Che fine ha fatto la piazza?

L’architetto e urbanista Camillo Sitte (n. Vienna 17.4.1843 - m. ivi 16.11.1903) il 7 maggio del 1889 scrive nella prefazione della prima edizione del suo libro Der Städtebau che - la questione dei piani regolatori delle città è una delle più scottanti della nostra epoca. Ma come avviene anche per altri problemi di attualità, le opinioni a volte, sono assai contrastanti. Così, se si esprime unanime compiacimento per le buone realizzazioni della tecnica in fatto di traffico, di utilizzazione dei terreni fabbricabili, e, soprattutto di igiene, nello stesso tempo si manifesta riprovazione, spesso con tono di disprezzo o di derisione, per gli insuccessi dell’urbanistica moderna in fatto d’arte … Infatti vediamo che spesso alla monumentale grandiosità degli edifici moderni corrisponde una brutta sistemazione delle piazze e delle zone limitrofe -

Sitte, prendendo a modello le piazze italiane  medioevali, rinascimentali e barocche nonchè alcune celebri piazze europee, scrive: all’interno di una città uno spazio libero non diventa piazza, che quando appare effettivamente chiuso. E’ vero che oggi si chiama così un semplice spazio vuoto circondato da quattro strade e dove non si costruisce nulla. Dal punto di vista dell’igiene e della tecnica ciò può andare, ma in quanto all’arte, per il solo fatto che sul terreno non si costruisce nulla, non si può parlare di piazza urbana. Se si usa tale termine nel suo vero significato, s’intende che sono richieste ben altre condizioni, cioè quelle che riguardano l’ornamento, il valore e il carattere.

A proposito della risoluzione dell’assemblea generale dell’Unione delle Associazioni degli architetti e degli ingegneri tedeschi votata a Berlino nel 1874 egli precisa - gli autori della risoluzione non avrebbero dovuto limitarsi ad affermare che era una procedura inadeguata l’affidare la concezione di piani regolatori direttamente agli ambienti amministrativi, senza pubblico concorso e senza il contributo degli artisti. Piuttosto avrebbero dovuto mostrare in qual modo occorreva affrontare il problema in avvenire e secondo quali principi bisognava agire…ci si inganna a voler lavorare senza un preciso programma, che è assolutamente necessario nell’interesse dell’opera stessa, perché, in mancanza, si otterrebbero solo dei cattivi risultati…dalla quantità della popolazione…si deve passare alla ripartizione dei vari edifici pubblici e ai loro necessari collegamenti. Qui comincia la vera e propria elaborazione del piano regolatore che dovrebbe essere oggetto di concorsi pubblici…il progetto del piano regolatore potrebbe comprendere vari gruppi di edifici, con qualche giardino, circondato da ininterrotte file di case, e qualche piazza principale caratterizzata dall’ampiezza e dalla forma particolare. E’ a questo punto che si dovrebbero determinare le linee principali delle comunicazioni tenendo conto della disposizione di tutto il complesso…lo spazio compreso fra i punti principali che abbiamo fissato tenderà sempre ad essere investito dal sistema dei blocchi…Bisogna organizzare un controllo costante, anche sotto l’aspetto artistico, e impegnare permanentemente degli artisti, magari con dei concorsi ripetuti per tutta la durata dei lavori. Nel caso di importanti progetti di espansione, eventuali concorsi speciali destinati alla costruzione di varie piazze possono essere associati ai concorsi per gli edifici da costruire nelle piazze stesse. Forse è il mezzo migliore per mettere in armonia le piazze e gli edifici, poiché in tal modo vengono concepiti insieme -

Il pensiero di Sitte non deve essere considerato solo per il riferimento nostalgico alla città antica in quanto affronta il problema della perdita della piazza quale sospensione urbana, spazio dimensionato in rapporto agli edifici circostanti e luogo delle relazioni umane; un tema che è ancora oggi di stretta attualità e che l’urbanistica moderna, con le sua tecnica fondata sulla zonizzazione e sulla logica dello standard quantitativo, ha trascurato.

La speculazione edilizia inoltre, quale manifestazione delle leggi economiche che agiscono sulle città, ha condotto all’utilizzo intensivo del suolo fabbricabile e alla parcellizzazione dei lotti  puntando all’occupazione di ogni spazio libero disponibile.

Tuttavia si possono citare degli esempi concreti di intervento sulla città volti a recuperare l’importanza della piazza quale elemento capace di conferire un’identità ai luoghi urbani, di migliorare la qualità urbana e di favorire la socializzazione tra gli abitanti.

E’ però opportuno concentrarsi sui tre diversi tipi di approccio al problema della piazza che sono emersi negli ultimi vent’anni per trarne delle indicazioni di carattere generale.

- Alla fine degli anni Settanta nella città di Barcellona, governata dal Piano Generale Metropolitano del 1976 volto a risolvere i problemi delle densità urbana, della carenza di servizi e di spazi a loro dedicati e della speculazione edilizia, termina il ciclo di forte espansione alimentato dall’iniziativa privata; è l’occasione per iniziare la ricostruzione della città con un’urbanistica propositiva, capace cioè di unire la visione urbana con quella architettonica, voluta e gestita dell’amministrazione comunale.

L’architetto e urbanista Oriol Bohigas (n. Barcellona 1925) Soprintendente del Servizio Urbanistico del Comune di Barcellona dal 1980 al 1984 è l’ideatore e l’interprete politico di un programma di interventi puntuali sulla città.

L’obiettivo è duplice:

la riqualificazione degli spazi pubblici presenti nel centro storico ed in determinati quartieri della periferia, sostituendo gli immobili degradati o abbandonati con delle  nuove piazze e sfruttando le smagliature createsi nel tessuto edilizio per costituire dei connettivi tra gli isolati ottocenteschi risalenti al piano di Ildefonso Cerdà;

l’incremento del valore di alcune parti di città generato dalla maggiore vivibilità dei luoghi e dalla loro rinnovata identità con il conseguente recupero del patrimonio edilizio da parte di una comunità residente animata  da un maggiore senso civico.

Il programma di interventi, che ha corretto alcune previsioni del piano del ’76 come le grandi arterie passanti per il centro storico, si è concretizzato attraverso l’acquisto delle aree da parte dell’amministrazione comunale, il ricorso alla progettazione da parte di architetti esterni agli Uffici municipali, conferito con incarico diretto e più raramente con il ricorso al concorso pubblico, e la realizzazione ad opera dei funzionari tecnici comunali.  In questo modo l’amministrazione ha potuto far fronte ad una grande mole di lavoro, costituita da circa 160 progetti per altrettanti punti della città di cui almeno 80 realizzati in due anni, coordinando le fasi di programmazione e controllo con quelle di progettazione e realizzazione.

- La Potsdamer Platz di Berlino, ricostruita nei primi anni Novanta a seguito di un concorso pubblico vinto dall’architetto Renzo Piano (Genova 14.09.1937), ha una estensione di circa seicento mila metri quadrati ed è circondata da residenze, uffici, alberghi, negozi, ristoranti, cinema e teatri.

L’architetto, trovandosi di fronte al grande vuoto della Potsdamer Platz, un luogo denso di memoria storica prima distrutto dalla guerra e poi diviso dal Muro nel periodo 1961 – 1989, ha voluto dare alla piazza sia il ruolo di fulcro della nuova Berlino che di anello di congiunzione con la parte storica e culturalmente significativa della città.

La Potsdamer Platz comprende tutte le funzioni necessarie per renderla vivibile per ventiquattro ore al giorno e farne un luogo di incontro e di scambio.La piazza si apre su un lago e quindi sull’acqua che è il simbolo della continuità in contrapposizione alla tragica memoria del Muro che divideva la città.

- I concorsi pubblici di progettazione indetti dalle Amministrazioni pubbliche, per la riqualificazione di piazze che nel tempo hanno perduto la propria identità e per la sistemazione di aree rimaste libere tra l’edificato o poste margine del tessuto edilizio, rappresentano oggi un significativo e corretto approccio al problema della carenza di spazi aperti ad uso pubblico anche se spesso si  tratta di interventi puntuali non compresi in un piano urbanistico complessivo per la città.

Lo studio della viabilità, degli spazi a parcheggio e delle aree pedonali, la scelta della pavimentazione più adatta e dell’arredo urbano dal design ricercato, caratterizzano questi progetti che in genere vertono su due soluzioni possibili a secondo del luogo in esame.

Una consiste nell’uso della pavimentazione dello spazio aperto quale elemento unificatore delle diverse preesistenze architettoniche, nella valorizzazione degli edifici monumentali mediante l’uso di illuminazioni appositamente studiate e nel celare alla vista, con quinte alberate ad esempio, gli edifici esteticamente meno interessanti. L’altra affida al trattamento dello spazio aperto, mediante le differenze di quota del terreno, l’individuazione di diverse zone funzionali e la realizzazione di effetti scenografici, la capacità di conferire carattere ed identità ad un luogo circondato da edifici di scarso valore estetico.

In entrambi i casi il progettista deve considerare gli edifici esistenti come attori di una scena teatrale, distinguere i protagonisti principali dalle comparse e ridefinire lo spazio aperto ispirandosi al processo storico di formazione delle piazze basato sul rapporto tra edifici, piazze e monumenti.

In conclusione i criteri che la pubblica Amministrazione dovrebbe seguire per ricostituire nella città quella particolare relazione tra lo spazio edificato e lo spazio aperto pubblico che è propria dell’elemento piazza sono:

- il dialogo tra la pianificazione urbanistica a scala territoriale e la programmazione degli interventi da realizzare mediante gli studi di fattibilità degli edifici e degli spazi destinati a servizi per la collettività; in questo modo è anche possibile attuare nel tempo un controllo ed una eventuale correzione delle scelte fatte per lo sviluppo della città,

- il contrasto dei fenomeni speculativi mediante l’acquisizione, ove possibile, delle aree edificabili assoggettandole a piani attuativi che contemplino la formazione delle piazze, le linee guida per la localizzazione e la realizzazione di edifici pubblici nonchè lo studio delle attività e delle funzioni da insediare per costituire degli autentici luoghi di vita urbana. Allo stesso modo è necessaria la predisposizione di piani di recupero per le zone degradate o dimesse della città al fine di risolvere il problema delle aree poste a margine dell’edificato e quello dei vuoti irrisolti privi di identità,

- lo studio di un regolamento edilizio non vincolistico ma sufficientemente preciso per guidare l’attività progettuale e costruttiva nei centri storici come nelle zone più periferiche. La questione non deve essere solo estetica, incentrata cioè sugli importanti aspetti delle forme e del piano colore degli edifici, ma deve riguardare la qualità degli spazi abitabili e la sostenibilità dell’architettura, quindi il risparmio delle risorse idriche ed energetiche, il rapporto con l’ambiente naturale, l’utilizzo di materiali riciclabili ed altri temi contemporanei.

E’ auspicabile l’indizione di concorsi pubblici per la progettazione preliminare degli edifici e degli spazi destinati alla collettività ma anche il ricorso a consultazioni pubbliche o referendum per capire se il progetto vincitore esprime una soluzione architettonica condivisa e quindi attuabile.

La normativa statale in materia di beni culturali ha recentemente incluso le pubbliche piazze, le vie, le strade e gli altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico tra i beni soggetti a tutela e quindi a restauro. Un deciso passo avanti per la salvaguardia di questi importanti elementi storici da approssimativi interventi di riqualificazione o sistemazione che spesso causano la perdita della loro identità.

Il nostro Paese, dotato di piazze storiche ammirate da visitatori di tutto il mondo, deve riconquistare la capacità di progettare e realizzare le piazze quali centri di vita della collettività e luoghi notevoli delle città.

Valentino Ramazzotti