere
superiori a quelli dell'Arabia Saudita); Li Vigni testimonia gli accordi
tra Iraq ed Eni in merito ai giacimenti di Nassiriya risalenti agli anni
'70 e segnala la strana coincidenza tra la presenza dei soldati italiani a
Nassiriya e la presenza del giacimento petrolifero destinato all'Eni (il
cui 30% è ancora di proprietà dello Stato italiano).
Soldati italiani in Iraq
Da RaiNews 24 Claudio Gatti - corrispondente da New
York per il Sole24Ore, nel video racconta (fonti alla mano) perchè
l'obiettivo dell'attentato di Nassiriya non fossero i carabinieri, ma
piuttosto l'operatore economico presente in quella zona, ovvero l'Eni.
Infatti, il giorno dell'attentato, l'amministratore
delegato dell'Eni, Mincato, dichiarò all'agenzia ANSA che la possibile
presenza dell'Eni a Nassiriya sarebbe slittata al 2004 proprio a causa di
problemi legati alla "stabilità" della zona. A Gatti si aggiunge
l’intervista a Elettra Deiana - parlamentare di RC membro della
Commissione Difesa, e a vari testimoni della base italiana in Iraq.
Di fatto il Governo sapeva tutto
Il 22 ottobre 2003 alcuni parlamentari si recarono in
visita a Nassiriya incontrando l'ambasciatore italiano a Bagdad, che
illustrò ai parlamentari circa la presenza militare italiana finalizzata
agli affari del petrolio, in maniera diretta e addirittura "ovvia". Anche
la cosiddetta missione "Antica Babilonia" fu giustificata "ufficialmente"
come missione con motivi "culturali" legati alla presenza di siti
archeologici.... in realtà la scelta della base italiana fu dettata
proprio da ragioni completamente estranee alla missione
culturale-umanitaria per le quali i soldati furono mandati.
Le cifre
Venne finanziata la costruzione di un ospedale a
Bagdad sorvegliato da 30 carabinieri e poi vennero inviati altri 3.000
soldati italiani a Nassiriya. Le cifre: l'ospedale a Bagdad costò 21
milioni di euro, mentre i soldati italiani a Nassiriya costarono 232
milioni di euro.... a spese dei contribuenti italiani. Il reportage mostra
anche un dossier del Ministero delle Attività Produttive (che il governo
aveva precedentemente ufficialmente ignorato) risalente a 6 mesi prima
dell'inizio della guerra, ovvero della prevista "emergenza umanitaria" da
soccorrere.
Tale dossier governativo indica il luogo migliore per
una presenza italiana in Iraq e viene indicato proprio Nassiriya. Si parla
del petrolio e di un affare da 300 miliardi di dollari. Nel dossier si
descrive l'Iraq come una specie di eldorado e che "l'obiettivo del governo
e delle istituzioni coinvolte è quello di mantenere l'Italia tra i 4
migliori fornitori dell'Iraq per il futuro". Guarda caso ben 15 delle 19
pagine del "dossier Iraq" del governo parlano di petrolio.
Nel dossier del governo si legge anche dei retroscena
internazionali, degli accordi fatti tra Usa, Cina, Francia e Russia per lo
sfruttamento del petrolio iracheno dopo la guerra, che ancora non era
iniziata. Infatti, la guerra in Iraq scattò solo 6 mesi dopo quel
documento. L'affare Iraq fu pianificato: l'affare sporco in Iraq è un
affare a cui il governo italiano si è scrupolosamente attenuto. Non una
guerra "preventiva", dunque, ma una guerra premeditata.
Immediata la reazione dell’organizzazione “Un Ponte
per” che aveva gia denunciato il vero motivo della presenza italiana a
Nassiriya all’indomani dell’attentato nel novembre 2003. “Tutte le
frottole sulla “operazione umanitaria” e sul “portare la democrazia” si
sgonfiano come quelle sulle armi di distruzione di massa: già sei mesi
prima delle guerra, mentre gli ispettori dell’Onu erano in Iraq, il
Consiglio di Sicurezza discuteva, il Governo stava già studiando dove
mandare le proprie truppe. Ci chiediamo se ora l’ENI assumerà la
responsabilità che le compete nei confronti delle famiglie che hanno perso
un congiunto per sorvegliare i suoi barili di petrolio e nei confronti dei
civili iracheni rimasti vittime nella “battaglia dei ponti”.
Ci chiediamo se il Governo ammetterà di aver mentito
agli italiani sugli obiettivi della presenza a Nassiriya e sul fatto che
la discussione sull’invio delle truppe era una pura copertura di decisioni
già prese. Invitiamo tutto il popolo della pace a mettere in atto una
diffusa campagna di denuncia e di boicottaggio non-violento dell’ENI, come
sta facendo da tempo il movimento pacifista statunitense con le
multinazionali Bechtel e Halliburton.
[*Fonte: "Unimondo"]
Fonte:
www.reporterassociati.org