Per l’architettura il committente è optional?

Risolvessi Michelangelo, poiché non poteva fare altro, di servire papa Paulo; il quale volle che proseguisse l’ordinatogli da Clemente; senza alterare niente l’invenzione o concetto che gli era stato dato, avendo rispetto alla virtù di quell’uomo, al quale portava tanto amore e riverenza, che non cercava se non di piacergli…Aveva già condotto Michelangelo a fine più di tre quarti dell’opera, quando andando papa Paulo a vederla, perché messere Biagio da Cesena, maestro delle cerimonie e persona scrupolosa, che era in cappella col papa, dimandato quel che gliene paresse, disse essere cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi,e che non era opera da cappella di papa, ma da stufe e d’osterie; dispiacendo questo a Michelangelo, e volendosi vendicare,subito che fu partito, lo ritrasse di naturale, senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minos, con una gran serpe avvolta alle gambe fra un monte di diavoli. Né bastò il raccomandarsi di messer Biagio al papa ed a Michelangelo che lo levassi, che pure ve lo lassò per quella memoria, dove ancor si vede.

(Brano tratto dall’opera – Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani – pubblicata nel 1550 e scritta dall’architetto aretino Giorgio Vasari 1511 – 1574).

Voglio narrarvi di un povero ricco…Un bel giorno quest’uomo si disse: <<Tu possiedi denaro e beni di fortuna, una moglie e dei figli che farebbero invidia a ognuno dei tuoi dipendenti. Ma sei felice? Sai bene che ci sono persone a cui manca tutto ciò che ti si può invidiare. Ma le loro preoccupazioni vengono fugate da una grande incantatrice, l’arte. E che rapporto hai tu con l’arte? Non la conosci neppure di nome…Ma andrò a cercarla. La riceverò come una regina e avrà nella mia casa la sua dimora>>.. Egli andò quindi, quel giorno stesso, da un famoso architetto e gli disse:<< Mi porti l’arte fra le mie pareti domestiche. Non bado a spese>>..L’architetto non se lo fece dire due volte Andò nella casa dell’uomo ricco, fece gettar via tutti i suoi mobili e in men che non si dica l’arte era stata catturata inscatolata, ben sistemata tra le mura domestiche dell’uomo ricco. L’uomo ricco era tutto felice…Capitò che un giorno egli festeggiasse il suo compleanno. La moglie e i figli gli avevano offerto ricchi regali. Erano cose che gli piacevano moltissimo e gli davano molta gioia. A un certo punto arrivò l’architetto per vedere se tutto era a posto e per prendere alcune decisioni su questioni di grande difficoltà. Entrò nella stanza…<<Come è possibile che lei arrivi al punto di farsi regalare qualcosa? Non le ho disegnato tutto io? Non mi sono forse preoccupato di tutto?Lei non ha più bisogno di nulla. Lei è completo!>>…L’uomo felice si sentì all’improvviso profondamente, infinitamente infelice…Egli intuì: ora avrebbe dovuto imparare ad andarsene in giro con il proprio cadavere. Sì! Era finito! Era completo!

(Brano tratto dal saggio –A proposito di un povero ricco – scritto il 26 aprile 1900 dall’architetto viennese Adolf Loos 1870 – 1933)

I brani sopra riportati esemplificano come il problema del rapporto tra committente ed artista sia stato un motivo ricorrente nella storia almeno dalla fine del secolo XIV con l’avvento del mecenatismo.

Nel primo caso, relativo alla realizzazione dell’opera pittorica - il Giudizio universale– all’interno della Cappella Sistina, è chiaro come la lungimiranza di papa Paolo III nel rispettare le disposizioni inerenti l’affresco lasciate dal suo predecessore Clemente VII nonché la sintonia di intenti ed il rispetto reciproco tra il papa ed il geniale Michelangelo, abbia consentito di portare a termine, nello spirito della controriforma, un’opera grandiosa, innovativa rispetto alla tradizione iconografica e per certi aspetti in contrasto con la morale cristiana del tempo.

Nell’ironica parabola di Loos invece, viene messo in risalto il paradosso del committente che non conoscendo l’arte diffusasi nella sua società si affida totalmente al gusto e alla volontà dell’architetto e rimane privo della possibilità di personalizzare il proprio ambiente di vita.

La committenza d’architettura si distingue in committenza privata e committenza pubblica riconducibile alle istituzioni e agli organi amministrativi che le governano.

Il Premio Internazionale Dedalo-Minosse alla Committenza d’Architettura, istituito nel 1997 per diffondere la conoscenza di architetture di alta qualità e giunto nel periodo 2005/2006 alla sesta edizione, rivaluta la figura ed il ruolo del committente. Colui che commissiona l’opera non è importante solo da un punto di vista economico ma incide, in modo a volte determinante, sulla qualità del progetto e dell’opera realizzata. I committenti che, insieme ai loro architetti, partecipano a questo evento internazionale contribuiscono alla diffusione della conoscenza di un’architettura che è il risultato di una feconda collaborazione umana e professionale.

Il Premio 2005/2006 è stato assegnato a Joji Aonuma con la “Gallery in Kiyosato” progettato dallo studio Satoshi Okada architects che ha posto particolare attenzione alla ricerca architettonica ed all’uso razionale delle risorse energetiche.

La committenza pubblica, con le leggi attualmente in vigore, deve programmare e coordinare le opere destinate alla collettività, siano esse edifici pubblici o infrastrutture, valutare il loro impatto sul territorio e sull’ambiente nonchè stimare i costi ed i tempi della loro realizzazione.

Tendenzialmente gli organi amministrativi committenti cercano un ruolo forte e diretto nelle fasi di progettazione dell’opera attraverso il rapporto fiduciario con l’architetto designato e questo per motivi di strategia politica, di immagine verso la collettività nonchè di controllo dei tempi e delle spese da sostenere.

Spesso si assiste alla chiamata della celebre firma di architettura da parte delle amministrazioni che, in nome del prestigio proprio e della comunità, sono convinte di aumentare la qualità ed il pregio dell’opera prodotta.

Non si considera tuttavia che la suadente architettura “manifesto”, quando rimane un episodio isolato nel paesaggio urbano, non può risolvere da sola i problemi urbanistici di una città. L’importante è realizzare un insieme coordinato di interventi e delle opere dignitose, ben inserite nell’ambiente urbano e capaci di interpretare un determinato contesto sociale e culturale.

Negli ultimi anni la legislazione ha teso a favorire il ricorso ai concorsi di progettazione quali strumenti atti a promuovere la cultura architettonica, garantire una maggiore qualità, attraverso il confronto di diverse soluzioni architettoniche, e favorire maggiori opportunità professionali per gli architetti.

Sebbene le amministrazioni pubbliche italiane ricorrano abbastanza di rado al concorso di progettazione rispetto ad altri paesi europei, l’istituto del concorso è andato strutturandosi su alcuni principi basilari: la formulazione del bando, del disciplinare di gara e delle linee guida per la progettazione che sono anche l’interpretazione della politica territoriale dell’amministrazione committente, la selezione dei partecipanti al concorso improntata alla trasparenza e all’imparzialità, nonchè la selezione del progetto vincitore da parte di una giuria composta in maggioranza da membri tecnici e sulla base di criteri che assicurino equità di trattamento per i concorrenti.

Se la committenza privata tende a portare a termine l’opera intrapresa, salvo gravi problemi economici, per la committenza pubblica si assiste troppo spesso al triste rituale delle opere programmate, progettate e mai realizzate o peggio delle opere ed infrastrutture intraprese ma poi interrotte; le quali rimangono come carcasse in disfacimento nel paesaggio.

In conclusione il rapporto tra committente ed architetto rimane ineludibile per la realizzazione e la riuscita di un’opera come aveva ben compreso il padovano Andrea Palladio (1508 – 1580) che nella sua opera – I quattro libri dell’architettura – pubblicata nel 1570 ringrazia Iddio per aver trovato << gentil’huomini di così nobile e generoso animo e eccellente giudicio c’habbiano creduto alle mie ragioni, e si siano dipartiti da quella invecchiata usanza di fabbricare senza gratia e senza bellezza alcuna>>. Inoltre egli precisa che <<… spesse volte fa bisogno all’architetto accomodarsi più alla volontà di coloro che spendono, che a quello che si devrebbe osservare…Acciò che le case siano comode all’uso della famiglia senza la qual comodità sarebbero degne di grandissimo biasimo…>>.

08.08.2007 - Valentino Ramazzotti